Capitolo 40

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Nevaeh

Guardo il riflesso della ragazza bionda sullo specchio. Passo una mano sui zigomi, leggermente incavati. I miei polpastrelli scivolano fino alle labbra carnose. Prendo il labbro inferiore tra l'indice e il pollice, tirandolo leggermente.

Sbatto più volte le palpebre e afferro i capelli in una coda. Chiudo gli occhi e ripenso alla scena di poche sere fa. Io che ho cercato di consolarlo. Il modo in cui ha gestito la situazione. Il suo era un gesto di protezione per se stesso. Ha elevato un altro muro intorno a lui. E tutto questo per colpa mia e del mio tempismo. Su una cosa ha ragione, oltre al fatto che devo farmi gli affari miei, che la mia lingua è velenosa.

Sfilo l'elastico dal polso e lego i capelli in una coda di cavallo alta. Sposto la testa a destra e a sinistra e faccio una smorfia, per poi passare l'elastico lungo i capelli. Le lunghezze ricadono sulle mie spalle. Scuoto la testa e li muovo leggermente.

"Perché non ti sei fatta gli affari tuoi, Nev?" Passo le dita sulle tempie, cercando di allentare la tensione, che si era creata per via dello studio, che mi ha tenuta sveglia fino a notte inoltrata.

"Perché? Perché?" Sbatto le mani sul lavandino freddo e sento il respiro farsi più veloce. Mi porto una mano al petto e massaggio la gabbia toracica. Apro il rubinetto dell'acqua e mi bagno la mano con l'acqua fresca e la porto sulla fronte.

"Non lo fare, Nev. Puoi resistere." Chiudo il rubinetto e i miei occhi si fissano sulle goccioline di acqua che attraversano la mia fronte, per poi cadere sulle sopracciglia, così da atterrare sulla superficie fredda.

Tampono via l'acqua fredda dal mio viso e faccio un respiro profondo, prima di aprire la porta del bagno e dirigermi al piano di sotto.

Stranamente il profumo di caffè non mi da il buongiorno. Aggrotto le sopracciglia, quando vedo Alex seduto sullo sgabello, che sorseggia un bicchiere di succo d'arancia.

"È finito il caffè." Mi avverte. Alzo gli occhi al cielo e mi pizzico il ponte tra le sopracciglia.

"Fammi indovinare. Maddie doveva fare la spesa." Lui annuisce senza staccare lo sguardo dallo schermo del telefono. Un sorriso involontario gli contorna il viso, mette digita qualcosa.

"Ti rende felice?" Prendo un bicchiere e mi siedo accanto a lui. Lui mi guarda e io indico il telefono con gli occhi. Scuote la testa e si passa una mano sul ciuffo scompigliato.

"So con precisione che se non ti dirò nulla, tu non la smetterai mai." Gli angoli della mia bocca si incurvano verso l'alto. Poso il gomito sulla superficie in legno e metto il mento sul palmo.

"Si chiama Elisabeth." Spiega il moro davanti a me. Io annuisco e lo invito a continuare.

"Ci siamo incontrati in un bar a New York. Io ero lì per un'offerta di lavoro e lei-" Lo interrompo.

"Te ne vai?" La mia espressione tramuta subito in agonia. Non può andarsene anche lui. Lui scuote la testa e mi attira a se. Mi circonda la vita con le sue braccia.

"Secondo te potrei stare senza la mia sorellina preferita?" Sporgo il labbro inferiore e lo abbraccio, beandomi della sul profumo e del senso di protezione che da il suo corpo.

"Era un'opzione che avevo valutato, ma non faceva al caso mio. Resto qui, quindi mi dovrai sopportare per molto tempo." Incrocio le braccia intorno al suo collo. Lui passa la sua guancia con l'accenno di barba sulla mia. Una risata involontaria esce dalle mie labbra per via del solletico che mi sta provocando.

"Quindi è per questo che vai a New York così spesso." Io affermo e lui annuisce. Torno al mio posto e sorseggio il succo.

"Me la farai conoscere?" Mi mordo il labbro e lui scuote la testa.

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