Riflessioni (Pov Leah/Jacob/Ethan)

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Leah

Erano trascorsi tredici giorni da quando avevamo lasciato la Riserva. Andammo da una mia vecchia conoscenza, dei tempi in cui ero in fuga da tutto. Aveva aiutato me a ritrovare la via di casa, e speravo che avrebbe aiutato anche mio fratello a ritrovare se stesso. Anche se aveva solo quindici giorni. Anche se Seth aveva deciso che sarebbero stati solo tredici i giorni a sua disposizione.
Per quale motivo aveva tanta fretta di ritornare?
Non avrebbe mai lasciato che Sarah trascorresse un compleanno senza di lui. In particolar modo quel compleanno. Il primo, da quando si era trasformata per la prima volta. Il primo, da quando aveva scoperto che sua madre era ancora viva.
C'erano stati troppi cambiamenti nella vita di quella ragazzina negli ultimi tre mesi, cambiamenti che inevitabilmente avevano travolto anche il mio fratellino. Che, tuttavia, si preoccupava più per il suo imprinting che per se stesso.
Ancora una volta.
«Seth, le valigie sono in auto, andiamo?» eravamo sulla spiaggia.
Denise, la mia vecchia conoscenza, aveva una casa in California, ad un centinaio di chilometri dal confine con lo stato di Washington, con vista sulla spiaggia. Seth aveva passato gli ultimi tredici giorni a riflettere su quella spiaggia. Qualche volta rendendomi partecipe dei suoi pensieri, qualche volta in silenzio, ma aveva lentamente riacquisito il controllo di se stesso.
Non mi era piaciuto trovarlo completamente ubriaco, quel giorno. Lui non era così. Lui i problemi li affrontava, non cercava di seppellirli da qualche parte nella bottiglia.
Odiavo quello che l'imprinting gli stava facendo. Non odiavo Sarah, no, non era colpa sua se era così confusa. In fondo era solo una bambina diventata adulta troppo in fretta. Era normale che fosse confusa. E temevo che quel ritorno alla riserva gli avrebbe causato solo dolore. Era troppo, troppo presto. Le ferite erano ancora fresche, e temevo che si sarebbero riaperte in fretta.
«Devo salutare Denise, prima!» mi disse, con quel piglio allegro che aveva ripreso solo dopo un paio di giorni che eravamo lì. All'inizio avevo pensato che sradicarlo dalla Riserva, portarlo via da lei, avrebbe avuto un effetto destabilizzante su di lui. Invece aveva avuto ragione Jake, allontanarsi per un po' gli aveva fatto bene. Aveva ritrovato la dimensione di se stesso. E dopo poco avremmo testato questo nuovo Seth.
Era il due di dicembre. L'undicesimo compleanno dei gemelli.
Seth si avviò verso la casa, mentre io mi dirigevo verso l'auto.

Avevo conosciuto Denise poco dopo essere fuggita di casa. L'avevo incontrata a una tavola calda, dove mi ero fermata per mangiare qualcosa. Quella donna, di circa sessant'anni e con gli occhi attenti di chi conosce la vita, si era avvicinata a me e mi aveva detto una frase che avrei ricordato per altri mille anni.
«Non puoi fuggire da te stessa, cara»
Avevo alzato lo sguardo verso la persona che mi aveva parlato con quella voce dolce, e avevo trovato un sorriso contagioso ad accogliermi. Le avevo sorriso a mia volta, non per educazione o per imbarazzo, ma perché mi era venuto spontaneo sorriderle. Per la prima volta da quando mi ero trasformata, sorridevo perché volevo sorridere.
Era stato per quello che l'avevo seguita. Per quello, e perché sapevo che non avrebbe potuto farmi del male. Non in senso fisico, almeno. E per quanto riguardava il resto... ero stata ferita talmente tante volte, che una più o una meno non avrebbero certo cambiato le cose.
«Hai un posto dove stare?» mi aveva chiesto, sempre tenendo quel sorriso sincero sul volto. Avevo scosso la testa.
«Dove vivi?» mi aveva chiesto.
«Lontano da qui» avevo risposto.
«Questo è il tuo primo errore - mi aveva detto - Tu non vivi dove abiti. Tu vivi dove sei. Dove è il tuo cuore. E se il tuo cuore è rimasto lontano dal posto in cui ti trovi ora... beh, allora è il caso che tu ne rientri in possesso. Dubito che te ne saresti andata se il tuo cuore fosse stato felice»
Denise aveva riassunto in una frase l'essenza della mia vita. Il mio cuore non era mio da troppo tempo, e volevo riaverlo. Ma l'unico modo di farlo era fuggire da lui.
«Come fai?» le avevo chiesto.
«Come faccio a fare cosa?» mi aveva risposto. Di solito mi innervosivo quando mi rispondevano a una domanda con un'altra domanda, ma quella volta no.
«A conoscermi così bene»
«Tiro a indovinare! - mi aveva risposto ridendo, per poi tornare seria - vuoi scoprire come si fa?»
Avevo annuito. E lei mi aveva chiesto di seguirla. Ero stata con lei per quasi tre mesi. Tre mesi fatti di silenzi, sguardi, risate, film e una vita normale. Poi, un giorno, mi aveva detto che ormai ero pronta. Che se volevo viaggiare potevo farlo, perché non stavo più fuggendo da me stessa. Ormai il mio cuore era di nuovo mio.
L'avevo abbracciata ed avevo ricominciato il mio viaggio. Ma non cercavo più me stessa. Cercavo notizie riguardo all'altra mia natura. Riguardo al lupo. E quelle che avevo trovato andavano bene per Sarah, ma non per me.
E quando ero tornata, dopo cinque anni, avevo trovato le cose molto cambiate. Jacob era cresciuto in fretta. Aveva ventitré anni, ma era ormai un uomo fatto, complici anche le responsabilità che l'avere con sé i gemelli aveva comportato. Seth andava all'università. La mamma aveva trovato in Charlie qualcuno con cui condividere le sue ansie e il suo dolore. Ed io avevo trovato Embry. Avevamo passato tre anni a bisticciare come due bambini, e quando mi aveva chiesto di uscire, la prima volta avevo pensato ad uno scherzo e gli avevo riso in faccia. Solo molto tempo dopo mi aveva detto che c'era rimasto così male che aveva deciso di non rivolgermi mai più la parola, e che solo Jake era riuscito a fargli cambiare idea.
In fondo se era sempre stato un buffone, cosa potevo farci io!

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