2. Qui è Fisco Germoglio

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Forse sarebbe stato meglio inciampare, spezzarsi una gamba ed essere quindi fisicamente impossibilitata a recarsi in un ufficio postale per far recapitare il proprio curriculum; o forse, meglio ancora, sarebbe stato bastato vivere negli anni '50 per non avere la linea internet e non poter quindi ricorrere alla posta elettronica.

Ma alla fine, Freya, quella maledetta email allo studio di ragionieri, l'aveva inviata — il che l'aveva fatta incorrere nella terza ragione già elencata in precedenza della sua insoddisfazione.

Probabilmente il passo falso più grande mai commesso in venticinque anni di vita.

Quella mattina, Tip — il simpatico nome che aveva dato alla sua vecchia Citroën, acronimo di "Ti Imploro Parti" — si era accesa e si era avviata su per la salita senza problemi. Un evento più unico che raro e che Freya, povera ingenua, aveva interpretato come un segno di buon auspicio.

Era arrivata allo studio, Fisco Germoglio, in perfetto orario. Il suo capo, quello scapolo quarantenne del signor Luigi — Gigi, per tutti — stava giusto giusto sollevando la saracinesca, vestito di tutto punto come al suo solito.

A tratti ricordava gli Oompa Loompa di Willy Wonka. Quello del 1971 però, non quello del 2005.

«Oh, Freya! Capiti a fagiolo: ho una pila di documenti da fotocopiare e inviare per fax al più presto!»

Che schifo.

Che poi, se la valutazione di un lavoro si limitasse all'ambiente in cui questo veniva svolto, Freya gli avrebbe affidato un bel dieci. Il signor Gigi aveva arredato la sala d'aspetto con straordinaria minuzia e la mano del miglior designer che era riuscito a trovare nei dintorni; ogni cosa era stata posizionata in un punto per una precisa ragione: il diffusore di profumi sulla reception dove lavorava Freya — particolare che all'inizio aveva interpretato come un invito a lavarsi — i quadri d'arte contemporanea, le pareti azzurre — colore associato alla calma e alla spiritualità... cura che certo non andava a stonare con il titolare, i cui capelli biondi erano perennemente laccati e il sorriso frequentemente sbiancato.

Un vero peccato che però, nella sua complessità, Freya ritenesse il proprio incarico tremendamente noioso e snervante: il novanta per cento dei clienti erano abitanti di Valle D'Arnosio che, come aveva imparato ad accettare, non potevano proprio sopportarla. Non la maltrattavano, ma tendevano a dimostrarsi tutti piuttosto freddi e, quando lei non li guardava, a squadrarla da capo a piedi come una belva feroce da cui si dovrebbe stare in guardia.

Il plico di pratiche da spedire era così pesante che, sebbene il capo avesse cercato di posarlo sulla postazione della ragazza con delicatezza, provocò un tonfo sordo che risuonò per l'intero locale, strappandolo momentaneamente dal silenzio nella quale era avvolto.

Che schifo, pensò nuovamente Freya.

Aveva appena acceso il proprio computer quando il signor Gigi, affabile come se stesse cercando di vederle un'aspirapolvere nuovo di zecca, sbucò da dietro la porta del suo ufficio.

«Oh! Ti ho appena inoltrato altri documenti firmati di vitale importanza. Potresti pensare anche a quelli? Fai dieci copie, non si sa mai!»

«Certo, Gigi.» replicò cordiale Freya, sforzandosi di piegare le labbra carnose e un pollice all'insù.

Il signor Gigi concorreva per la nomina di sindaco alle imminenti elezioni comunali e pressoché l'intero staff aziendale rientrava nella giunta. L'unica esclusa era Freya, ultima arrivata. Ciononostante, l'opposizione si ostinava a considerarla un po' come parte integrante della commissione avversaria e a trattarla di conseguenza.

Che ironia: tre quarti di paese la vedevano come un'intrusa, e il quarto rimanente come una rivale. Non piaceva quasi a nessuno.

Sebbene Freya avesse fissato domicilio lì, in quella ridente cittadina che era Valle d'Arnosio, da relativamente poco tempo, aveva già appreso una lezione di vitale importanza: non si scherza con la politica.

La regola della psicologia inversa (#Wattys2022)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora