Distanze (Pov Ethan/Bella)

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Ethan

«Sarah!» urlai arrabbiato, rientrando in casa. La trovai in camera sua, seduta sul letto, con addosso un vestito viola, i capelli sciolti sulle spalle e truccata in modo leggero.
«Dimmi, Ethan!» mi rispose, con lo sguardo innocente e la voce di chi sapeva il motivo per cui lo si stava cercando. La fissai furioso per qualche istante, prima di ammorbidire lo sguardo e parlarle ancora.
«C'è qualche occasione particolare per cui tu ti sia messa quel vestito?» chiesi con tono acido, sapendo già la risposta. Lei mi conosceva abbastanza.
«Lo sai già?» mi domandò infatti in risposta, rattristendosi.
«Sì, e sono un po' arrabbiato»
«Io... io volevo dirtelo, ma tu non volevi festeggiare, e io invece ci tenevo, e così...»
«E così ancora una volta hai fatto tutto di testa tua, senza tenere in considerazione quello che volevo io. E quello che mi fa più rabbia è che mi hai tenuto fuori dai tuoi pensieri per una stupida festa, Sarah! Abbiamo sempre diviso tutto, mi dici cosa c'era di così terribile in questa festa?»
«Solo che pensavo che tu non la volessi»
«Non la volevo e non la voglio. Ma non ti avrei mai detto di no, sapendo quanto ci tieni a festeggiare il nostro compleanno!»
«Sei sicuro?»
«C'è modo di evitare la festa? - scosse la testa, ed io proseguii - Allora sono sicuro. Dove sono i vestiti che devo indossare?»
«Zia Rachel li ha messi sul tuo letto»
Le voltai le spalle, pronto ad andarmene in camera mia a prepararmi. Quando fui sulla porta mi richiamò.
«Ethan?»
Mi girai di nuovo verso di lei, e la fissai in volto.
«C'è altro, Sarah?»
Non mi guardava negli occhi, ed ero sicuro che ci fosse qualcos'altro. Ma non insistetti, quando lei mi rispose che non c'era nient'altro. Tornai sui miei passi e mi preparai per la festa. Un paio di jeans, una camicia bianca, e una giacca blu in fresco di lana. Sarei morto dal caldo, ma, indossandolo, ammisi che mia sorella e mia zia mi conoscevano abbastanza bene. Erano perfetti su di me.

«Ethan, sei pronto?» mi chiese Sarah mezz'ora più tardi, bussando alla porta della camera. Quando mai aveva bussato prima?
Andai ad aprirle.
«Sì, sono pronto - le risposi, mettendomi a sedere sul letto ed infilandomi le scarpe - Mi dici perché hai bussato?»
«La zia dice che devo iniziare a comportarmi un po' di più da signorina, e che non posso entrare nella stanza di un ragazzo senza bussare»
«Sono tuo fratello. Dì alla zia di tenere le sue menate per sé... e poi semmai sono io che non dovrei entrare in camera tua senza bussare» le risposi, guardandola dopo aver finito di allacciare le scarpe. Mi corse incontro, gettandomi le braccia al collo.
«Ti voglio bene, Ethan - disse, stringendo forte le braccia - grazie, di tutto!»
Ricambiai l'abbraccio.
«Ti voglio bene anche io, sorellina. Ma non credere che questa concessione della festa sia gratis. Mi sarai schiava per un sacco di tempo!»
«Tutto quello che vuoi!» disse ricomponendosi, e scappando dalla stanza mentre rideva.
Mi alzai dal letto, e lentamente la seguii, fino al soggiorno.
Papà e Nessie erano lì, belli e sorridenti. Sembrava che quella dovesse essere una festa in grande stile, dato l'abbigliamento tenuto da tutti quanti.
«Ma noi compiamo solo undici anni, cos'è tutto questo mettersi in ghingheri?» borbottai.
«Mi avevi assicurato che gliel'avresti detto» disse mio padre severo, fissando intensamente nella direzione di Sarah.
«Dirmi cosa?» chiesi.
«Papà...» mugolò Sarah, ma all'ennesimo sguardo severo di papà si zittì all'istante. Non capivo cosa stesse succedendo. Di solito quello era lo sguardo riservato a me, non alla sua bambina innocente. Di solito quando i guai li facevamo in due, ero sempre io quello che aveva un po' più di colpa. Di solito.
«Niente papà, Sarah. Non questa volta. Mi sembrava di essere stato chiaro» le rispose, serio.
«Sarah, cos'è che mi devi dire?» chiesi ancora.
«Non... non ti arrabbiare però...» mi rispose.
«Non puoi dirmi quello che devi e farla finita?» iniziavo ad innervosirmi, odiavo quando mia sorella cercava di nascondermi le cose. Specialmente perché sentivo che era qualcosa di veramente importante, quello che stava tenendo dentro, e che mi riguardava da vicino. Come se avesse preso una decisione che riguardava entrambi senza neanche informarmi. Come se...
«Sarah, dimmi che non è quello che sto pensando che sia. Dimmelo, ti prego. Dimmi che non l'hai fatto. Dimmi che non hai invitato la mamma al nostro compleanno!» le urlai in faccia, prendendola per i polsi e strattonandola, ed iniziando a tremare.
«Ethan! - gridò lei in risposta, tremando a sua volta, ma di paura - Ethan, smettila, mi fai male!»
Papà poggiò le sue mani sulle mie, sciogliendo con delicatezza, ma in modo deciso la mia presa.
«Ethan, calmati! - mi ordinò, per poi ritornare a guardare serio Sarah, dopo che il mio tremore fu cessato, quasi immediatamente, in risposta alla sua imposizione - Sarah. Parla con tuo fratello. Altrimenti stasera non ci sarà nessuna festa. Non ammetto repliche, e non sto scherzando» le disse.
«Jake, lasciamoli un po' per conto loro. Risolveranno la cosa, come tutti i fratelli» lo riprese Renesmee, per poi prendere la sua mano ed uscire dalla porta sul retro, dirigendosi con papà verso la rimessa. Mi avevano lasciato da solo con Sarah.
«Allora?» le chiesi, quando papà si fu richiuso la porta alle spalle.
«Allora... Sì, ho invitato la mamma al nostro compleanno. Credo che sia ora di seppellire l'ascia di guerra, Ethan. Non fa bene a noi, e soprattutto non fa bene a papà»
«Io non volevo parlarle!» esclamai, irritato da quel tono sicuro che ostentava, nonostante l'idea di avermi mentito non piacesse neanche a lei.
«E' per questo che non ti ho detto niente, nonostante papà mi avesse suggerito vivamente di farlo, Ethan - mi parlò guardandomi negli occhi, sicura di quello che affermava, come se un po' della saggezza di Seth si fosse trasferita a lei per osmosi - Pensavo che se ti avessi messo di fronte al fatto compiuto, al fatto che fosse lì presente, non saresti andato a nascondere la testa sotto la sabbia, ma l'avresti affrontata. Se non altro per dimostrare che sei il degno figlio di papà»
Mi conosceva, mia sorella. Altroché se mi conosceva. Stava toccando tutti i tasti giusti perché io accettassi quello che aveva fatto finendo anche con il darle ragione. Ma anche io conoscevo lei, come le mie tasche. E riuscivo a capire i suoi giochetti, quando decideva di metterli in atto.
«Non avresti dovuto farlo senza consultarmi, comunque, Sarah. Sei nel torto, e stavolta non sono disposto a darti ragione. Dovevamo decidere insieme quando affrontare la mamma. Dovevamo essere una squadra, un fronte comune. E invece stai facendo il suo gioco»
«Ethan, io non ho intenzione di fare il gioco di nessuno. Voglio solo sapere la verità per potermi mettere l'anima in pace, come ha fatto il nonno Charlie accettando di perdonarla. Non so ancora se la perdonerò, ma voglio sentire quello che ha da dire. Vorrei sapere se le siamo mancati, se si è mai pentita di averci lasciati. Perché ci ha lasciati. Questo è il regalo che voglio farmi per il nostro compleanno. La verità. Se tu non vuoi... non faremo la festa, ma io andrò dai Cullen lo stesso e parlerò con lei. Ma preferirei che fossimo insieme»
Sarebbe stata un ottimo avvocato, qualora avesse deciso di diventarlo. Riusciva a girare la frittata perché fosse sempre a suo favore. E l'aveva sicuramente imparato da Seth, non c'era altra possibilità. A meno che non fosse nel suo cromosoma X quella capacità. Zio Paul diceva sempre che zia Rachel finiva ogni volta per avere la ragione anche quando non ce l'aveva, e che riusciva a fargli fare anche quello che non voleva fare.
«Ormai il danno l'hai fatto. Vengo. Ma non ti aspettare che io sia carino e gioviale» borbottai.
«Neanche con Esther?» Streghe! Quelle due avevano sicuramente parlato mentre io ero in giro con Seth, e sicuramente la promessa che mi aveva fatto fare lui non era più valida se era così. Esther non era in grado di dire bugie.
«No, neanche con lei. Non so cosa vi siate dette, ma non c'è niente di vero»
«Perciò non l'hai abbracciata?»
«Uff... Sì, l'ho abbracciata, e mi sono anche ingelosito. Così va meglio?»
«Ingelosito di chi, scusa?»
«Di Se...» mi tappai la bocca con le mani. Il danno che Esther non aveva provocato l'avevo appena fatto io.
«Seth? E' tornato? Davvero?»
«Come se non sapessi già che l'avrebbe fatto!» le risposi, maledicendomi nella testa per aver appena rovinato la sorpresa dell'amico di mio padre. Mi sarei sentito tremendamente in colpa nei suoi confronti per il resto della vita.
«Ci speravo, ma sinceramente ero convinta che non sarebbe tornato»
«Come potevo non tornare dalla mia principessina!» disse la voce di Seth, proveniente dall'ingresso.
Sarah corse verso la voce saltando al collo di Seth. Quell'accoglienza parve far tornare il sorriso sul suo volto per qualche istante. Poi le sfiorò i capelli con le labbra e la poggiò a terra.
«Sei una signorina ormai, Sarah. Dovresti comportarti come tale!» la rimproverò scherzosamente.
Distanza.
Questo era quello che stava cercando di mettere Seth tra lui e mia sorella.
Distanza.
Quella con cui non riusciva a vivere.
Distanza.
Quella che avrebbe dovuto colmare.
Distanza.
Quella che c'era tra me e mia madre.
Fu in quel momento che capii. Stavo cercando di mantenere le distanze da mia madre perché le volevo bene, ma non volevo soffrire. Io non la odiavo come cercavo di far credere a tutti, persino a me stesso. Io provavo affetto per lei, ma non riuscivo a non pensare che se era sparita una volta l'avrebbe sicuramente rifatto.
E Seth stava facendo la stessa cosa. Pur essendole così vicino, manteneva le distanze da lei cercando di considerarla ancora una bambina.
Distanza.
Quella che avrebbe fatto soffrire tutti.
«Ci accompagni tu?» chiesi a Seth.
«L'idea era quella, considerando anche che tuo padre e Nessie si sono già avviati e che non posso certo chiedervi di trasformarvi per venire a casa Cullen»
Fissai Sarah a bocca aperta.
«Pensavo almeno che lo scontro sarebbe avvenuto in campo neutro!» esclamai.
«Ma Ethan, casa loro è più grande, e considerato che ci saranno anche degli umani non era proprio il caso di festeggiare all'aperto. E' sempre il 2 dicembre, e per quanto non sia ancora caduta la neve non è proprio quella che si dice una stagione mite!»
Riusciva sempre a farla franca. Lei e la sua capacità di rivoltare qualsiasi cosa come un calzino. Decisi di non risponderle. Avrebbe trovato sempre un modo di girare a suo vantaggio qualsiasi obiezione avessi posto.
«Grazie, Seth» dissi, privo di intonazione, aprendo la porta di casa e sedendomi nella sua auto.
Sarah si sedette sul sedile posteriore, senza protestare e rimanendo stranamente in silenzio per tutto il viaggio. Non provava neanche a mettersi in contatto con me. Ed era una cosa che ritenevo pressoché assurda. Dovevamo almeno decidere insieme come comportarci con lei. Oppure c'erano ancora cose che mi stava tenendo nascoste?
«Sarah, come pensi di affrontare la mamma?» le chiesi, a bruciapelo. Seth mi poggiò una mano sul ginocchio, facendomi capire che dovevo rimanere calmo.
«Beh... credo che già il fatto di permetterle di partecipare al nostro compleanno dovrebbe averlo interpretato come un segno di apertura nostro nei suoi confronti - pensai che quel nostro era più propriamente un suo segno di apertura, ma sicuramente lei questo aveva fatto in modo che i Cullen non lo sapessero. E considerato che il padre di Nessie con noi era fuori gioco e che Alice non aveva voce in capitolo con nessuno dei licantropi, non c'erano possibilità che qualcuno avesse capito che io non ero parte della "nostra" apertura nei confronti della mamma - quindi il prossimo passo dovranno farlo loro»
«Conoscendoli non si muoveranno prima della fine della festa. Probabilmente vi chiederanno di rimanere un po' più a lungo degli altri ospiti. Se facessero in un altro modo non si tratterebbe dei Cullen»
«In che senso, Seth?» chiese Sarah.
«Nel senso che per loro chiedervi di discutere qualcosa di privato ad una festa sarebbe una mancanza di cortesia nei confronti degli ospiti, quindi non lo faranno mai» le rispose lui.
«E quindi è probabile che in questo momento stiano cercando di convincere papà a trattenersi più a lungo del previsto?» chiesi.
«Tuo padre non si lascerà convincere a decidere per voi. Non vi ha mai imposto nessuna scelta, da quando è tornata Bella, e quindi non credo che lo farà in questo momento, Ethan. Probabilmente gli stanno accennando la cosa, ma sicuramente Jake dirà che non sta a lui decidere».
Sospirai di sollievo. Qualunque fosse stata la decisione, da prendere entro la fine della serata, si sarebbe trattato di una mia decisione, non di un'imposizione da parte di qualcun altro. Rimanemmo in silenzio per i pochi minuti di auto che ci erano rimasti. Giunti a casa Cullen, imparammo che le feste organizzate da loro non lasciavano mai nulla al caso. Le luminarie erano viola, come il vestito di Sarah, e bianche, come la mia camicia, e i fiori che servivano da addobbo a tutta la scalinata erano viole del pensiero e gigli bianchi. Non conoscevo il linguaggio dei fiori, ma sicuramente i Cullen sì, e di certo quei fiori non erano stati scelti per caso.
Mi chiedevo solo dove li avessero presi a dicembre.
«Seth, per caso i Cullen hanno anche una serra, da queste parti?» gli chiesi.
«Dici per i fiori? Immagino che Alice li abbia fatti arrivare da qualche paese tropicale via posta aerea... o via jet privato se preferisci!» mi disse, ridacchiando.
Non appena parcheggiammo, dalla casa si iniziò a spandere una dolce melodia. Pianoforte e violino. Invitavano ad entrare. Chissà chi stava suonando quella melodia meravigliosa.
La porta d'ingresso era aperta, e la musica sempre più forte man mano che ci avvicinavamo ad essa. Sarah e io ci stringevamo l'un l'altro la mano, i nostri dissapori sembravano scomparsi ora che il momento atteso si stava avvicinando, e sapevo perfettamente che il momento atteso non era il taglio della torta, ma il confronto che avremmo avuto con nostra madre poco dopo.
Seth era alle nostre spalle. Ci voltammo entrambi verso di lui, e trovammo sul suo volto un sorriso incoraggiante. Insieme, portammo di nuovo lo sguardo di fronte a noi, ed entrammo in casa. A suonare erano Renesmee e suo padre. Lei seduta al pianoforte. Lui al violino. Entrambi con gli occhi chiusi, ma sicuramente ci avevano sentiti entrare, come tutti quanti.
La magia di quella musica catturò anche noi, come tutti gli altri. E quando pensavo a tutti, intendevo veramente tutti. C'era persino nonno Billy.
Attendemmo che quella magica melodia terminasse, non volevamo interromperla. Era come se qualcosa ci impedisse di farlo. Prima che potessimo rendercene conto, la musica era finita, ed Edward ci guardava sorridendo serafico.
«Ce ne avete messo di tempo!» disse:
«Seth guida come una lumaca quando c'è Sarah in auto» risposi io, tagliente. Se avessi deciso di parlare con mia madre, lui non sarebbe stato parte del pacchetto. Lui me l'aveva portata via, senza pentirsi di aver tolto una madre a due bambini piccoli. Lui era il nemico. E, se non potevo considerarlo veramente tale per via del patto che legava il nostro branco alla loro famiglia, potevo almeno ritenermi abbastanza libero da decidere di non rivolgergli una sola parola. O almeno di non rivolgergliene una buona.
«Sì, effettivamente è un po' colpa mia. Mi sento estremamente protettivo con questi due, non so se rendo l'idea, Edward!» rise Seth, probabilmente per mitigare l'effetto gelo che le mie parole avevano avuto su tutti.
«Ma sbaglio o è una festa? - chiese Sarah, allegramente, ignorandomi quasi del tutto subito dopo avermi lanciato un'occhiataccia - Allora che stiamo a fare tutti qui impalati? Divertiamoci!»

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