34. Grisù, il gatto pompiere

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Neanche un mese.

Ecco quant'era durata la sua storia con Riccardo.

Era iniziata proprio com'era terminata: all'improvviso, senza avvisaglie di alcun tipo e senza troppi giri di parole, con la stessa velocità del ritornello orecchiabile di una canzone.

Riccardo la riaccompagnò a casa in assoluto silenzio, nemmeno la salutò quando Freya aprì la portiera della macchina. Se la sbatté alle spalle con violenza, nella remota speranza che lui la fermasse per ricominciare a litigare e che questo portasse a una riappacificazione. Ma nulla. Lasciò che lei camminasse spedita verso il portone del suo palazzo.

I secondi le sembrarono rallentati, il tempo che l'ascensore a raggiungesse l'ultimo piano dilatato a dismisura. Trascorse quelli che le sembrano minuti interi a guardarsi allo specchio appeso all'interno: bell'impiastro, con gli occhi lucidi, l'espressione stravolta e imbronciata.

Che deficiente.

Non sapeva nemmeno lei cosa si aspettasse da questa relazione, ma che deficiente. Si sentiva una stupida mentre osservava la lacrima che le scendeva lungo la guancia. Non era durata neanche un mese, eppure sentiva lo stesso lo schiaffo. 

Tu guarda che cretina. E dire che i sedici anni li ho passati da un pezzo.

Non era vero che non voleva più stare con Riccardo. Avrebbe voluto rimangiarsi quanto detto, ma non era possibile. Era durata molto poco, ma era stata tanto bene.

Non era così che doveva andare il pomeriggio; dovevano divertirsi, conoscersi meglio, cenare insieme e infine fare sesso — magari in macchina come diceva lui, o magari ancora nella camera di lei. E invece si ritrovava a piangere come una scema mentre aspettava che quello stupido ascensore, costruito proprio da lui, arrivasse a destinazione. Quando finalmente si aprirono le porte, impiegò dieci secondi buoni a ritrovare le chiavi in borsa. Aveva gli occhi offuscati da una patina pietosa di lacrime. Non centrò il buco della serratura una, due volte. Alla terza, quando riuscì a infilarle, pregò che dall'altra parte non ci fosse Margherita. Se fosse stata fortunata, la coinquilina sarebbe stata in camera sua o seduta in qualche angolo dell'appartamento che le avrebbe consentito di scivolare via inosservata e poter piangere nella privacy della sua stanza.

Tuttavia, la buona sorte non stava proprio girando a suo favore.

Fece contatto visivo con Margherita non appena mise dentro piede.

Era poggiata allo stipite del soggiorno con un'espressione furba in volto, ma non appena la vide con le guance rigate si tolse subito il sorriso dalle labbra.

«Cos'è successo?»

Anche se doveva sembrare parecchio patetica, Freya non riuscì a fermare il labbro dal tremare.

«È finita.»

«In che senso "è finita"?» Margherita alzò il tono di un'ottava. «No, no, no. Io vi aspettavo qui per darvi dei pervertiti fornicatori, non per scoprire che è già finita.»

Freya poggiò la borsetta a terra, la coinquilina le porse un fazzoletto già usato, pescato dalla tasca della tuta. 

«Ma in che modo? Come mai?»

Freya le raccontò del battibecco, di come fosse degenerato e di come lei avesse infine chiesto a gran voce di venir riportata indietro per non dover più stare con lui.

La risposta che ottenne fu in perfetto stile Margherita:

«È proprio vero che i coglioni vanno sempre in coppia. Adesso per il vostro orgoglio vi ritrovate entrambi a bocca asciutta.»

La regola della psicologia inversa (#Wattys2022)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora