Cassetta XLVI

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Dopo le esperienze con l'acquario ci eravamo scelta dello zoo. Dopo aver passato gli ultimi giorni di febbraio a studiare per vari esami, lavorare e a sottolineare con l'evidenziatore giallo anche gli errori delle nostre vite, inevitabilmente la mia era tutta giallo fluo adesso, ci meritavamo un premio come guardare animali buffi fare cose strane.

La fila per fare i biglietti non era mai stata così lunga, soprattutto per una che dopo venti minuti alla Coop in coda alla cassa iniziava a cantare Power delle Little Mix e a fare il ballo russo.

Allo zoo di Pistoia c'ero già stata quando ero piccola, all'età circa di sette anni. Mi ricordo che quell'anno la mascotte era un cucciolo di castoro di nome Zinco ed io volevo assolutamente accarezzarlo. Le guide non volevano, così sgusciai fuori dalle braccia di mio padre e mi avvicinai all'habitat dei castori, allungai la mano e, all'inizio sembrava che tutto andasse bene, poi Zinco mi morse un dito ed io gridai qualcosa come "Porco Waltor" in ricordo del cattivo delle Winx.

«Ragaaa... Mi annoio, la fila è troppo lunga.»
«Clarissa se la fila fosse corta non farebbero soldi.»
«Lo so, ma... Un pochino più corta, non tanto.»
«E di che lunghezza dovrebbe essere?»
«Come un braccio di dinosauro, come il braccio di un T-Rex.»
«Clarissa tu sei l'incarnazione vivente di quella misura, bastava dire "lunga quanto me".»
«Mi stai dicendo che sono alta quanto un braccio di dinosauro? Che razza di misura è.»

Guardai male Samuele per i venti minuti di fila successivi, finché Evelin stanca di vederci bisticciare silenziosamente si diresse verso un tavolo lì vicino e ci salì sopra. Si schiarì la gola e diede voce ai suoi pensieri.

«Signori, signore, vecchietti, bambini conosciuti anche come figli del demonio, zii, cugini, animali da compagnia ed alieni vi prego di ascoltarmi. Quella ragazza lì, dai capelli castani scuro con indosso una maglia color lavanda, quanto misura per voi?»
«Un gabinetto e una lattina.»
«Due tavole dei dieci comandamenti.»
«Un'arpa ed un plettro.»
«La mia voglia di vivere che è molto bassa fra parentesi.»
«Un comodino ed un calzino.»

Evelin mi sorrise, lanciò a Samuele la cannuccia dell'Esthatè che stava mangiucchiando e ci intimò di smetterla, ora che avevamo le nostre risposte. Venivo sempre bullizzata.

«Cosa vedi da laggiù Clarissa?»
«Il QI di tutti voi. È molto basso.»

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Era bellissimo poter avere una guida tutta per noi. Ci mostrava gli animali e non ci diceva nulla nemmeno quando Martino, Gabriele ed Edo si mettevano ad imitare i versi di questi o quando Serena, Leo e Andrea avevano appiccicato la faccia sul vetro che ci divideva dai pesci con le ali.

«Voglio vedere il formichiere.»
«Evelin sei già tu un formichiere. Io voglio vedere le nutrie.»
«Ma sono dei grossi topi misti a castori.»
«Anche tu sei un grosso topo Nicola, ma non ti diciamo niente.»
«Io e Clarissa vogliamo vedere gli ippopotami.»

Tutti si girarono nella nostra direzione. Io e Federico eravamo seduti vicini per qualche strano motivo, le nostre gambe sotto il tavolo erano vicinissime ma nessuno se ne era accorto per fortuna. Magari se li avessi visti dal vivo avrebbero smesso di ballarmi nello stomaco ogni singolo secondo per qualsiasi cosa facesse Federico anche respirare. Avevo sempre detto che era meglio che smettesse di respirare.

«Gabriele stai lontano da quel lucchetto se lo apri l'orso ti rincorre, non gli stai particolarmente simpatico.»
«Io sto simpatico a tutti.»
«Ragazzi lasciatelo perdere, mio fratello è nato così, non ha sbattuto nemmeno la testa da piccolo.»

Sentii uno stormo di struzzi alzarsi in volo. Peccato che gli struzzi non si alzassero in volo e soprattutto non c'erano struzzi allo zoo. Girai la testa da un lato e vidi Gabriele spaventatissimo. Aveva aperto il lucchetto, ma contrariamente alle sue aspettative il cucciolo di orso non gli era corso incontro per ringraziarlo della libertà. Gli era corsa incontro la madre, arrabbiatissima e minacciosa, perché pensava che Lele le volesse rubare il figlio. Si vede che non lo conosceva bene, perché con il quoziente intellettivo che si ritrovava quel ragazzo era già un miracolo se apriva un barattolo senza romperlo.

Mamma orso si fiondò verso Gabriele e questo iniziò a correre manco Spedy Gonzales gridando cose come "Gesù perdonami" o "Ora non mi ricordo l'atto di dolore,ma cerca di immaginare che io lo abbia detto".

Dopo poco uscirono cucciolo uno e cucciolo due affamati più che mai. Cucciolo uno si lanciò sul pacchetto di patatine a forma di giraffa, a quanto pare non gli stavano simpatiche, mentre cucciolo due iniziò a leccare la faccia di Nicola come se fosse un lecca lecca. Con l'altra zampa cucciolo due afferrò Alice e decise di farne il suo personale pupazzo da tenere abbracciato.

Ora sorge a voi, proprio come a me, una domanda fondamentale. Dove cazzo sta il padre?
La risposta non mancò ad arrivare, in dieci secondi Gabriele non era più l'unico ad essere rincorso da un orso.

Io ed Evelin giravamo e svoltavamo a qualsiasi angolo per disorientarlo, ma questo orso aveva un QI più alto di tutto il mio gruppo messo assieme e ci ritrovava sempre. Gli tirai contro una borsetta, un pannolino, un contenitore di polenta calda e una scatola di caramelle al limone.

Mi girai una quinta volta per tirargli un deodorante alla pesca, ma non vidi dove stavo correndo. Sbattei contro un bidone della spazzatura, non feci in tempo a girarmi che persi l'equilibrio e caddi in avanti dentro al bidone con un urletto poco rassicurante. Evelin si era fermata poco prima per avvertirmi del bidone ma non l'avevo sentita, perché pensavo stesse dicendo qualche formula in latino per evocare un demone e salvarci. L'orso si fermò, guardo me nel bidone, guardò Evelin che si tratteneva dal ridere, guardò lo stand degli hot dog, guardò quel tendone con disegnati i rinoceronti, guardò probabilmente la mia miserabile esistenza. Emise una specie di grugnito simile a una risata ed Evelin lo seguì. In poco tempo la mia amica era sul pavimento a rotolarsi dal ridere e l'orso, avendo pena di me, mi tirò fuori dal bidone e mi diede una leccata.

L'unica conclusione a cui potevo giungere era che non avevo il talento di San Francesco d'Assisi nel parlare con gli animali.

Le Bozze di  DioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora