Rimessa pt2 (Pov Renesmee)

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Renesmee

Appena usciti fuori di casa, mi bendò gli occhi con la sua maglietta, il che implicava che lui fosse rimasto a torso nudo. Non poteva farmi questo. Già la maglietta odorava di lui e di bagnoschiuma alla menta, quello che usava sempre e da sempre. Se poi mettevo anche in conto che lui aveva già iniziato a spogliarsi, non ci sarei mai arrivata alla rimessa, sarei morta prima per l'eccitazione non soddisfatta. Cercai di concentrarmi su altro, nonostante il suo profumo mi inebriasse i sensi, rendendomi incapace di pensare a qualcosa che non fosse lui disteso su di me. E proprio quando sembrava che stessi riuscendo a contenermi, le sue mani sfiorarono il mio collo, mentre mi spostava i capelli, e di nuovo l'eccitazione prese a salire.
«Non sbirciare» mi sussurrò nell'orecchio con voce roca, aumentando in quel modo i brividi che correvano lungo la mia schiena, fermandosi tra le mie gambe. Il mio respiro si era fatto corto, e non ci eravamo ancora neanche toccati, se si escludeva quel - poco - casto bacio che ci eravamo scambiati in cucina.
«Jake, mi farai morire!» gli risposi, mentre cercavo di riprendere il controllo del mio corpo, ma i miei ormoni impazziti non ne volevano sapere di ritornare al loro posto. Chissà perché poi mi aveva bendato? Doveva farmi vedere quello che aveva combinato in garage, non una suite d'albergo.
Sentii aprire la saracinesca, e mi investirono l'odore di vernice, di colla, di legno e di carta.
Carta?
Sì, carta. Odore di libri nuovi. Di nuovo la sua voce solleticò il mio orecchio e tutto il mio corpo reagì ad essa.
«Dammi la mano»
Obbedii all'ordine, quella sorpresa iniziava a piacermi. Non c'era traccia dell'odore di olio da motore o di benzina. Odori che avevano riempito l'aria di quel posto fino a tre giorni prima, e che mi aspettavo di trovare ancora. Mi aiutò a raggiungere l'interno della rimessa. Come sapevo che era l'interno? Non mi pioveva più addosso. Adesso ero bagnata, con la maglietta appiccicata che aderiva al mio corpo come una seconda pelle, pronta a saltare sopra al mio uomo, anche in mezzo al fango che sicuramente si era creato fuori da quel posto.
«Cosa senti?» mi chiese, sempre sussurrando nel mio orecchio con quel tono che stimolava la mia immaginazione. Mi stava spogliando con la voce, o almeno era questa la mia sensazione. Le sue mani non si erano neanche avvicinate al mio corpo ed io già fremevo, impaziente di averle su di me.
«Odore di libri... perché ci sono dei libri nella rimessa, Jake?».
Non mi rispose, ed iniziò a muoversi velocemente nella stanza. Stava facendo qualcosa, ma non sapevo cosa, perché non potevo vederlo. Fu un rumore, questa volta, a catturare la mia attenzione. Rumore di un fuoco scoppiettante.
«Senti qualcos'altro?» mi chiese di nuovo.
«Hai acceso un fuoco? Jake, ma è pericoloso, non ci sono caminetti nella rimessa, potresti perderne il controllo!» iniziai a parlare a vanvera, spaventata, muovendomi agitata. A differenza sua, che era un licantropo abituato ai falò sulla spiaggia e ai caminetti accesi, io ero cresciuta con il terrore del fuoco, unica vera minaccia per un vampiro. Ma dovevo ammettere che mi aveva sempre affascinata, come tutte le cose pericolose per i vampiri. Vedi i licantropi, o, nel caso di Jake, i mutaforma.
Bloccò i miei movimenti abbracciandomi da dietro, fermando le mie braccia sui fianchi e incrociando le sue sotto il mio seno, portando una mano ad accarezzarne uno, stringendo il capezzolo sotto la maglietta fradicia e strappandomi un gemito di piacere. Poi poggiò la testa sulla mia spalla, e mi leccò il lobo dell'orecchio, prima di rispondermi.
«Non ci sono cose pericolose, amore. La cosa più pericolosa per te, in questo momento, sono io» sussurrò, accompagnando la voce con le sue mani, accarezzandomi il collo, le spalle, e scendendo nuovamente sui seni, lentamente, dolcemente, sensualmente. Il calore delle sue mani sembrava maggiore di quanto non fosse mai stato. Il gelo che si propagava sulla mia pelle a causa della maglia da strizzare ne acuiva l'intensità, aumentando anche la forza delle ondate di piacere che provavo a contatto con quelle mani. Dalle mie labbra scappò un secondo gemito. E, in quel momento, Jake mi lasciò andare.
«Non è ancora il momento» sussurrò, con quella voce sempre più sexy. Stava impazzendo per l'eccitazione anche lui, ne ero certa. Non avrebbe resistito ancora a lungo, mi avrebbe dato quello che volevo, e l'avrebbe fatto in tempi brevi.
«Jake, ti prego» lo implorai, cercandolo con le braccia nello spazio intorno a me.
Non avevo mai giocato a "mosca cieca", e mi sentivo impacciata nei movimenti, priva di un senso così importante per me, quale era la vista.
«Che c'è, non riesci a trovarmi?» ridacchiò lui, mentre io cercavo di seguire la sua voce. Barcollando per raggiungerlo, inciampai e caddi su qualcosa di morbido.
«Jake, cos'è?» chiesi, curiosa e stupita. In che razza di posto aveva trasformato la rimessa? Vicino al punto in cui ero caduta, sentii una forte fonte di calore. Pensando che si trattasse di lui, allungai il braccio, per raggiungerlo, ma me lo ritrovai al petto, stretto in una mano calda.
«Non voglio che tu ti faccia male, Ness» mi sussurrò di nuovo. La sua voce era una dolce tortura per i miei nervi, le mie orecchie e per altre zone del mio corpo. Che sembravano essersi risvegliate dopo un lungo letargo, di... quattro giorni. Mi sentivo in fiamme, e potevo percepire l'odore della mia eccitazione. Come riusciva lui a controllarsi ancora?
La risposta mi giunse chiara qualche istante dopo, quando le sue labbra si impossessarono delle mie, che lui dischiuse con prepotenza usando la lingua. Chiaro, non riusciva a controllarsi nemmeno lui. Le mie mani, aggrappate alle sue spalle, scesero lungo il suo torace, accarezzando i suoi addominali, e trovando il primo bottone dei suoi jeans. Immediatamente, le sentii allungarsi sopra la mia testa, seguendo un ordine imposto loro da Jake, che le aveva strette nelle sue.
«Non stasera. Stasera conduco io» disse, ansimando come me, prima di cominciare a baciare e leccare e mordere ogni centimetro scoperto della mia pelle. I polsi e le braccia. I lobi delle orecchie, il collo, la spalla che usciva dal collo della sua maglietta. Il tutto, mentre una delle sue mani scendeva sull'elastico dei miei pantaloncini di cotone, per liberarmi di essi.
Sorrisi.
Lui si fermò.
«Cos'hai?» mi chiese, con voce sempre più affannata e roca.
«Credevo che avrei provato il primo orgasmo da vestita della mia vita»
«Se vuoi ci posso sempre provare» ridacchiò maligno, sollevando di nuovo i pantaloncini a coprire il mio intimo. In tutto quel trambusto, mi ero quasi scordata di aver ancora la "benda".
«Jake, mi togli questo coso?» gli chiesi, consapevole che mi avrebbe risposto di no.
«No. Così è più divertente!» mi disse infatti, mentre la sua bocca e la sua lingua riprendevano a torturare i miei centimetri di pelle scoperta e la sua mano scendeva tra le mie gambe, ad accarezzarmi là dove si stava concentrando tutto il calore che stavo producendo a contatto con lui. Sarei morta per autocombustione, altroché.
«Jake...» mugolai, mentre la sua mano si muoveva sul cotone dei miei pantaloncini, riuscendo comunque a provocarmi degli spasmi di piacere, tanto da farmi inarcare il bacino e stringere le gambe attorno ad essa.
Le sue labbra tornarono sulle mie, la sua lingua si intrecciò alla mia, e di nuovo mi persi nel calore del suo corpo.
Sentii la sua mano superare l'elastico degli shorts e quello delle mutandine, e, finalmente, a contatto diretto con la mia intimità. Piccoli tremiti cominciarono a scuotere il mio corpo, sempre più veloci, sempre più forti seguendo il ritmo imposto dalle carezze di Jake. Mi ritrovai ad avere bisogno di aria, e gli morsi un labbro, per farlo allontanare da me.
«Jake... Jake... Jake... Jake» ripetei, come un mantra, ad ogni scossa che percorreva il mio corpo, aumentando il volume della mia voce ogni volta. Era riuscito nel suo intento, mi aveva portata all'apice senza neanche spogliarmi, e senza neanche farmi vedere dove mi stava conducendo.
«Direi che hai superato egregiamente il primo livello, amore!» mi disse nell'orecchio, mordendo il lobo mentre si allontanava da me, lasciando libere le mie braccia di muoversi.
«Posso togliere la benda?» chiesi di nuovo, mentre cercavo di riprendere il controllo del mio respiro e del mio corpo, nonostante l'attenzione su di lui mi avesse portata a sentire il rumore di dita leccate. Stava assaporando me. Il solo pensiero, produsse una nuova onda di piacere.
«No, ma se fai la brava, all'inizio del prossimo livello ti permetto di togliere due capi di abbigliamento, anzi... te li toglierò io, e sarà un vero piacere» mi disse, malizioso.
«Vuoi farmi impazzire?»
«Forse» rispose, enigmatico. Il rumore di una serratura che scattava.
«Che cos'è successo?» chiesi.
«E' appena iniziato il secondo livello»
«Jake, perché parli di livelli? Non è un gioco alla playstation quello che stiamo facendo!» dissi, fingendomi scandalizzata.
«No, non alla playstation. Ma non stiamo giocando anche noi?» disse, avvicinandosi nuovamente a me, prendendo la mia mano in una delle sue, facendomi alzare da quello che - ormai ero certa - era un divano, e trascinandomi con lui, mentre la mano non impegnata nella mia, risaliva il mio fianco da sotto la maglietta, così come la mia mano libera risaliva il suo torace, accarezzandolo. In quella posizione, che probabilmente dall'esterno sarebbe sembrata quella di un ballo lento molto, molto sconveniente, potevo sentire la sua eccitazione sporgere prepotente dai jeans, che implorava di essere liberata. Istintivamente, la mia mano scese verso il bottone dei jeans, e, di nuovo, me la ritrovai stretta in quella di Jacob, che l'aveva allontanata dal suo membro.
«Non ancora, amore. Ti ho detto che stasera le regole del gioco le scelgo io!» disse, sussurrando scherzoso al mio orecchio, leccando di nuovo il lobo e seminando una scia di baci lungo la mandibola e il mento, prima di rimpossessarsi delle mie labbra, della mia bocca, della mia lingua.
Ero in sua balia, completamente, eppure, non mi sentivo indifesa. Adoravo quella sensazione di fiducia incondizionata. Non sapevo dove mi stava portando, eppure, avevo la certezza che qualunque fosse quel posto, avrei provato un enorme piacere andandoci. Ci muovevamo in circolo, mi girava la testa ed ero inebriata da quel suo modo di vezzeggiarmi, coccolando ogni centimetro del mio corpo, con il solo uso delle mani e della lingua.
Non sapevo verso quale angolo della rimessa mi stesse portando, avevo perso del tutto il senso dell'orientamento, ma in fondo non mi importava poi molto. Iniziavo ad apprezzare anche la mancanza della vista. Costretta a sfruttare gli altri sensi in maniera maggiore, le sensazioni che provavo erano tutte amplificate. Cominciavo a pensare che l'intenzione di Jake fosse proprio quella. Portarmi lentamente alla pazzia, prima di concedermi quello che volevo. E che voleva anche lui, a giudicare da quello che mi sentivo premere contro. All'improvviso, mi sollevò da terra, e mi poggiò su un... letto. Un letto nella rimessa? Ma... allora era vero che stava preparando una sorpresa per me.
«Jake, un letto?» gli chiesi, sconcertata.
Aveva trasformato la rimessa in un antro di perdizione per noi due? Non gli avrei più permesso di uscire di lì, se mai avessi scoperto che quei cambiamenti erano permanenti. Invece di rispondermi, le sue mani si aggrapparono ai miei pantaloni, e li fecero scendere fino alle caviglie insieme all'intimo, dalle quali li scalciai via prima che lui cambiasse di nuovo idea.
«Nessie, tieni particolarmente a questa maglietta?» mi chiese, con voce roca afferrando il bordo inferiore della t-shirt. Era la stessa cosa che mi aveva chiesto la prima volta che avevamo fatto l'amore. Solo che allora in ballo c'era una camicia da notte di seta di zia Alice, della quale non mi era importato nulla, non una sua maglietta di cotone che io usavo in casa per sentirlo vicino anche quando non c'era.
«No, ma è tua» gli risposi, con voce affannata per lo sforzo di trattenermi dal togliermi la benda e prendermi quello che mi stava negando con una dolce e sensuale tortura.
«Allora non c'è problema» rispose, mentre strappava la maglia a metà, e mille goccioline schizzarono sul mio corpo partendo dal tessuto bagnato.
«Sei ghiacciata» mi disse, iniziando a riscaldarmi asciugando ogni gocciolina d'acqua che era caduta sul mio corpo, indugiando con le labbra nei punti che aveva imparato a riconoscere come più sensibili e accarezzandoli con la lingua, il tutto mentre le sue mani si portavano a torturare i miei seni, ormai liberi, stringendo i capezzoli, e facendoli inturgidire, più di quanto già non fossero per il contatto con il tessuto gelido. La mia eccitazione era tanta che ero di nuovo più che pronta ad accoglierlo.
Di nuovo, il mio odore mandava in orbita me, ma probabilmente non lui, che placido continuava il suo lavoro di tortura. Fu quando il suo naso si poggiò sul mio inguine che le mie mani scattarono sulla sua testa, tra i suoi capelli, trattenendolo per cercare di ottenere quello che volevo.
Che non tardò ad arrivare.
La sua lingua iniziò a giocare con il mio clitoride, le sue labbra, avide del mio sapore, succhiavano l'essenza del mio piacere. Una delle sue mani lasciò libero il mio seno, e raggiunse la mia apertura, trovandola fradicia di umori. Jake continuava a torturarmi scuotendomi con ondate di piacere sempre più forte. Ero quasi arrivata al secondo orgasmo della serata, e sapevo perfettamente che non sarebbe finita lì.
Quando le sue dita mi penetrarono, il ritmo seguito dalla sua lingua, insieme a quello delle dita, divenne sempre più frenetico, e mi trovai ad assecondarlo con movimenti del bacino altrettanto frenetici. Ogni incontro delle sue dita con il centro del mio piacere era una scossa. Ogni scossa una contrazione. Ogni contrazione un grido. Fino all'apice. E al rilassamento completo che ne conseguì.
Nei secondi che seguirono, mentre il mio respiro si regolarizzava, Jake scese dal letto e vi risalì dopo qualche istante, senza dirmi nulla, e prima ancora che la mia frequenza cardiaca si fosse regolarizzata, sentii la sua pelle nuda a contatto con la mia, senza più barriere di ogni sorta, e la sua voce carezzevole sussurrarmi roca all'orecchio.
«Ne hai avuto abbastanza?» mi chiese, mentre riprendeva a torturarmi il seno con una mano, e il triangolo tra le mie gambe con l'altra. Gemetti. Mi avrebbe uccisa, se avesse continuato in quel modo, poi gli risposi.
«Non riuscirò mai ad averne abbastanza di te» dissi, tra un sospiro e l'altro, tra un gemito e l'altro. Alla mano che era tra le mie gambe si sostituì, finalmente, quello che avevo desiderato dall'inizio di quella sera. Con il suo membro, duro e rigido, iniziò ad accarezzare quel triangolo di pelle calda, bollente, che aspettava solo lui. Si strofinava su di essa, spingendo e ritraendosi, nel tentativo di far durare quel gioco per sempre. Ma non poteva, perché era già andato oltre il limite della sopportazione.
Mi penetrò. Lentamente, dolcemente, prima, per caricare ogni colpo di maggiore forza con il susseguirsi delle spinte. Aumentava la forza e la frequenza, insieme al suo affanno e ai nostri gemiti che si perdevano nella stanza. Il gelo che la maglietta bagnata mi aveva lasciato addosso era ormai solo un ricordo, la mia temperatura era di parecchi gradi superiore a quella normale di Jacob, che ormai aveva la stessa temperatura del fuoco che scoppiettava nel caminetto acceso precedentemente.
Le sue labbra scesero sulle mie, la lingua si unì alla mia, poco prima di raggiungere insieme l'apice. Per me era la terza volta quella serata, e tra tutte, la migliore, perché stavo condividendo la mia gioia, il mio piacere, con l'uomo che amavo. Per lui era la prima, ma avevo tutte le intenzioni di pareggiare i conti non appena avesse liberato i miei occhi da quella benda, che aveva contribuito ad aumentare il piacere che stavo provando. Un'ultima spinta, e sentii la sua erezione diminuire di volume, lasciando dentro di me una sostanza viscosa.
«Ti amo» mi disse, prima di sciogliere la benda, e farmi vedere di nuovo il suo favoloso viso, coperto di un sorriso soddisfatto e appagato.
«Ti amo anche io» risposi, guardandolo negli occhi, e posando le mie labbra sulle sue dolcemente, mentre eravamo ancora uniti. Lui rotolò sulla schiena, trascinandomi su di sé, ed io sentii il suo membro riprendersi prontamente rispondendo a quel bacio che diventava via via sempre più rovente. Mi staccai da lui, e lo lasciai uscire da me, a malincuore. Lo sentii borbottare, forse dispiaciuto per quello che avevo fatto. Sicuramente però, non gli sarebbe dispiaciuto quello che stavo per fare.
«Sta iniziando il terzo livello!» gli sussurrai nell'orecchio, maliziosa. Scivolai verso la parte bassa del letto, posizionandomi in ginocchio tra le sue gambe e prendendo la sua asta tra le mani. Quella si indurì prontamente, senza arrivare però al culmine dell'erezione. La strinsi nel pugno per qualche istante, prima di iniziare a massaggiarla dalla punta alla base, e ritorno. Lo vidi chiudere gli occhi, assumendo un'espressione estasiata, e spalancarli al sentire la mia lingua accarezzare la punta del suo membro, soffermandosi in tutte le sue pieghe, per poi scendere lentamente verso la base, seminando una scia di saliva, e raccogliendola con le labbra al ritorno, e poi di nuovo, sentendo aumentare di dimensioni e durezza l'asta. Lo accolsi in bocca, dapprima soffermandomi solo sulla punta, accarezzandola con movimenti circolari della lingua, e lasciandola andare. E poi di nuovo, un pezzettino più giù, continuando quel gioco fino a quando non sentii la sua punta colpire il fondo del mio palato. La mia mano, andò a coprire quello che non era entrato nella bocca, ed iniziai a muovere insieme mano e testa, imitando il movimento che avremmo fatto se ci fossimo fusi insieme.
Aumentavo e diminuivo il ritmo, seguendo le espressioni che si rincorrevano sul viso di Jake, fino a quando non raggiunse l'apice, svuotandosi completamente nella mia bocca. Ingoiai tutto il suo seme, rovente e dal sapore dolce, come era lui, senza lasciare che una sola goccia andasse sprecata.
Poi ritornai a distendermi su di lui, con il seno schiacciato sul suo torace.
«Ness... sei... unica» mi disse, guardandomi negli occhi, mentre riprendeva a respirare normalmente, passando le sue braccia sotto le mie e stringendole sulla mia schiena nuda, trattenendomi in quella posizione. Con una delle mani iniziò ad accarezzarmi la schiena, scendendo fino ai glutei e risalendo lungo la spina dorsale, facendomi rabbrividire di piacere.
«Non ne hai avuto abbastanza?» gli chiesi, ripetendo quello che aveva detto lui a me.
«Mai, quando si tratta di te» rispose, afferrandomi per i glutei e portando il mio viso all'altezza del suo, prima di baciarmi teneramente.
«Allora, ti piace?»
«Cosa?»
«Come cosa? La nostra nuova camera da letto!» mi disse, sorridendo.
«Non saprei... non è che sia riuscita a guardarmi troppo intorno! E poi... camera da letto? Hai davvero sacrificato la rimessa per questo?»
«Non è un sacrificio, se mi garantisce un po' di privacy con la donna che amo! Ammetto che inizialmente avevo pensato più ad un rifugio per momenti come questo, piuttosto che ad una vera e propria camera da letto, ma in fondo ormai i ragazzi sono diventati grandi, almeno d'aspetto, e hanno bisogno di una camera ciascuno... quindi... i momenti come questo diventeranno molto frequenti!» disse, dandomi un altro bacio, un po' più lungo del precedente.
«Mi hai fatto preoccupare, sai? Non sapevo cosa pensare, mi stavi trascurando, e non era mai successo, da quando ci siamo conosciuti» gli dissi, con una vocina da bambina imbronciata, quella a cui nessuno sapeva dire di no.
«Ti amo» mi disse di nuovo, facendomi scendere dal suo torace e stringendomi al suo fianco.
«Da sempre e per sempre» risposi, stringendolo a me con un braccio e appoggiando la testa nell'incavo del suo collo, prima di addormentarmi.

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