Una lunga notte (Pov Bella)

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Bella

Ero lì, nella nostra camera, sul nostro letto, e abbracciata al mio Edward. Era il regalo più bello che potessi ricevere per il mio compleanno.
Non mi sembrava vero. Avevamo passato la serata a parlare, interrompendoci per scambiarci qualche bacio e assicurarci che quello non fosse un sogno. Ogni tanto qualcuno si avvicinava alla porta per assicurarsi che andasse tutto bene. In fondo Edward era stato lontano da me per troppo tempo, dovevano controllare che stesse resistendo al mio sangue. Io non li sentivo neanche arrivare. Me ne rendevo conto dall'istantaneo irrigidirsi di Edward e dai suoi sibili sommessi e minacciosi, che somigliavano tanto a un "non ci provare!". Come se, qualora qualcuno avesse bussato a quella porta, il nostro sogno si sarebbe bruscamente spezzato.
«Amore, a cosa pensi?» mi chiese, continuando ad accarezzare i miei capelli. Come sempre ero l'unica che non riusciva a sentire, come sempre ero l'unica a cui dovesse chiedere per sapere.
«E' solo un sogno vero? Domattina mi sveglierò sola nel mio letto ad Hanover, con Alice che prepara la colazione ai bambini e con un esame da sostenere» gli risposi.
«No, Bella. E' tutto vero. Sono qui con te. Sei qui con me. E questo non cambierà mai più»
«Me lo prometti?»
«Te lo giuro. Ti direi su ciò che ho di più caro al mondo, ma sei tu ciò che ho di più caro al mondo»
Sentii le mie guance avvampare, e, quasi contemporaneamente, lo vidi sorridere.
«Mi sei mancata» disse, avvicinando le sue labbra alle mie. Mi catturò in un bacio appassionato, una danza di fuoco nonostante avesse la temperatura del ghiaccio. Mi spinse sulla schiena e mi fu sopra in un istante. Mi baciava guardandomi negli occhi. Lo baciavo perdendomi in quel mare di miele dorato che erano i suoi. Le mie mani stringevano i suoi capelli, poi, come se fossero dotate di volontà propria, scendevano sulla sua nuca e sul suo collo, accarezzandolo dolcemente, fermandosi a giocherellare con il primo bottone della camicia che indossava quella notte.
Lo volevo.
Mi voleva anche lui, ne ero sicura. Ma all'improvviso si allontanò da me, per sdraiarsi al mio fianco, ed iniziò ad accarezzarmi leggermente la pancia con la mano.
«No!» esclamai mettendo il broncio. Sorrise.
«Bella, sono contento che tu voglia fare l'amore con me... ma non è questo né il momento né il luogo».
«Perché?» chiesi.
«Prima di tutto perché potrei non controllarmi e farti del male»
Mi spostai su un fianco, per guardarlo in faccia mentre parlavamo di quell'argomento.
«Sai quanto me che non è vero. Mi ami, ed io amo te. Ci apparteniamo. Come potresti farmi del male?»
«Bella, credimi, per quanto io ti ami potrei non riuscire a controllare la mia forza. Non voglio che tu rischi ancora una volta la tua vita per colpa mia. Posso aspettare.»
«Ma io no!» mormorai, rovesciandomi su di lui, e iniziando a baciargli il collo.
«Bella - mi rimproverò dolcemente - ho detto prima di tutto, non che è l'unico motivo»
Mi fermai, guardandolo curiosa.
«Abbiamo visite... anzi, le avremo tra tre minuti» disse, rispondendo al mio sguardo.
«Chi?»
«Seth» mi rispose, con un sorriso sornione.
Io scattai immediatamente a sedere.
«Perché è qui? E' successo qualcosa ai bambini? E perché non è venuto Jacob a dirmelo? Victoria è riuscita...» Bella mamma mode on. Per fortuna che Edward non perdeva il controllo. Il suo sorriso sghembo riuscì a calmarmi. Me l'avrebbe detto subito se fosse successo qualcosa ai gemelli. Si sarebbe affrettato insieme a me - anzi, più di me, data la sua supervelocità. O forse no? In fondo non erano i suoi figli. Mi agitai di nuovo.
«Bella, calmati - mi disse sicuro - non è successo niente di quello che pensi»
«E allora perché è qui?»
«Diciamo... per una visita di cortesia?»
«Alle due di notte?»
«E va bene. Mi ha chiesto di non dirti perché è qui - mi agitai immediatamente - ma torno a ripeterti che non è niente di quello che pensi»
«Sicuro?» lo guardai negli occhi sperando di riuscire a scorgere un lampo di insicurezza nel caso contrario. Non ci fu. E comunque non ci sarebbe stato. Se fosse stato un attore avrebbe vinto l'Oscar per la migliore interpretazione ogni anno. Era un ottimo attore.
«Sì, sono sicuro. Ora scendiamo ad aspettarlo» mi disse, posando un ultimo, leggero, bacio sulle mie labbra, per poi schizzare in piedi alla massima velocità consentitagli. Lo imitai. Ovviamente molto più lentamente di quanto potesse fare lui. Mi tese la sua mano. La afferrai, e la strinsi più forte che potevo, per avere da lui tutta la forza di cui avevo bisogno in quel momento. Lui mi sorrise.
«Stai tranquilla!»
Annuii. Scendemmo silenziosamente in salotto.
Ci sedemmo sul divano, io poggiavo la testa sulla sua spalla, e lui con il braccio cingeva le mie. Eravamo soli, io e lui. Chiaramente aveva detto agli altri che era una faccenda che riguardava solo noi. O probabilmente che riguardava solo me. Trasalii, al sentire i colpi sulla porta.
«Bella, calmati» mi sussurrò Edward ancora una volta nell'orecchio. Non ci riuscivo. Era più forte di me. Non riuscivo a non credere che non ci fossero di mezzo i bambini. E che non fosse qualcosa di irreparabile. A velocità umana, si avvicinò alla porta e aprì. Sorrise, guardando Seth. Ma non lo notai nemmeno. Era l'espressione mesta di Seth che mi stava terrorizzando. Mi alzai in piedi di scatto, e corsi verso la porta, sperando che il mio scarso equilibrio non mi tradisse. Speranza vana. Inciampai nel tappeto che ricopriva metà del pavimento del salotto. Ma non caddi. Venni prontamente fermata da due braccia marmoree e gelide.
«Ti avevo detto di stare calma!» mi sussurrò tra i capelli il mio Edward. Seth fece un risolino, poi la sua espressione tornò a farsi triste. Mi rialzai. E ritornai al divano. Indicai a Seth la poltrona. Si avvicinò, ma non si sedette. Come pronto a fuggire. Sembrava... ecco, sì, colpevole.
«Seth, è successo qualcosa ai bambini?» chiesi, dando finalmente voce alle mie paure.
«No...» mi rilassai sentendo quell'unica parola, per poi tornare nuovamente sul chi va là
«Cioè... sì... cioè... riguarda uno solo di loro... anzi una sola... e... me» concluse, fissandomi negli occhi, attendendo la mia reazione. Mi balenava in mente una sola parola: IMPRINTING. Lui e... Sarah.
«Oh... oh... No! - mi ritrovai ad urlare, stretta tra le braccia del mio vampiro - Lasciami, Edward! Voglio ucciderlo!»
«E' proprio questo che voglio evitare - mi rispose lui, con la più perfetta calma - Anche perché a farti male nel tentativo saresti tu, e io non voglio»
«Tu... tu lo sapevi, traditore! - gli urlai contro, ormai prossima alle lacrime - Come hai potuto nascondermi una cosa del genere!»
«Io non ti ho nascosto proprio niente. Ho soltanto rispettato la volontà di un amico, che mi aveva chiesto di farlo spiegare»
«Non ne avevi il diritto - gridai ancora, stavolta contro Seth, con le lacrime che scorrevano ormai lungo le mie guance - Lei è mia figlia. Non puoi portarmela via! Non puoi» conclusi, accasciandomi sfinita tra le braccia di Edward.
Continuai a mormorare quelle parole per dieci minuti buoni.
«Non puoi portarmela via... non puoi portarmela via...» era un mantra ormai.
Edward continuava ad accarezzarmi i capelli, mentre intratteneva una conversazione silenziosa con Seth. Cioè, silenziosa solo per me.
« Carlisle » lo sentii dire ad un certo punto. Nessun rumore, ma doveva essere lì anche lui.
«Deve essere shockata. Cosa è successo di preciso?» chiese.
«Le urla devi averle sentite, quindi ti faccio un breve riassunto - rispose lui - Seth ha avuto l'imprinting con Sarah. E lei ha reagito così»
«E' una crisi isterica in piena regola - disse Carlisle - forse conviene portarla a casa sua»
«No... sto bene - dissi, riuscendo finalmente ad uscire da quello stato di trans in cui ero caduta - E quanto a te, Seth, non ti azzardare a raggiungere una distanza inferiore a dieci metri da mia figlia».
Mi guardò ferito.
«Mi dispiace che in tutti i mesi in cui sei stata a contatto con il branco tu non abbia capito come funziona l'imprinting» mormorò deluso.
«Bella, ha ragione Seth - mi disse Edward, che io guardai con gli occhi pieni di stupore - Non mi guardare così, amore mio. Seth non vuole saltare addosso a tua figlia. Vuole semplicemente che lei stia bene. E' così assurdo?» mi chiese, con una voce dolce come lo zucchero.
«Vuoi semplicemente che lei sia al sicuro?» gli chiesi, tenendo gli occhi bassi per non incontrare il suo sguardo ferito.
«Sì... per il momento mi basta questo» mi rispose.
«E allora perché non le stai lontano?» gli dissi, con tutta la cattiveria di cui ero capace. Ottenni due effetti. Il primo, un'espressione di Seth piena di dolore, neanche lo avessi accoltellato in mezzo al cuore. Il secondo, quello di trovarmi sola sul divano. Edward si era schierato dalla parte del suo amico.
«Questo è perché non è tua figlia» gli dissi tagliente.
«No, questo è perché conosco i pensieri di Seth dal primo all'ultimo. E perché chiedere a lui di allontarsi da tua figlia è come chiedere a me di allontanarmi da te» mi rispose, altrettanto pungente.
«Ma tu ti sei allontanato da me» gli risposi, testarda.
«Sì, e ho sofferto ogni singolo istante come se mi avessero tolto la vita. Vuoi dirmi che per te non è stato lo stesso?» mi chiese.
«Conosci già la risposta»
«Allora non fare richieste inutili. Seth non può stare lontano da Sarah, come io non posso fare a meno di te»
«E io di te - mormorai, facendo un passo nella sua direzione - Ma tra qualche giorno torneremo ad Hanover, e lui si dovrà comunque allontanare da Sarah»
«Non è detto... potrei venire con voi, oppure...»
«Non credo tu possa pensare seriamente a quella possibilità, Seth» gli rispose Edward.
«Ma Jacob è suo padre» rispose lui.
Edward si irrigidì. Non gli piaceva che qualcuno gli ricordasse che avevo avuto dei figli con qualcuno che non era lui. Significava che avevo fatto l'amore con qualcuno che non era lui.
«Verrà il momento, Seth, ma non è ancora arrivato. E fino ad allora i bambini staranno con me» dissi, comprendendo la discussione che il mio fidanzato stava portando avanti con lui.
«Allora accetterai anche me nel pacchetto Hanover»
«Vedremo come ti comporterai nei prossimi giorni» gli risposi.
Quello che mi aveva detto Edward mi aveva fatto pensare. Seth aveva bisogno della vicinanza di Sarah, come io avevo bisogno di Edward. Con le dovute differenze. Io Edward lo desideravo. Seth ancora non desiderava Sarah. Quell'ancora era d'obbligo però.
Seth guardò la pendola nel soggiorno, di fronte a lui, dietro le mie spalle.
«Devo andare» disse.
«Ci vediamo domani» risposi.
«Ciao, Seth!» disse Edward, e avrei potuto giurare di avergli visto mimare un "vedrai che riuscirai a convincerla" se non fosse stato troppo veloce per i miei occhi.

«C'è qualcosa che mi devi dire?» lo bloccai appena rimanemmo soli.
«Niente» disse, con una faccia angelica.
«Allora torniamo in camera. Ho sonno»
Mi prese in braccio, e mi portò fino al letto in camera nostra, dove mi poggiò delicatamente. Poi si sdraiò al mio fianco ed iniziò a sussurrare la mia ninna nanna. Chiusi gli occhi e poggiai la testa al suo petto. Lì dove avrei normalmente avrei sentito battere un cuore. Lo sentii prendere una ciocca dei miei capelli per respirarne l'odore.
«Dovrei essere arrabbiata con te, ma non ci riesco»
«Perché dovresti essere arrabbiata con me?» mi rispose.
Il finto ingenuo.
«Perché hai preso le parti di Seth contro di me»
«Io non ero dalla parte di nessuno e contro nessuno. Anzi, se proprio vuoi che te lo dica, ero dalla tua parte, visto che ti ho impedito di prendere una decisione di cui ti saresti pentita per tutta la vita»
«Tu che ne sai?»
«Bella, non dovrei essere io a dirti che hai scelto una vita che presto ti porterà lontana da Ethan e Sarah» mormorò, posandomi un bacio sulla fronte, dopo essersi tirato su a sedere. Mi ritrovai a poggiare la testa sulle sue gambe.
«E allora?» io li avrei affidati al loro papà in quel momento.
«E allora, forse l'imprinting di Seth per Sarah non è una cosa poi così brutta. Anche lontana, saprai che la tua bambina ha un principe azzurro pronto a tenerla al sicuro in ogni momento, e che quando sarà grande avrà una persona che la ama sinceramente e che non farà a meno di lei, mai»
«Ma lei non potrà scegliere se amare Seth o qualcun altro»
«Bella, non si sceglie mai chi amare. Capita, e basta.»
Poi ricominciò a cantare la mia ninna nanna. Ed io mi addormentai.

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