CAPITOLO 14: INCONTRI

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ALICE

"E dai, nonno Liam, fammi restare! – mia figlia non si dà per vinta – Ti prego, diglielo tu alla mamma che lo voglio conoscere anch'io il suo amico italiano!".

Stavo origliando, non ho proprio perso questo vizio.

"Ti ho detto di no, Claudia! – entro senza bussare rimproverando la mia piccola – E poi non è mio amico, non lo conosco nemmeno!".

"Falla restare, Alice! – mi si rivolge il mio capo, Liam Anderson – Si metterà in un angolo senza dare fastidio. True, Claudia?".

"Yes!" risponde lei, convinta di averla spuntata.

"Come no, Liam! – proseguo – Non ce la vedo proprio Claudia a stare buona buona in un angoletto!".

"Ma che cosa può dire di compromettente una bambina di quattro anni?" cerca di convincermi quello che per me è come un padre.

"Senti, Liam! – vado avanti con calma – La mia non è una presa di posizione, ma non mi va di far pensare ad un nuovo arrivato e, per giunta italiano, che non sono in grado di separare il lavoro dalla mia vita privata, perciò mi porto dietro mia figlia!".

"Ahhh! – sorride lui – Allora è questo il punto! Vuoi apparire la donna in carriera che non ha una vita al di fuori del lavoro!".

"No! – insisto – Claudia è una bambina e deve star fuori da certe questioni! Veramente non dovrebbe stare nemmeno in un Istituto di medicina legale alla sua età!".

"Sì, immagino!" ironizza.

Permetto a Liam di parlarmi in questo modo perché non lo considero per niente il mio direttore, lui è stato il mio confidente i primi tempi che sono arrivata qui, a parte Gabriele che era spaesato quanto e forse più di me, non avevo nessuno, ero incinta di pochi mesi e conoscevo poche frasi di inglese.

Era passato poco tempo da quando lavoravo nel suo Istituto, avevo deciso di essere tutto il contrario della ragazza sognatrice, sensibile e inaffidabile sul lavoro. La mattina ero la prima ad arrivare, oltre alla sveglia del cellulare ne avevo acquistato una digitale e una radio sveglia, la sera le programmavo tutte e tre e quando finalmente partiva la play list che avevo scelto, balzavo dal letto, correvo in bagno e , in meno di mezz'ora, ero pronta.

Anderson mi aveva affidato una relazione, mi aveva detto di scriverla in italiano e avevo reso il meglio di me.

"Perfetto, Allevi! – aveva commentato – E' degna di pubblicazione, ma devi tradurmela in inglese!".

Penso di aver fatto una faccia che diceva tutto.

"Non ne sei capace, vero?" pensavo volesse rimproverarmi come era solita fare la Wally. In quel momento cercavo di ricacciare indietro le lacrime che non riuscivo a trattenere, ma non ce ne fu verso. Cominciarono a rigarmi il viso ed io ero furiosa con me stessa e con la mia sensibilità che, nonostante i buoni propositi, non ero riuscita a chiudere in quel forziere in cui avevo seppellito tutte le mie imperfezioni.

"No, Allevi! – sembrava dolce – Non piangere! A tutto c'è un rimedio!".

Guardai quell'uomo con i capelli bianchi, mi trattava quasi come una figlia, me n'ero accorta anche altre volte, non permetteva che altri mi prendessero in giro per la mia scarsa conoscenza della lingua e, quando teneva le sue lezioni tutti i lunedì, quelle per i dottorandi, ogni volta che rispondevo ad una sua domanda, mi guardava con soddisfazione, proprio come farebbe un padre che vede i successi di una figlia.

Fu così che Liam tradusse, in men che non si dica, la mia ricerca e la pubblicò, a mio nome, su una delle più prestigiose rivista di medicina forense di Washington. Quando gli avevo domandato perché lo avesse fatto, mi rispose che ero una persona in gamba e, piano piano, avrei imparato anche l'inglese e scritto direttamente nella lingua madre. Pochi giorni dopo mi chiamò nel suo ufficio.

AA&CC... LA CHIAVE DEL TUO CUOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora