Tutto in una notte pt.2 (Pov Jacob/Renesmee/Jacob)

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Jacob

Non ero preparato alla mia mossa successiva. Preso dall'impulso irrefrenabile di starle più vicino, decisi di trasformarmi. Allontanarmi da quella ragazza fu la cosa più difficile che avessi mai fatto e fui felice che quella separazione durasse solo per pochi istanti. Giusto il tempo di fare il giro della casa, ed entrare dalla porta sul retro. La trovai ancora lì, appoggiata con i gomiti alla finestra.
La camicia da notte, in seta bianca, sottolineava le sue forme, perfette, coprendola più di quanto non avessero fatto i suoi abiti in quei dieci giorni. Spensi la luce. La mia vista da licantropo mi impediva di essere cieco, perfino con quel buio. La vidi voltarsi verso di me, ed abbozzare un sorriso. Velocemente mi avvicinai a lei. La abbracciai, e la tenni stretta per qualche secondo, senza parlare.
«Non avevi paura di quel grande lupo là fuori?» le chiesi sussurrando al suo orecchio.
«Sapevo che eri tu - mi rispose, con semplicità - Me lo hanno detto i tuoi occhi. I tuoi inconfondibili, nerissimi, profondissimi e sensualissimi occhi»
Aveva sottolineato ogni aggettivo per descrivere i miei occhi con un bacio. E il mio corpo stava letteralmente impazzendo a tenerla così tra le mie braccia.
«E adesso cosa ti dicono i miei occhi?»
La mia voce era roca. Segno dei primi cedimenti. E lei se ne era accorta.
«I tuoi occhi... mmmh... mi dicono che questo lupetto è affamato» mi rispose maliziosa, stringendosi ancora di più a me.
«E cosa gli vorresti dare da mangiare?» dissi, continuando il suo gioco.
«Che ne diresti di una ragazza? Pelle chiara come la luna. Capelli color bronzo»
«Il lupetto non mangia le belle ragazze» le risposi, ridendo.
«Peccato. - mi disse lei. Poi mi sussurrò all'orecchio - Perché anche la ragazza aveva fame. Del lupetto»
Mi aveva stupito e stordito con quelle parole. Perciò per qualche istante mi limitai a fissare i suoi fianchi che, ondeggiando, andavano nella direzione delle scale. Per me in quella casa "scale" significava una cosa sola. Camere da letto. La vidi fermarsi a metà della scala per voltarsi verso di me. Sorrideva. E con un dito mi invitava ad andare con lei. Deglutii. Poi la seguii.
Ipnotizzato. Stregato. Completamente annullato.
Lei mi attendeva sulla porta di una delle camere da letto. Io la raggiunsi e la baciai. Fu un bacio violento. Carico di passione. Che ci lasciò senza fiato, e con una fiamma negli occhi quando ci separammo.
«Jacob - mi disse ansimando - Voglio essere tua»
Non me lo feci ripetere due volte. I miei desideri e i suoi coincidevano. Come identico era stato il bisogno di essere uno vicino all'altro che ci aveva portati all'insonnia di quella notte.
«Io voglio che tu sia mia» le dissi, con voce roca, prima di baciarla ancora una volta fino a perdere il fiato. La presi in braccio e la adagiai sul letto. Mi inginocchiai sul letto, di fianco a lei, baciandole il collo. Sentivo la sua eccitazione crescere ogni attimo. Il suo respiro farsi affannato. Vedevo le sue gote arrossarsi. E tutto contribuiva a crescere la mia di eccitazione. Che ben presto si trovò scomoda in quei miseri pantaloni di jeans strappati al ginocchio. Non avevo biancheria sotto. Come ogni volta in cui mi vestivo dopo essermi trasformato. Non volevo che mi prendesse per un maniaco, ma davvero cominciava a farmi male. La vidi sorridere, e scendere con le mani sui bottoni dei miei pantaloni. La fermai, guardandola, improvvisamente imbarazzato.
«Non c'è... non c'è niente sotto» le dissi balbettando.
Che coglione, Jake. Balbetti in un momento del genere?
«Niente che io non vedrei tra qualche istante, in ogni modo. E comunque, cosa ti fa pensare che sotto la camicia da notte ci sia qualcosa?»
Piccola, provocante ragazzina. Che continuava a slacciarmi i pantaloni. Che io lanciai nel buio della stanza, dopo averli tolti.
«Jacob. Sei... sei magnifico» mi disse, con uno sguardo eccitato.
«Sì, ma la star della serata sei tu, signorina» risposi, altrettanto eccitato. Con le mani le accarezzai le gambe, dalle caviglie, salendo verso le ginocchia e oltre. Per rendermi conto alla fine che quello che aveva detto era vero. Niente biancheria sotto la camicia da notte.
«E' più comodo» rispose ad una mia tacita domanda.
«Tieni molto a questo pigiama?» le chiesi, mentre baciavo le sue braccia, partendo dai palmi fino a raggiungere le spalle, e poi il collo.
«Non particolarmente - mi rispose, tra un gemito di piacere e l'altro - Perché?»
«Perché così è veramente più comodo» affermai, prendendo la camicia dal bordo inferiore e strappandola con un solo gesto fino al collo. Non era da me comportarmi in maniera così animalesca. Ma quella notte mi sentivo proprio così. Un lupo. E lei sembrava non essere spaventata dalla mia natura.
Anzi.
La accettava, stimolava e stuzzicava. Giocava con quella parte di me.
La osservai per qualche istante, era magnifica alla luce della luna, poi iniziai a baciare ogni parte di lei. Non lasciai inesplorato neanche un centimetro della sua pelle. Dolce, ma salata.
Sapeva di miele e di mare. Amavo il suo sapore, come ormai amavo ogni parte di lei.

Renesmee

«Adesso tocca a me, Jake» gli dissi, con la voce più sensuale che riuscissi a fare. Lo spinsi sul letto a pancia in su, ed iniziai a baciarlo, stando seduta sul suo petto. Lo sentivo gemere di piacere, e questo contribuiva a farmi eccitare ancora di più. Godevo nel renderlo felice.
Era davvero sbagliato? Aveva un buonissimo sapore, oltre che un buonissimo odore. Dopo quella notte non sarei più riuscita a fare a meno di lui. Ma, in fondo, c'ero mai riuscita? Scendevo lungo il suo torace, baciando e leccando. Ma scivolavo anche con il bacino, e mi trovai a contatto con la sua erezione. Mi strusciavo sulla sua erezione. Che si induriva sempre di più.
«Non ce la faccio più» disse lui ad un certo punto, con gli occhi annebbiati dalla passione, ribaltando le nostre posizioni.
Mi trovai di nuovo sotto di lui. Questa volta, con la sua erezione a contatto con le mie parti intime. Mi solleticava. Spingeva piano piano, poi si allontanava. Poi tornava nuovamente a spingere, e ogni volta lo faceva un po' più forte.
Mi penetrò.
Chiusi gli occhi. Aveva bruciato un po'. Ma era normale, la prima volta. Abitare con due medici era servito a qualcosa.
«Ti ho fatto male?» mi chiese, premuroso.
Scossi la testa. E gli sorrisi per rassicurarlo. Rimase fermo per un po'. Probabilmente non mi aveva creduto. O forse mi stava dando modo di abituarmi alla sua presenza veramente... ingombrante. All'improvviso lo sentii uscire. Istintivamente inarcai la schiena, per cercarlo. Sentii il suo bacino contro il mio. Poi non lo sentii più. Poi di nuovo. Capii cosa stava facendo, finalmente. E cercai di imitare il suo ritmo. Un ritmo che aumentava sempre di più: Fino a quando non urlai di piacere. E lui con me.
Mentre la sua erezione diminuiva. Era ancora dentro di me. Potevo sentirla. Ma diminuiva. Pensai al motivo. E arrossii, ancora dì più, se possibile.
«Ti amo» gli dissi.
«Ti amo» mi rispose, prima di posare le sue labbra sulle mie.
Questa volta con dolcezza.

Jacob

Era stato... trascendentale. Era l'unica cosa che potesse definire il sesso con quella ragazza. Ma non era stato sesso.
Io l'amavo.
Lei mi amava.
Noi avevamo fatto l'amore.
Uscii da lei. Avrei finito per schiacciarla con il mio peso, altrimenti.
«Stai bene?» le chiesi, stringendola al mio fianco.
«Mai stata meglio» mi rispose, sospirando. Si sistemò meglio, con la testa nell'incavo del mio collo. Con il naso che strusciava su di esso. Con le labbra sulla mia spalla. Con le gambe intrecciate alle mie. E si addormentò.
La osservai dormire. Esprimeva bellezza e dolcezza. Ispirava protezione e amore.
All'improvviso, sentii un ronzio. Ma era più fastidioso di un ronzio. Era... un cellulare che vibrava. Non poteva essere il mio. A meno che non me lo fossi portato dietro da trasformato. Cercai con gli occhi. Non potevo muovermi troppo. Non volevo svegliarla.
Lo vidi. Era sul comodino. Ma chi poteva essere a quell'ora? Allungai il braccio. Lo presi. Risposi.
«Pronto?»
«Jacob?» disse una voce sorpresa dall'altra parte.
Una voce che conoscevo benissimo, benché non la sentissi da tempo. Da dieci anni.
«A... Alice?»

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