Pensieri notturni (Pov Jacob/Renesmee)

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Renesmee
Mi giravo e rigiravo nel letto, alla ricerca di una pace che solo il sonno poteva darmi.
Poteva, non voleva.
Sola, nel silenzio di quella casa immensa, non riuscivo ad addormentarmi. Chiudere gli occhi significava rivedere la sua espressione sofferente. Di una sofferenza che era stata una persona che conoscevo bene a provocargli. Il suo volto perfetto era solcato da una singola ruga.
Che si evidenziava ogni volta che pensava a lei.
Lei. Isabella Marie Swan Cullen. Mia madre. Non che si fosse mai comportata come tale. Sempre troppo impegnata a far felice mio padre.
Quante cose mi aveva nascosto. Chi era il ragazzo con il sorriso caldo e quegli occhi neri come tizzoni ardenti che sognavo ogni notte da quando avevo l'aspetto di una bambina di quattro anni, per dirne una. Ok, ci poteva anche stare che mi nascondesse l'esistenza di un ex. Quello che non le perdonavo era l'avermi nascosto loro. I gemelli. I miei fratellini.
Anche se a dire la verità ero io la loro sorellina.
Avevo dieci anni. Mese più, mese meno Ma ne dimostravo venti. Sia fisicamente che mentalmente. E non sarei più cambiata. Forse maturata. Avrei imparato ancora nuove cose. Ma sarei rimasta sempre una bambina, per loro. Dopo essermi rigirata per altri cinque minuti, presi una decisione. Accesi la luce. Per una notte avrei potuto anche non dormire.
Quante volte l'avevo fatto con zia Alice, all'insaputa dei miei, quando tutti erano a caccia. Spinsi le coperte in fondo al letto e mi infilai nell'armadio. Cioè, nella stanza che faceva da armadio. Se zia Alice non mi avesse dato la piantina di quel posto di certo mi sarei persa. Scelsi i vestiti da indossare l'indomani. Li preparai con cura sul bracciolo della poltrona vicino alla finestra, poi scesi al piano inferiore.
Le scale davano nel salone. Alla mia destra, il pianoforte. Alla mia sinistra, la cucina. Piena di ogni bontà. Mi diressi in cucina. Aprii il frigorifero e presi il cartone del latte. Me ne versai un bicchiere. Poi aprii il pacco di biscotti al cioccolato che mi aveva mandato lo zio Jasper. Lui e zia Alice erano stati gli unici a pensare che avevo diritto alla verità. E gli unici a sapere dov'ero in quel momento.
Tornai nel salone e mi diressi verso il pianoforte. L'unica cosa che avessi in comune con mio padre, se si escludeva il colore dei capelli.
Certo, lui non avrebbe approvato che appoggiassi il bicchiere di latte e il tovagliolo con i biscotti sul bordo del pianoforte prima di mettermi a suonare. Le mie mani scivolavano sui tasti dando vita ad una melodia. Suonai a memoria. Come sempre. La mia parte vampiresca mi aiutava in questo. E mi lasciai trasportare dalle mie emozioni. Per questo quella sera c'era nelle mie dita una melodia malinconica. Suonare mi aiutava a pensare.
Pensare alla prima volta che Jacob mi era apparso in sogno, sorridente e sicuro di sé. Alla prima volta che avevo usato il mio potere per mostrare il viso di quel giovane sconosciuto ai miei genitori. All'occhiata che si erano scambiati quella volta e alla loro risposta.
"E' solo un sogno, Renesmee. Torna a dormire, tesoro"
Insieme alla malinconia, comparve anche la rabbia. Che sfogavo schiacciando i tasti con violenza e lasciando le lacrime libere di scorrere sulle mie guance. Continuai a suonare, mentre rivivevo alcuni istanti del mio passato.

Zia Alice che mi teneva in braccio. Erano tutti a caccia, di solito rimanevo con zia Rose, ma quella sera lei era voluta andare con gli altri. O più probabilmente zia Alice l'aveva convinta che sarebbe stato meglio così.
Mi addormentai tra quelle braccia dure e fredde, confortanti, nella sicurezza che mi davano. Lo sognai. Era passato qualche mese dalla prima volta che l'avevo sognato. E, come ogni volta, il suo viso mi riempì di gioia.
Mi svegliai.
Posai una manina sulla pelle nuda di zia Alice. Il mio potere non funzionava in un altro modo. Le mostrai il volto che accompagnava i sogni delle mie notti più felici.
«Chi è?» la domanda, inespressa dalla voce.
«Tesoro, dove l'hai visto?» mi chiese lei, con una voce allarmata.
«Nella mia testa. Lo sogno tutte le notti» le risposi.
«E i tuoi genitori cosa ti hanno detto?»
«Che era solo un sogno».
Allora mi fidavo dei miei. Allora non pensavo che potessero mentirmi così spudoratamente. Ero una bambina. Adoravo la mia mamma e il mio papà. Zia Alice si limitò a sorridermi.
Da quella notte, ogni volta che gli altri andavano a caccia, era con lei che rimanevo. Fu in una di quelle notti che mi fece una domanda che mi sorprese. Ero più grande. Dimostravo quindici o sedici anni.
«Renesmee, lo sogni ancora?»
«Il ragazzo con gli occhi neri?»
«Sì, lui»
«Sì, ogni notte» le risposi, abbassando lo sguardo. Temevo che mi avrebbe rimproverata, come faceva papà ogni volta che mi sorprendeva a pensarci. Invece si avvicinò alla finestra e, mentre fissava il vuoto, mi disse la verità.
«Si chiama Jacob»
«Lo conosci?» le chiesi incuriosita.
«Lo conoscevo» mi rispose lei, correggendomi.
Doveva essere un argomento che la infastidiva, perché la mia meravigliosa ed esuberante zia si era d'un tratto intristita. Fu quella notte che scoprii l'esistenza dei lupi. Esseri come me, che la zia non poteva vedere in quel suo modo speciale e che crescevano a vista d'occhio, per poi fermarsi e non cambiare più.
Per l'eternità.
C'era solo una cosa che poteva far loro decidere di invecchiare. Ed era l'Amore. Quello con la A maiuscola.

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