20. Il Brontosauro e l'Ukulele

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Fisco Germoglio era tornato a essere quello che era prima dell'arrivo di Freya, dal momento che questa si era messa in malattia un paio di giorni.

Quando aveva chiamato il signor Gigi per comunicargli la grande novella, questo era stato ben lieto del fatto che non si fosse presentata a lavoro — temeva di farsi contagiare dall'influenza di Freya, dover rinunciare a farsi bello e apparire orrido agli occhi di Margherita durante il loro pranzo insieme al ristorante.

Dopodiché si era sdraiata sul divano avvolta strettamente nella coperta di pile ad attendere che arrivasse la propria ora.

Cinque minuti dopo l'uscita di Margherita, qualcuno aveva bussato alla sua porta. Che fosse la morte? Freya si era alzata con il suo caldo mantello sulle spalle e senza nemmeno guardare attraverso lo spioncino, l'aveva aperta.

Era Riccardo.

Forse non si trattava del Tristo Mietitore, ma il dubbio di essere vittima di un'allucinazione causata dalla febbre, rimaneva comunque sul tavolo.

«È ancora viva?» le domandò.

«È davvero qui davanti a me, sul mio pianerottolo?»

Riccardo la guardò come se fosse ammattita. Riconosceva di aver appena porto un quesito quanto mai bizzarro, ma doveva proprio capirla: non capitava tutti i giorni di ritrovarti davanti quello che aveva passato gli ultimi cinque mesi a perseguitarti. Allungò una mano per toccarlo, aspettandosi che questo si ritraesse per evitare il contatto, ma sorprendentemente questo non si spostò di un millimetro. Lasciò che Freya gliela picchiettasse sulla spalla.

«Ma sta bene?»

«Potrei farle la stessa domanda.»

Silenzio.

«Mi fa entrare o mi lascia qui fuori?» azzardò lui.

Freya si spostò alla sua destra per fargli spazio. Riccardo entrò zoppicando con la stessa premura che avrebbe usato un leprotto davanti la tana di una volpe. Lei, invece, lo guardò come se nonostante tutto non credesse ancora ai propri occhi. Al tempo stesso faticava a reprimere un sorriso sereno. Vedere che per una volta si fosse interessato al suo stato di salute, le infondeva un'incontrollabile allegria.

Riccardo si diresse verso il divano del soggiorno così come aveva fatto tutte le volte in cui aveva messo piede in casa sua, ma stamane c'era un qualcosa di diverso. Mancava della sua solita sicurezza e della sua strafottenza, sembrava occupato a camminare sui dei gusci d'uovo. E poi, mentre si lasciava cadere su di esso con pesantezza, si voltò a guardarla.

Freya finalmente richiuse la porta d'ingresso.

«Cos'ha?» le chiese.

«L'influenza.»

Freya lo seguì in soggiorno, per un attimo valutò l'idea di sedersi affianco a lui sul sofà — dopotutto era lei l'ammalata e la proprietaria, aveva tutto il diritto di farlo spostare — ma alla fine optò per andarsi a posizionare su una sedia.

Riccardo, tuttavia, si alzò da solo e le indicò il suo posto.

«Prego, si metta pure qui.»

In altre occasioni Freya l'avrebbe punzecchiato rispondendo che se mai avesse voluto coricarsi nel suo stesso appartamento, di certo non avrebbe chiesto a lui il permesso, ma questa volta preferì non obiettare.

Era davvero una situazione bizzarra: non solo si presentava a sorpresa per informarsi su come si sentisse, ma la invitava anche ad abbandonare le formalità.

Lo guardò dubbiosa andarsi a sistemare sulla sedia più vicina al divano. Riccardo poggiò un braccio sullo schienale e uno sulla superficie del tavolo e sospirò. Chiunque, anche una persona estranea ai fatti, avrebbe potuto percepire la tensione che regnava in stanza.

La regola della psicologia inversa (#Wattys2022)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora