Vita (Pov Jacob)

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Dieci anni dopo

Jacob

Odore di incenso bruciato.
Un bosco. Pieno di fumo.
Puzza di sangue.
Correvo, correvo, e non riuscivo a raggiungere la sorgente di quell'odore.
Una risata malevola mi riempiva le orecchie.
"Non riuscirai mai a salvarla, cane!"
Continuavo a correre, cercando di ignorare quelle parole.
Cercavo di raggiungere quella forma che si intravedeva in mezzo al fumo.
Mi affannavo, ma più correvo e più si allontanava.
All'improvviso arrivai.
Una pozza di sangue. E in mezzo...

«Bella... noooooo» Mi svegliai urlando. Sudato fradicio. Con quell'immagine, che poi non corrispondeva neanche a quella reale, negli occhi.
«Papà, papà! Hai di nuovo fatto un incubo? »
La mia principessina. Si preoccupava sempre per me. Vizio, questo, che aveva preso da sua zia Rachel, ma anche e soprattutto da Seth.
«Pà che hai? Ti ho sentito urlare» disse Ethan, sbadigliando vistosamente. Gli tirai il cuscino.
«Quante volte ti ho detto che devi mettere la mano davanti alla bocca quando sbadigli?»
«Tutte le volte che lo faccio, pà» Sarah alzò gli occhi al cielo.
«Che hai?» le chiese suo fratello.
«Non imparerai mai» gli rispose lei, perfetta nella sua salopette di jeans con i pantaloni al ginocchio e una maglietta arancione. Poi guardai l'orologio.
«Sarah, come mai sei già pronta?»
«Ieri sera Seth ha detto che sarebbe venuto alle nove e mezza.»
«E sono le nove e un quarto - sospirai - dobbiamo sbrigarci Ethan»
«Pà, ma dobbiamo proprio andarci?» mi chiese mio figlio, sbadigliando ancora, questa volta coprendosi la bocca.
«Non lo devi neanche chiedere» disse Sarah.
«Ma sono dieci anni che ci propini questa solfa. Io non me la ricordo neanche la mamma. Che senso ha andare a portare fiori nel luogo in cui è morta?»
Sua sorella lo guardò storto. Lui sembrò capire immediatamente, neanche lo avesse minacciato verbalmente.
«Va bene, va bene, mi vado a preparare!» disse, alzando le mani.
«Non mi occupare il bagno per il prossimo secolo!» gli urlai scherzoso. Risi. Come ormai mi accadeva solo quando stavo con loro. Non mi permettevo mai di ridere. Mi sentivo ancora troppo colpevole della sua morte. Era per questo che ogni anno facevamo quella scampagnata. Perché potessi andare ad espiare le mie colpe. Loro non c'entravano niente, soprattutto Seth, ma fin dalla prima volta lui aveva insistito per accompagnarmi, ed ora era diventata una specie di tradizione.
Ethan, con mio grande dispiacere, mi somigliava troppo. Era per questo che era così insofferente alle visite in quel luogo. Soffriva ancora per l'assenza di Bella, ma non voleva mostrarlo. E così faceva esattamente quello che avevo fatto io alla sua età. Si lamentava ogni volta che suo padre gli chiedeva di accompagnarlo a trovare la madre. Al cimitero, o lì, in mezzo alle montagne.
«Posso?» chiese una voce ormai di famiglia.
«Vieni, Seth! Papà sta rifacendo il letto!» rispose Sarah.
«Quindi ti sei svegliato! - rise, facendo il suo ingresso nella mia stanza - pensavo di dover andare a prendere il carro attrezzi dell'officina!»
«Spiritoso!» lo rimproverai, dandogli uno scappellotto. Erano passati dieci anni, ma lui era sempre il moccioso, e io sempre il capobranco. Nonostante avessimo ormai "una certa età". Anagraficamente. Fisicamente non eravamo cambiati poi molto. Anzi per niente.
«Sarah, puoi andare a controllare se Ethan ha rifatto il suo letto? E chiedigli di sbrigarsi in bagno, serve anche a me!» le dissi.
«Ok, papà!» mi disse, con un sorriso a trentadue denti. Era bellissima. Me, con la carnagione di sua madre. Con lo stesso modo di arrossire di sua madre. Con gli stessi boccoli di sua madre. Mi diede un bacio sulla guancia e uscì dalla porta.
«Ehi, principessa! E io non mi merito un saluto degno di questo nome?» le chiese Seth. Ormai avevo fatto l'abitudine a quei siparietti, non ci facevo neanche più caso. Lei tornò indietro e gli saltò al collo, come avrebbe fatto con me, o con un fratello maggiore, schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Così va bene, Seth?»
«Diciamo di sì» rispose lui, poggiandola a terra. Lei sparì, a cercare le prove dei "misfatti" di Ethan. Sarah e Seth si adoravano. Si chiamava imprinting. Io non l'avevo ancora avuto. Nonostante Lei fosse morta. Forse perché non avevo mai smesso di amarla.
Bella.
Inspirai profondamente. Poi espirai. Pensare a lei mi faceva sempre male. Perché non ero riuscito a proteggerla.
«Jake?» mi chiamò Seth.
«Sì?»
«Non ci pensare»
«Ma come...»
«Ho studiato psicologia, mentre tu crescevi due figli e aprivi un'officina. Ricordi?»
«Sì, signor consulente scolastico, ricordo!» Seth aveva iniziato una collaborazione con la scuola superiore di Forks. I ragazzi lo adoravano. Era rimasto lo stesso Seth di un tempo. Schietto. Originale. Scherzoso. Spontaneo.
«Pà, ho finito!» urlò Ethan appena uscito dal bagno.
«Seth, scusami. Mi lavo e mi vesto in cinque minuti.»
«Fai con comodo, non ti preoccupare. Io intanto vado a controllare che i cuccioli non si stiano uccidendo a vicenda»
«Grazie, Seth! Mi faresti un enorme favore. Tenerli a bada sta diventando sempre più difficile, anche perché ogni tanto...»
«Ogni tanto?» mi chiese lui.
«E' una cosa assurda, penserai che sono pazzo»
«Dimmela lo stesso. Sono abituato ad avere a che fare con i pazzi!»
«Ogni tanto mi sembra che litighino anche senza parlare... che comunichino... come noi, sai... quando...»
«Non è che ti sembra. Lo fanno»
«Che?» chiesi sorpreso.
«Non te ne eri mai accorto?»
«Pensavo fosse solo una mia impressione. Era una cosa assurda»
«Disse l'uomo che si trasformava in lupo» mi rispose ridendo.
«Shhh. La mia decisione non è cambiata»
«Veramente ancora non vuoi...»
«No. Non voglio coinvolgerli in questo mondo malato in cui viviamo noi. Per loro vampiri e licantropi rimarranno solo creature mitologiche. E' per questo che non ci hanno mai visti trasformati»
«E se capitasse...»
«Non torneranno» dissi deciso.
«Cosa te lo fa pensare?»
«Non l'hanno mai fatto in dieci anni, perché dovrebbero farlo ora? E poi farebbe troppo male a... Lui» Non l'avevo più nominato da quella notte. Era responsabile per la morte di Lei quanto me.
«Magari non lo faranno ora, ma potrebbero farlo»
«Potrebbe anche accadere quando Ethan e Sarah avranno dei figli loro, come è successo con i nostri genitori - dissi, poi tornai su un argomento che mi premeva - da quanto lo sai?»
«Da quando i gemelli hanno memoria» mi rispose.
«E non hai mai ritenuto necessario dirmelo?»
«Vediamo... Sarah me l'ha confidato come un segreto a quattro anni... quindi no. Non ho mai ritenuto necessario dirtelo. Non volevo tradire la sua fiducia. E non era una cosa che potesse metterla in pericolo.»
«Dannato imprinting»
«Lo odi, eppure lo vorresti. E' così la vita, Jake. Vatti a lavare, muoviti!»
«Sissignore!» dissi, mettendomi sull'attenti. Mi sbrigai velocemente, e mi infilai una maglietta a maniche corte e un paio di jeans strappati al ginocchio. Puliti. Non erano quelli che usavo ogni giorno per andare in officina. Uscii dal bagno.
«Ragazzi prendete le giacche a vento ed infilatevi in macchina» dissi. La possibilità che lassù ci fosse neve non era per niente remota. Come ben sapevo. Ci andavamo in macchina. I ragazzi non sapevano della nostra doppia natura, ed avevo deciso di non dirlo loro, a meno che non si fosse rivelato strettamente necessario. Quindi ci aspettava un'oretta in macchina, per raggiungere un'area picnic vicino alla zona dove c'era stato il combattimento, e poi una scarpinata di più di due ore. La durata della passeggiata si era allungata negli anni, mano a mano che i bambini crescevano.
Uscii di casa, e trovai Emily e Esther, sua figlia di otto anni, nel portico.
«Torni di nuovo là?»
«Come ogni anno» risposi alla mia amica.
«Terry, tesoro, vai a salutare Sarah e Ethan - le ordinò Emily dolcemente, per poi continuare quando si fu allontanata - Non capisco perché tu continui a farti così tanto male, e a non volere una vita normale»
«E' morta per colpa mia. Non posso essere felice, se Lei non può più esserlo»
«Jake, è un discorso che abbiamo fatto più volte»
«Sì. Tu e mia sorella sapete come essere insistenti» le risposi irritato.
«E tu sai come essere testardo» mi disse lei.
«Comunque. Questo è per voi - mi porse un cestino pieno di cibo - Ho pensato che Rachel non volesse affaticarsi, date le sue condizioni»
«Infatti, Rachel mi ha avvertito ieri sera... e non posso contrariare una donna incinta di otto mesi e mezzo, se no chi lo sente Paul! Ci saremmo arrangiati io e Seth.»
«Magari voi sì, ma non i bambini!» mi sorrise lei.
«Grazie, Emily! Per tutto. Ma per il discorso di prima... non credo di essere ancora pronto»
«E' solo perché non vuoi» mi rispose, prima di richiamare la bambina e salutarmi. Entrai in auto soprapensiero.
«Jake, tutto ok?» mi chiese Seth, preoccupato.
«Sì... sì» lo liquidai, accendendo il motore.
«Non è vero che va tutto bene, Seth. Papà ha avuto un incubo, stanotte» disse Sarah. Piccola pettegola. Anzi no. Maledetto imprinting! Per la seconda volta in un giorno.
«Sì, e si è svegliato urlando!» aggiunse Ethan.
«Ma voi due un pacchetto di affari vostri ve li fate mai?» dissi.
«Ce li stiamo facendo!» mi risposero in coro.
«Dici sempre che le cose che accadono ad ognuno di noi sono affari di tutti e tre, perché la famiglia divide tutto» mi riprese petulante Sarah.
«E noi siamo la famiglia!» puntualizzò Ethan.
«Certe volte mi pento di avervi messo al mondo così intelligenti!» brontolai.
«Papà ci racconti il tuo incubo?» mi chiese Sarah.
«Tesoro, non me lo ricordo»
«Sì, e io sono Liza Minnelli» disse Ethan, sarcastico. Aveva veramente preso tutto di me. Il peggio del peggio che potesse prendere.
«Sai chi è?» gli chiese Seth.
«No, ho letto il suo nome su una vecchia locandina nella soffitta del nonno» rispose.
«Ah, a proposito di nonno... stasera andiamo a cena da nonno Charlie!»
«Spero per voi che cucini mia madre!» disse Seth.
«Mi auguro che non ci odi così tanto da far cucinare suo marito!» dissi sorridendo. Due anni prima, Sue e Charlie si erano sposati. Lui l'aveva aiutata a superare la morte del marito. Lei quella della figlia. Si erano trovati e avevano scoperto di non voler fare a meno l'uno dell'altra. Così andava la vita.
Per tutti tranne che per me.
Dopo una mezz'oretta i ragazzi si addormentarono, complice anche la musica che Sarah aveva scelto per il viaggio. Mozart. Ultimamente aveva la fissa per la musica classica. Il vampiro avrebbe sicuramente apprezzato.
Cazzo, Jake. Ancora? Davvero hai pensato questa cosa per la miliardesima volta in dieci anni? Loro. Non. Esistono. O almeno non esistono nel mondo che stai costruendo per i tuoi figli.
«Era sempre lo stesso?» mi chiese Seth all'improvviso.
«Cosa?» finsi di non capire.
«L'incubo. Era sempre lo stesso?»
«Sì. Ma almeno la sua frequenza è scesa ad una volta all'anno!» risposi, fingendo un'allegria che non provavo.
«Forse sarebbe veramente ora che smettessi di farti del male»
«Anche tu? Non bastano mia sorella, tua sorella, Emily... e ogni donna che avete cercato di affibbiarmi in questi anni? Anche tu ti ci devi mettere con questa storia del "sono passati dieci anni, Jake"?» urlai. Inevitabilmente i bambini si svegliarono.
«Che hai da urlare, pà?» chiese Ethan.
«Niente, un gregge ha attraversato molto lentamente e mi sono un po' arrabbiato - risposi - e la pianti con quel "pà" da ghetto newyorkese? Sai che mi urta!»
«Va bene, papà» mi rispose mogio. Mi pentii di aver ucciso in quel modo il suo entusiasmo.
«Ethan. Scusami. Ero nervoso e me la sono presa con te. Ma quel "pà" è veramente fastidioso. Quindi, ti prego, non mi chiamare più in quel modo»
«Ok!» mi disse, riprendendo il suo solito tono allegro. Ci voleva veramente poco per farlo felice.
Arrivammo alla piazzola di sosta dopo un altro quarto d'ora. Passato in silenzio ad ascoltare musica classica. Prendemmo in spalla i nostri zaini e iniziammo a scarpinare. Ovviamente dopo uno spuntino preso dal cesto gentilmente fornitoci da Emily. Mentre camminavamo, io e Seth subimmo il fuoco di domande dei gemelli. Rispondevamo volentieri.
All'improvviso Sarah se ne uscì con una delle sue trovate che misero a dura prova Seth. Altro che imprinting. Per stare dietro a lei ci voleva proprio una testa a parte, e spesso non bastava.
«Seth?» lo chiamò.
«Pensi... pensi che se io chiamassi Sue "nonna" lei sarebbe contenta?»
«Penso di sì, principessa. Perché me lo chiedi?»
Era in arrivo una domanda terribile, me lo sentivo, Sarah stava usando il suo tono da finta timida.
«Poi... poi dovrei chiamare te "zio"?» gli chiese. Scoppiai a ridere. Volevo proprio vedere come ne sarebbe uscito. Dirle di no, perché non gli avrebbe fatto piacere, era da escludere, anche se era la realtà. Dirle di sì... significava mettere una bella pietra sopra i suoi sogni.
Le bambine non sposano gli zii, neanche quando crescono.
«Solo se ti fa piacere» le rispose lui. La solita diplomazia dell'imprinting. Ma rimettere ogni decisione nelle mani di una bambina di undici anni non era proprio la cosa migliore, per una relazione che non era mai nata.
«Non credo che mi farebbe piacere. - ci pensò su un attimo - no, decisamente. Tu sei e rimarrai solo Seth. Anche se chiamerò Sue "nonna" e Leah "zia"»
«Ne saranno felicissime!» le rispose lui sorridendo. Un sorriso a trentadue denti che aveva molti significati. Non tutti troppo chiari a quella strega di mia figlia.
«Papà sai che a Sarah piace Seth?» disse all'improvviso Ethan.
Annaspai. Era troppo presto. Lei era arrossita. E Seth sarebbe svenuto in poco tempo, se non avesse ripreso a respirare. Ci fermammo.
«In... in che senso Ethan?» chiesi.
«Ha scritto il suo nome su tutte le pagine del diario di scuola! E poi alle sue amiche dice sempre che si sposerà con lui. E ogni volta che qualcuno le chiede di fidanzarsi - a quelle parole il mio respiro si mozzò... mia figlia, fidanzata? - lei dice che non può perché sta con qualcun altro»
«Sei uno spione» gli sibilò sua sorella. Poi riprese a camminare. Vidi Seth appena in tempo.
«Seth, vado io con lei. Tra due minuti ripartite anche voi. Sai qual è la strada»
No, non lo sapeva, ma seguendo il mio odore, o meglio quello di Sarah, non avrebbe avuto certo difficoltà a trovare il percorso giusto.
«Sarah... Sarah, aspettami!» le dissi, rincorrendola a una velocità normale per i comuni mortali. Cavolo se sapeva essere veloce, quando voleva.
«Volevo stare da sola, papà» mi disse lei, senza guardarmi, con la voce rotta dal pianto.
«Tesoro, non sei la prima e non sarai neanche l'ultima alla quale un fratello ha rotto le uova nel paniere. Sai chi disse alla tua mamma che ero innamorato di lei prima ancora che potessi farlo io?»
«Chi?» mi chiese improvvisamente curiosa.
«Lo zio Embry» lo chiamavano così da quando erano piccoli, quel buffone. Ora lavorava alla mia officina. Come la sua... fidanzata. Mi faceva strano pensare a Leah come alla fidanzata di Embry. Si erano odiati per così tanto tempo... a dire la verità qualche volta mi sembrava che si odiassero ancora. E che stessero insieme per rovinarsi la vita. Stavano sempre a litigare come cane e gatto, per le minime cose. Eppure non avevo mai visto Embry emozionato come la volta che era venuto a casa mia a chiedermi consiglio su cosa indossare per il loro primo appuntamento.
Erano una coppia assurda.
«Davvero?»
«Sì, tesoro. Non parlai a Embry per due settimane.»
«E poi?»
«E poi, quando scoprii chi gli piaceva mi vendicai» quanto ero idiota a sedici anni.
«Papà, ma non si fa!» mi rimproverò, ma rideva, la mia piccolina.
«Beh, lui se lo meritava» insistetti serio. Poi risi con lei.
«Allora posso vendicarmi anche io?»
«Ma non avresti più gusto a farlo davanti a tuo fratello?»
«Mmmh... allora aspetterò che arrivino lui e Seth!» sorrise diabolica.
«Vogliamo fermarci ad aspettarli?»
«Ok. - mi rispose pensierosa - Senti papà... secondo te Seth mi vorrà ancora bene, dopo quello che gli ha detto Ethan?»
«Certo che ti vorrà ancora bene, principessina mia! - mi chinai ad abbracciarla - Non ne dubitare mai!» le dissi, occhi negli occhi, naso contro naso.
Non sai quanto lo hai reso felice, oggi. Pensai.
«Bleah! Che schifo! Sempre a scambiarvi smancerie!» disse Ethan. Erano arrivati.
«Sei solo geloso!» lo presi in giro, arruffandogli i capelli e dandogli baci sulle guance, quando riuscivo ad infilarmi in una delle sue pose da contorsionista professionista.
«Papà... - mi chiamò Sarah, con una vocina diabolica - A Ethan piace Esther!» rivelò, facendo una linguaccia al fratello.
«Questo è alto tradimento! - si lamentò lui - Ci eravamo giurati di non rivelare mai nulla di quello che ci eravamo... Ops!»
«Bene, perfetto, fratello dalla lingua lunga. Almeno finiscila la frase! Papà, io e Ethan riusciamo a parlare con il pensiero.» confessò. Era furiosa.
«Perché non volevi dirmelo?» le chiesi.
«Avevi già abbastanza preoccupazioni, non potevamo metterci anche le nostre stranezze»
Di bene in meglio. Due bambini di quattro anni che si preoccupano per il padre.
«Capisco, ma Seth lo sa da tempo, no?»
«Era l'unico... ma tu come lo sai?»
«Gliel'ho estorto con la forza. A dire la verità pensavo di star diventando pazzo. Sospettavo che ne foste in grado, ma non ne ero certo. E non ne potevo parlare con nessuno, non potevo mica finire al manicomio!»
«Sì, ma adesso riprendiamo a camminare, altrimenti non arriveremo mai!» ci rimproverò Seth.
«Va bene, ma io sto avanti con papà» disse Sarah, saltellando sul posto e prendendomi la mano.
«Sarah, che significa che a Ethan piace Esther?» le chiesi, curioso. Aveva ragione a dire che suo fratello aveva la lingua lunga, mi diceva sempre tutto, e invece questa mi giungeva del tutto nuova.
«Boh, non avevo mai letto nella sua testa una cosa del genere... invece, prima, quando Terry è venuta a salutarci in macchina, si è bloccato un minuto, con il cervello completamente vuoto. Non che ci sia niente di strano in questo, ma di solito pensa, anche se sono pensieri stupidi. Invece niente, il vuoto, e quando si è ripreso c'era solo lei. Balbettava come un cretino, e non pensava ad altro che a lei»
«Ed ora a cosa sta pensando?»
«Al pranzo» disse, scoppiando a ridere. Dovevo chiarirla con Seth, quella cosa. I sintomi c'erano tutti, ma non avendo mai avuto l'imprinting non potevo esserne certo. E, cavolo, lui non poteva aver avuto l'imprinting. Innanzitutto aveva solo undici anni. E poi... non era un membro del branco!
No, era solo una stupida cotta da bambino.
Però volevo parlarne con Seth. Era lui lo psicologo. E l'esperto di imprinting. La passeggiata continuò tra risate e chiacchiere. Quei bambini mi riempivano la vita. La coloravano. E mi facevano sentire... felice.
Arrivammo alla radura. Non era cambiato niente. Tranne forse gli odori. Le piogge e la neve avevano cancellato ogni traccia della battaglia di dieci anni prima. Respirai a pieni polmoni.
«Papà!» mi chiamò Ethan allarmato.
«Dimmi tutto, campione!»
«C'è un odore strano. Mi brucia il naso. Non mi era mai successo» era spaventato.
Odore strano che brucia il naso. Respirai di nuovo. Questa volta lo percepii anche io. Era leggerissimo, ma si sentiva.
«Seth. L'hai sentito anche tu?»
«Sì.» mi rispose.
«Cosa papà?» chiese Sarah.
Non le risposi.
«Bambini, rimanete qui con Seth. Papà va a controllare che non ci siano pericoli»
«Tipo?»
«Sarah, non è il momento per le domande» le rispose Seth dolcemente.
«Se non torno entro cinque minuti, porta i bambini al sicuro»
«Posso...»
«Fai tutto quello che è in tuo potere. Anche... quello. A quanto ho capito non potremmo nasconderlo loro ancora per molto» dissi.
«Cinque minuti?»
«Sì. Ce ne vogliono dodici per tornare alla riserva. Corri più veloce che puoi» gli dissi.
I bambini ci guardavano come alieni. O peggio. Come si guardano due adulti che si crede di conoscere, scoprendo improvvisamente che hanno invece nascosto molte cose.
«Vi spiegherò quando torneremo a casa» dissi loro. Poi mi avventurai nel bosco, mi spogliai e mi trasformai.

L'odore era sempre più forte, ma non era odore di vampiro. Gli somigliava, ma era meno forte. Mitigato da una presenza umana, forse. Arrivai nei pressi della pietra che avevo inciso per la mia Bella.
Torno subito da te con i bambini, giusto il tempo di accertarmi che sia sicuro. Pensai, diretto a lei. Certo che potesse sentirmi, ormai. Poggiai il muso sulla pietra, e fu in quel momento che incontrai quegli occhi.
Color cioccolata.
Di quella forma.
Quegli occhi che amavo.
B - Bella. Balbettai nella mia testa.
Sei viva. O sono io ad essere morto. Pensai. Poi mi resi conto che quella ragazza non poteva essere Lei, per quanto le somigliasse. Per quanto avesse i suoi stessi occhi. Neanche quelli di Ethan, che pure era suo figlio, somigliavano tanto a quelli di Lei. Il suo odore era diverso. Dolcissimo, quasi vampiresco. Ma diverso. I capelli erano lunghi e boccolosi. Ma color bronzo. Neanche avesse capito che non le avrei fatto del male, si alzò in piedi, dalla posizione accucciata e nascosta in cui si trovava.
Era vestita più per una sfilata di moda che per una scampagnata nei boschi. Ma mi ritrovai a pensare che somigliasse a una dea. Gambe lunghe e snelle, fasciate in un paio di leggings neri, sotto a una cortissima minigonna di jeans. Una maglia aderente che metteva in evidenza le sue forme perfette. Incarnato pallido. Come la luna. Non poteva esistere una donna così bella su tutta la Terra. O meglio, non esisteva più.
Si avvicinò a me. Io feci un passo indietro. Avvicinò la mano al mio muso, per farmi sentire il suo odore.
«Non avere paura, non voglio farti del male» mi sussurrò con la voce più bella che avessi mai sentito. Feci come mi aveva detto. E lei iniziò ad accarezzarmi, affondando le mani nel mio pelo. Mi abbandonai a quelle coccole, per un po'. Poi aprii gli occhi e la vidi. Quella lapide. Non c'era una morto lì sotto. C'erano i miei sentimenti. Che erano morti insieme a Lei. E che stavano cercando prepotentemente di tornare a galla. Ma non potevo tradirla.
Mi allontanai di scatto da quella ragazza bellissima. E scappai, lasciandola lì, da sola. Mi trasformai e mi rivestii. Tornai dai miei figli e da Seth.
«Andiamo a casa» dissi, deciso.

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