26. Gengis Khan in bermuda

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«Si è perso, per caso?»

Non c'era altra spiegazione.

Doveva essere stato colto da un momento di severa confusione mentale e, in seguito a un vagabondaggio sfrenato per le vie del paese, doveva aver riconosciuto la familiare insegna verde pastello; la ragione doveva a quel punto averlo tradito di nuovo, perché non si poteva giustificare in alcun modo il gesto di puntare dritto verso quel cartello e, nonostante tutto, decidere di entrare comunque in studio.

Era più semplice immaginarsi il temibile Gengis Khan in bermuda con un Sex On The Beach in mano, piuttosto che Riccardo comodamente seduto nel salottino di Fisco Germoglio.

Alla sua domanda, questo si era alzato e si era avvicinato al bancone con quella sua solita espressione furba — come se fosse a conoscenza di qualcosa che invece a lei sfuggiva — e vi poggiò sopra le mani lentigginose. Freya inclinò dubbiosa il capo verso un lato, pronta a difendersi da un attacco.

In effetti, ultimamente era stato fin troppo amichevole. La pugnalata doveva essere dietro l'angolo.

Ma Riccardo non provò nemmeno ad aggredirla con le sue parole taglienti. Attese che lei si avvicinasse, in modo da non dover alzare la voce.

«Sono venuto qui per cambiare ragioniere.»

Freya sgranò gli occhi.

Impossibile, doveva aver udito male.

«Scusi?»

«Sono qui per cambiare ragioniere.» ripeté sostenuto lui. «Il mio è troppo lontano e non è convenzionato al CAF.»

Lei si piegò in avanti.

«Ma suo padre lo sa?» sussurrò.

«Non ancora, no.»

Già si immaginava il repertorio di reazioni esplosive del signor Valsecchi: dalla banale prenotazione in qualche centro di ascolto psicologico, alla sincope con conseguente trauma cranico e corsa al Pronto Soccorso. Il diseredo non era del tutto da escludere.

Freya era così scioccata, così esterrefatta, da non riuscire nemmeno a concentrarsi su cosa fare.

«Mi guarda come se fossi un alieno.»

«Perché lo è!» ribatté con prontezza. «L'ultima volta che l'ho trovata qui mi ha dato dell'incompetente, mi ha lasciato in mano dei volantini della festa di suo padre e già che c'era ne ha approfittato per ridere dietro ai manifesti del signor Gigi!»

Quest'ultimi, tra l'altro, erano ancora in sala d'aspetto. Il ragazzo si girò a osservarli per sghignazzare.

Proprio in quel momento, Diego lasciò lo studio personale in compagnia di un cliente. Come la collega, davanti alla figura slanciata di Riccardo, corrugò la fronte in un piglio guardingo. Si posizionò al fianco di Freya, attendendo che l'assistito prendesse la via per la porta. Anche qui, Riccardo non si tolse dal viso l'espressione arrogante.

«Tu sei qui per...?»

«Come stavo dicendo a Freya», pavoneggiò, «sono qui per richiedere una consulenza.»

Diego schiuse le labbra, per qualche frazione di secondo boccheggiò alla ricerca di parole.

«Una consulenza? E per quale motivo vieni da noi?» sputò infine.

«Questi non sono affari tuoi. Okay che ti conosco da anni, ma mica ti devo motivare tutte le mie scelte.»

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La regola della psicologia inversa (#Wattys2022)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora