Ciclone ( Pov Jacob)

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Jacob

«Papà!»
I bambini, che giocavano di fronte a casa di Sue e Charlie con Seth, ci corsero incontro. Lasciai la mano di Nessie per accoglierli tra le mie braccia.
«Papà... com'è andata?» mi chiese Sarah, con gli occhi sognanti e senza troppi giri di parole. Guardai storto Seth, ma non riuscivo a non sorridere. Nonostante le preoccupazioni che si erano profilate all'orizzonte fossero ancora vive dentro di me, mi sentivo felice come non lo ero mai stato. Anzi, come ero stato forse soltanto il giorno della nascita dei gemelli, ma era una felicità diversa. La donna che amavo aveva accettato di sposarmi, ed io volevo gridarlo al mondo intero.
Nessie scoppiò a ridere. La sua risata argentina, sincera, gioiosa, contagiò tutti e ben presto ci ritrovammo come quattro idioti a ridere in mezzo alla strada.
«Ti riferisci a questo?» chiese poi a Sarah, mostrandole la sua mano sinistra.
«Hai accettato!» gridò lei, felice. Ethan mi saltò al collo.
«Ehi, ehi, ehi! Non sei più tanto piccolo! Faccio fatica a tenerti così!»
«Scusa, papà, ma sono felice!» Mi ritrovai stretto nell'abbraccio dei miei figli e della mia futura moglie.
«Ragazzi, siete in ritardo!» urlò Sue dalla veranda della casa, tenuta in perfetto ordine. Insieme ci dirigemmo verso la casa. Appena entrati, notai che veramente eravamo in ritardo. Erano già tutti seduti intorno alla tavola. C'erano Billy, Rachel e Paul, Leah ed Embry, e Charlie. Con noi, eravamo in dodici seduti intorno a quel tavolo. Una grande famiglia. Che ormai non contava solo Quileute.

«Sue, era tutto buonissimo!» dissi, abbracciandola.
«Grazie, Jake. Sai che mi fa piacere cucinare per voi!» mi rispose lei.
«Sì, lo so. Ma non siamo mai abbastanza riconoscenti per questo!» scherzai.
«Papà?» mi chiamò Sarah.
«Dimmi, tesoro!»
«Ti devo chiedere una cosa» mi guardò, seria, con quegli occhioni neri che aveva ereditato da me.
«Tutto quello che vuoi»
«Come si capisce di essere innamorati?»
Dannazione, Sarah. Fai tutte le domande del mondo a Seth e questa la riservi per me? Non so cosa risponderti! Come al solito, del resto. Pensai, frustrato.
«Credo che sia diverso per ogni persona» le risposi.
«Perché "credi"?» insistette.
«Perché io ti posso dare solo la mia esperienza»
«Allora, vediamo come posso cambiare la domanda in modo da avere una risposta soddisfacente» Proprietà di linguaggio di una donna adulta in una bambina di undici anni. Ma ero sicuro che fosse mia figlia? Le girai intorno e sollevai la coda che nonna Sue le aveva fatto con i suoi lunghi capelli, fissandole la nuca per qualche secondo.
«No» mormorai pensoso.
«Papà, che fai?» mi chiese.
«Mi chiedevo se ti avessero sostituito stanotte con qualche clone robotico»
«Papà, guardi troppa televisione!» Incredibile, rimproverato da una bambina di undici anni. Da mia figlia.
«Comunque, non cercare di distrarmi. Come ti sei accorto di essere innamorato di lei?»
«"Lei" è Nessie? - Sarah annuì - Dopo la prima volta che l'ho vista, ho pensato a lungo a lei, ma non mi ero reso conto di essermi innamorato fino a quando non l'ho vista per la seconda volta. E a pensarci bene neanche quella volta volevo arrendermi all'evidenza. Alla terza volta, però... mi è stato chiaro che senza di lei non sarei più potuto stare. Ti va bene come spiegazione?»
«Non tanto. - mi rispose, sincera come suo solito. E spietata come suo solito - Dove vi siete incontrati la prima volta?»
No, a questo ancora non posso risponderti, piccoletta! Domani mattina ti racconterò tutto. Promesso. Dissi tra me e me.
«Perché invece di farmi queste domande non vai a giocare fuori con Ethan? Ci sono le nuvole, ma non piove!» le risposi, cercando di svicolare da quel percorso su cui aveva seminato acqua e sapone per farmi scivolare.
«Va bene, papà. Tanto prima o poi dovrai dirmelo! - mi disse lei - Senti, papà, ti posso fare un'ultima domanda?»
«Sono tutt'orecchi» tanto, anche se avessi detto di no, lei l'avrebbe preso per un sì.
«Non trovi che Nessie somigli un bel po' alla mamma?» mi chiese, mostrandomi una foto di noi quattro di fronte alla casa di Bella a Dartmouth, quasi undici anni prima. L'aveva scattata Alice, e Bella l'aveva incorniciata, tenendola in mostra sul caminetto della casa. Pensavo di aver fatto sparire tutte le copie di quella foto, l'illusione di una famiglia felice. Una famiglia che non era mai esistita.
«Dove l'hai presa?» le chiesi, invece di risponderle.
«Non si risponde a una domanda con una domanda, papà. E' da maleducati» mi disse, citando una delle mie frasi più celebri. Ero troppo stupito per darle peso.
«Sarah, dove l'hai presa?»
«Era nel gilet di nonno Charlie. Sai quello con cui va a pesca?»
«Hai frugato nelle sue tasche?» le chiesi con uno sguardo di rimprovero.
«No, ha chiesto a me e a Ethan di prendergli la penna nel taschino, ed Ethan l'ha fatta cadere» Presi la foto, e finsi di guardarla attentamente. In realtà sapevo perfettamente quali fossero le somiglianze tra Nessie e Bella. Ma sapevo anche quali erano le tantissime differenze tra di loro.
«Sì, gli occhi hanno una certa somiglianza. Ma per il resto sono completamente diverse» le risposi, cercando di essere il più credibile possibile. Lei mi strappò la foto dalle mani, fissandola scettica.
«Secondo me si somigliano, altroché!» E fuggì via, senza dire altro. Sì, dovevo necessariamente parlare ai gemelli di Bella. Ma il giorno dopo, quando avessero già saputo del branco e dell'esistenza dei vampiri.
«Che ti ha detto?» mi chiese Nessie, avvicinandosi a me e posando una mano sulla mia spalla.
«Mi ha chiesto come ci si rende conto di essere innamorati»
«E tu cosa le hai risposto?» mi chiese lei, stringendo gli occhi, fingendo di guardarmi con sospetto.
«Che sei irrimediabilmente innamorato di qualcuno quando ti rendi conto che lo stare senza di quel qualcuno ti manda al manicomio»
«E a te è capitato?»
«Lo sai. Non posso stare senza di te» le dissi, abbracciandola stretta.
«Bleah» Ethan, ti ammazzo! Strofinai la mano sulla schiena di Nessie, poi la lasciai, a malincuore.
«Perché non sei fuori a giocare con tua sorella?»
«Perché Sarah sta facendo le coccole a Zack. Zia Rachel lo ha lasciato in braccio a nonno Billy e lui piangeva, così Sarah si è messa a giocare con lui e lui s è calmato subito. Però ora non vuole giocare con me» terminò mettendo il muso. Come biasimarlo, era abituato ad avere sua sorella tutta per sé, al limite a dividerla con Seth, ma non ci faceva caso, lui era come un compagno di giochi troppo cresciuto, ero stato io a farlo crescere con quella convinzione. Ed ora si trovava a dividerla con un cuginetto, non in grado di camminare e neanche di parlare, figuriamoci di giocare. Un cosino che piangeva, mangiava e dormiva. Un cosino che le donne, e le bambine, adoravano. Mi chinai di fronte a lui.
«Cucciolo, non avere quell'espressione abbattuta. Lo sai che non mi piace quando fai quella faccina»
«Papà, non usare quel tono con me. E non chiamarmi "cucciolo". Ormai sono grande!» mi rispose lui, riprendendo il suo abituale atteggiamento da duro. Scoppiai a ridere. E mi alzai, posandogli una mano sulla testa per scompigliargli i capelli.
«Perché non vai da zio Sam a giocare con Terry?» gli chiesi. Sul suo viso si formò un'espressione estasiata.
«Perché non ci ho pensato prima io?» mi chiese, allegro come non mai, preparandosi ad uscire di casa.
«Ehi, frena i cavalli, campione! Prima devi salutare i nonni e gli zii. Poi io e Nessie ti accompagneremo dallo zio Sam e dalla zia Emily»
«Non posso andare da solo?» mi chiese, con un'espressione che fino ad allora avevo visto sempre e solo sul viso di Sarah. Un'espressione implorante che lei usava solo quando le impedivo di fare qualcosa con Seth. Quanto odiavo l'imprinting. E menomale che quello di Ethan era solo ancora a metà.
«Ehi, Ethan! Mi offendi! Non vuoi fare una passeggiata con me e papà?» La mia adorabile Nessie. Spalla e complice.
«Non pensavo volessi veramente accompagnarmi!» le rispose lui con un sorriso radioso. Se non fosse stato mio figlio, e suo fratello, sarei stato geloso.
«Ehi, ehi, Casanova, vacci piano! Lei - e sottolineai la parola stringendo Nessie al mio fianco - è la mia donna!» In risposta lui mi fece una linguaccia poi corse via.
«Vado a salutare!» urlò, mentre scappava.

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