Cassetta XLIV

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14 febbraio e non c'è nulla da aggiungere, perché solo con quel numero a due cifre e il nome di un mese quel dannatissimo giorno riusciva a provocarmi sensazioni fortissimi come la voglia di vomitare, ormai abituale, il disgusto, ormai abituale pure lui, e la voglia di commettere un omicidio di massa, e no questo non era abituale. Di solito volevo uccidere una persona alla volta.

Evelin non era da meno. Volevamo organizzare un'uscita per ragazze single, ma guarda te, io ed Evelin eravamo le uniche. Alice stava con Edo, Serena sì era fidanzata con Martino dopo che questo aveva risolto con Gabriele grazie alla sottoscritta e a numerosi pinguini ballerini, Leo, la nostra Pink lady, era ormai fidanzato da tempo, ed Irene era stata invitata ad un'uscita a quattro con Samuele ed Alice con Edo.

Il nostro piano era sfumato via più velocemente delle mie speranze di riuscire a cucinare una torta senza far esplodere il forno. Che schifo.

«Evelin, cosa facciamo?»
«Erigiamo un altare a qualche divinità greca o romana e speriamo che il fulmine di Dio colpisca noi infedeli.»
«E dove andiamo?»
«Tra Inferno e Paradiso, ma non in Purgatorio. Mi ricorda quelle maledette pasticche che la nonna mi dava quando avevo mal di pancia.»
«Le purghe?»

Rotolai giù dal divano e atterrai sopra Polpetta che miagolò e buco il tappeto. Tanto meglio. Io odiavo quel tappeto arancione. Odiavo l'arancione in generale. Ed odiavo i tappeti, ci scivolavo sempre.

«Ding Dong»
«Clarissa smettila»
«E tu inizia a volare»

Evelin andò ad aprire la porta, ma appena vide chi erano le persone fuori dalla porta cercò di chiuderla con tutte le sue forze.

«Clarissa sposta il tavolo e mettilo qua davanti!»
«Ma...»
«Usa la forza del pensiero, fatti venire la forza divina, ma fallo! Non devono entrare!»
«I Mangiamorte?»

Evelin venne lanciata in avanti e volò davvero. Ora avrei dovuto smettere di ripetere il suono del campanello accipicchia. La mia amica atteró su Polpetta che si dovette sentir offeso dopo essere stato usato per due volte come cuscino di atterraggio. Il gatto prontamente, appena Evelin si fu alzata,  mi aggredì conficcando le sue unghiette nelle mie cosce e mi vomitò della palle di pelo sulla maglietta. Io non ho parole.

Davanti alla porta c'erano Nicola e Federico. Il secondo teneva fra le braccia una cesta di vestiti sporchi, probabilmente gli si era rotta la lavatrice.

«Uscite da questa casa. Adesso.»
«Avete una lavatrice?»
«Ti ci metto nella lavatrice se non evapori.»

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Evelin dopo aver visto una possibilità di lasciare me e Federico da soli, ci aveva spedito fuori di casa a calci, in senso letterale, e si era impossessata delle mie chiavi. Non potevamo tornare prima di un'ora come minimo, il tempo necessario a fare una lavatrice in lavanderia, altrimenti ci avrebbe tirato dalla finestra il pessimo sugo che avevo provato a cucinare la sera prima.

«Quindi... Eri tu che volevi fare un giro nella lavatrice?»
«No, io volevo entrare nell'asciugatrice da bambina. Era Leo che voleva entrare nella lavatrice alle medie.»
«Io invece volevo assaggiare una nuvola. Quando andai per la prima volta in aereo mi arrabbiai un sacco quando scoprii che non potevo aprire il finestrino per toccare le nuvole.»
«Sei stato fortunato, mi dicevano che le nuvole erano i gabinetti personali degli angeli.»

Una bambina si avvicinò a noi e iniziò a piangere più forte di non so cosa. Pensavo non le fosse piaciuta la mia battuta sulle nuvole ed i gabinetti, ma solo dopo capii fra i suoi singhiozzi, i suoi piagnistei e il moccico che le colava dal naso che aveva perso la mamma e non riusciva a ritrovarla. Sì era una lavanderia molto grande.

«Che facciamo?»
«Vuoi la soluzione Evelin, la soluzione sbagliata o la soluzione Alice?»
«Le prime due non sono sinonimi?»
«No, no. La soluzione Evelin include un rapimento e poi un omicidio violento, la soluzione sbagliata un rapimento e un omicidio non violento.»
«Qual é la soluzione Alice?»
«Le dici qualcosa di carino, io faccio uno dei miei sorrisi migliori, la prendo in spalla e partiamo alla ricerca di sua madre nella lavanderia al grido di "LUKE SONO TUO PADRE!"»
«Cambia il grido.»
«"I am Ironman", "I love you 3000", "Dopo  tutto questo tempo"?»
«Un grido di battaglia...»
«"Scooby Doo, dove sei tu"?»

Alla fine optammo per l'ultimo proposto e iniziammo a muoverci per tutte le corsie. La bambina si chiamava Chiara ed aveva 6 anni, disse di essersi persa perché stava inseguendo una fata e che da grande voleva fare l'allevatrice di lemuri. Mi piaceva già.

«Scooby Doo, dove sei tu?»
«Vieni qua che abbiamo la Mistery Machine accesa. Dobbiamo andare a Cristal Cove.»
«Agente P!»
«No, quelli erano Phineas e Ferb cretino. Era mister E, quello di-»

«CHIARA! Bambina mia...»
Una donna dai capelli rossi, glieli invidiavo già, ci corse incontro e prese la figlia in braccio. Dopo strani e formali convenevoli, ci offrì di controllare lei i nostri vestiti così da poter uscire e rilassarci. Per una volta pensai che forse le mie buone azioni erano servite a qualcosa.

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Mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso.
In strada c'era un clown che attorcigliava i palloncini per i bambini che gli giravano intorno. Ma come cavolo fanno i bambini a girare intorno ad uno con una parrucca rossa, con quei vestiti e quel trucco che quando cola mette più ansia degli esami. Ho paura dei clown si.

Tremavo. Federico mi prese per mano dopo essersene accorto e mi condusse verso un locale di colore blu cadetto.
Ma come mai non avevo mai notato un locale del genere? Fra la caffetteria tutta gialla dove lavora Nicola, il tabacchino con un fennec e un lissodelfino asiatico come mascotte ed il negozio "Maschere antigas e costumi da Carnevale", ormai non mi potevo più stupire.

Non mi aveva ancora lasciato la mano quando ci sedemmo ad un tavolino. Il locale era adornato con quelle decorazioni da innamoratini: strass rossi con i cuori di qualsiasi sfumatura al di fuori dell'arcobaleno, pupazzetti di cagnolini che si sbaciucchiano in ogni angolo del locale e strani boccettini a forma di cuore che io spacciavo per pozioni d'amore.

«Stai bene?»
«Sono quasi morta d'infarto, ma ovvio che sto bene.»
«Hai la fobia dei clown, almeno non hai quella delle parole lunghe.»
«Parli della hipopotomonstrosesquipedaliofobia?»
«Non pronunciare mai più quella parola.»
«Ciclopetanoperidrofrenantrene.»
«Clarissa no.»
«Pentagonododecaedricotetraedrico.»
«Claris-»
«Psiconeuroendocrinoimmunologia.»
«CLARISSA BASTA! O ti riporto dal clown.»

Mi zittii in due virgola due secondi. Almeno conoscevo uno dei suoi punti deboli ed un sacco di parole lunghissime da poter usare contro di lui nel caso mi avesse dato fastidio. Mi teneva ancora la mano e la lasciò solo quando arrivò il mio analcolico alla frutta e la sua birra.

«Chissá come se la stanno passando Nicola ed Evelin.»
«O lei sta cercando di ucciderlo o si é soffocata mangiando Nachos.»
«Secondo me stanno limonando... Parlando di baci... Non é che forse é arrivato il momento di-»
«Finisci quella frase e tiro fuori un altro parolone.»
«Parliamo chiaramente, questo rischio c'è. Ma questo é più importante... Com'era il bacio?»
«All'arancia. Avevi mangiato i tic tac é vero?»
«Si... E cosa... Cioè... Cosa sentivi?»
«Non voglio affrontare questo discorso. Ho sviato Evelin, Serena, Leo, Samuele, Loki, il gatto e la volpe, Malefica e le Trix per evitare di parlarne. Quindi non mi costringerai.»
«Io sentivo degli ippopotami.»

Dannazione.
«I miei ballavano Mi piace se ti muovi, allora muovi! di Madagascar 1»
«Quindi?»

Ci guardammo a lungo ed io mi stavo per perdere a pensare agli uccellini senza una casetta di legno, quando mi baciò. Di nuovo. Ed io sentivo di nuovo gli ippopotami ballare.

Le Bozze di  DioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora