CAPITOLO 1: DIMENTICANZE

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CLAUDIO

Sono nel mio studio a redigere la perizia dell'ultimo sopralluogo, una donna di nemmeno trent'anni trovata morta nel suo appartamento, colpita alla testa da un corpo contundente, probabilmente un candeliere. Sto guardando le foto scattate dalla specializzanda di turno che mi sono portato dietro e mi rendo conto che sono tutte sfuocate.

"Porca miseria! – penso – Ma queste nuove leve non sanno proprio fare niente, nemmeno scattare delle foto! Figuriamoci chiedere loro di fare delle ipotesi o domandare nozioni di medicina legale! Bei tempi quelli di Alice, quando interveniva anche quando non richiedevo la sua opinione!".

Mi viene da sorridere pensando ai suoi primi tempi in Istituto, a quando per la prima volta ha messo piede nel mio ufficio, dicendomi "Sono la ragazza di Sacrofano e voglio chiedere l'internato". Se solo penso che non condividiamo le giornate lavorative da più di due mesi, mi prende il magone. Spero davvero che superi quel concorso e ottenga il posto di dottorato. Non glielo dirò mai, ma sarà un modo per tornare a respirare. Già, lei è diventata il mio ossigeno, anche se ancora mi fa arrabbiare certe volte. Sta dando anima e corpo per superare il concorso, anche lei vuole tornare. Ora non è più la ragazzina pasticciona e combinaguai dei primi tempi, quando negli ultimi mesi, prima della specializzazione, mi ha aiutato nel redigere perizie o mi ha coadiuvato in qualche ricerca, è sempre stata precisa e meticolosa e, ogni volta che per questo motivo le facevo un complimento, con il suo candore, mi rispondeva "Me l'hai insegnato tu!". Nelle cose pratiche, nel ricordarsi delle scartoffie, però, è sempre rimasta distratta e forse mi conviene ricordarle se ha compilato e inviato i moduli per accedere al concorso, domani a mezzogiorno è fissata la scadenza per la presentazione delle domande. Finisco e le manderò un messaggio.

Bussano alla porta e si presenta la fotografa del sopralluogo.

"Dottore! – mi dice – Le ho portato altre foto che potrebbero chiarirle qualche dubbio!".

Scoppio a ridere.

"Perché ride, dottore?" mi domanda.

"Intanto sono il tuo professore e non chiamarmi più dottore!" le urlo contro.

"Mi scusi... professore!" balbetta.

"Seconda cosa, è difficile che mi vengano dubbi! – vado avanti – So fare il mio lavoro!".

"Non volevo dire questo, professore!!" è imbarazzata.

"Ok...ok...! – continuo – Vieni, vieni qua!".

"Dove?" è in visibile difficoltà.

"Vieni a vedere! – la redarguisco – Queste tu le chiami foto?".

"Oh, mio Dio! – si spaventa – Come è potuto succedere?".

"Non sai fare nemmeno le foto! – le faccio notare – E pretendi che io possa capirci qualcosa da queste immagini sfuocate! Ringrazia Dio per la mia esperienza, altrimenti saresti fuori dall'Istituto! Vai, vai".

Fa per andarsene di corsa, ma la richiamo.

"Senti un po'! – la interrogo – Questa è l'unica foto decente!".

Si avvicina e osserva.

"Mi sapresti dire come si chiamano queste e qual è l'oggetto con cui questa poveretta è stata colpita? le domando.

"Sono... sono...!" balbetta.

"Va bene, vattene! Oggi sono benevolo! – rido – Vai a studiare, vai!".

Non finisco di parlare che già è sparita. Mi rimetto a lavorare sulla perizia, poi tengo un paio di lezioni e il tempo scorre in fretta.

"Alice! Alice! – chiamo appena rientro a casa – Ancora a studiare?".

AA&CC... LA CHIAVE DEL TUO CUOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora