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Il mio mese è finito.

Il mio prezioso mese, fatto di silenzi e solitudine è finito.
Ora dovrò ricominciare a fare i conti con sguardi pietosi, con sorrisi di compatimento, con pacche sulle spalle e con le solite frasi di circostanza che non hanno alcuno scopo, se non alleggerire la coscienza di chi le pronuncia.

Il mio mese è finito.

Continuava a ripeterselo come se fosse un mantra, o forse una maledizione vera e propria.
Le parole le scivolavano lentamente fuori dalla bocca mentre cercava di mantenere una parvenza di controllo spazzolandosi i lunghi capelli corvini.
Sospirava ad ogni frase, cercando inutilmente di trattenere le lacrime che le stavano inondando gli occhi paglierini.

Il mio mese è finito.
Devo tornare al lavoro.
Devo...
Devo rincominciare a vivere.

L'ultimo mese era stato denso e non le veniva in mente un altro paragone per poterlo descrivere.
Denso, come se per arrivare alla fine della giornata avesse dovuto attraversare piscine piene di miele.
Ma del miele avevano solo la consistenza e nessuna dolcezza.
Scartoffie da firmare, avvocati da incontrare, commemorazioni da preparare.
Senza contare il resto della famiglia, che si era fatto avanti solo ed esclusivamente nel tentativo di racimolare qualcosa.

Fortunatamente da quell'ultimo punto di vista poteva dire di essersi preparata già diversi anni prima, quando aveva dovuto difendere i beni di legittima proprietà di suo padre, dalle mani avide delle sue sorelle.
I pensieri vennero interrotti dal fastidioso trillare della sveglia, impostata sul telefono.

Il mio mese è ufficialmente finito.

Lasciò il suo fasullo senso di sicurezza attaccato alla spazzola e, una volta uscita dal bagno recuperò borsa e giacca, si chiuse la porta di casa alle spalle e si diresse verso l'auto.
Fu uno dei viaggi più penosi della sua vita.
Il primo senza poter telefonare a nessuno che le tenesse compagnia mentre andava al lavoro.
Il primo in cui né la musica né il silenzio sembravano portare conforto al suo cuore dilaniato in pezzi.
Fu uno sforzo disumano riuscire a tenere lo sguardo concentrato sulla strada e gli occhi abbastanza sgombri dalle lacrime per poter mettere a fuoco tutto ciò che la circondava.
Non c'era ristoro nei caldi raggi del sole pomeridiano.
Non c'era sollievo dalla brezza che entrava dal finestrino abbassato.
Non c'era soddisfazione nemmeno in quella sigaretta che le pendeva dalle labbra.
Si sentiva come maledetta.
C'era forse un film in cui parlavano di una sensazione simile.
Non c'era piacere nemmeno nel cibo.

Giunta al lavoro non si stupì di tutto quello che già aveva previsto.

I colleghi non osavano domandare nulla, c'erano solo vaghi accenni di sorrisi. L'unico che, forse, mantenne un atteggiamento quantomeno simile al "prima" fu il suo capo che, come ogni inizio settimana, si limitava a comunicare tramite bigliettini, accuratamente appuntati all'agenda, tutti i compiti da svolgere entro un certo orario.

Spazzare il dehor
Pulire le scale
Controllare i bagni
Grazie

Niente di più e niente di meno dal solito.
Come se tutto si fosse fermato ad un mese prima, ma da un mese con l'altro nulla era più lo stesso.
L'unica fortuna fu che quella serata di lavoro si protrasse pigra e languida fino all'orario di chiusura.
Il suo capo le aveva chiesto più volte se volesse andare a casa prima, per non esagerare, ma lei aveva sempre risposto che preferiva stare lì da sola, con la mente occupata dagli incarichi lavorativi, anziché andare a casa, essere sola e non avere nulla con cui impegnare i pensieri.
Fu così che si ritrovò da sola, all'interno di un ristorante buio e silenzioso, se non per la musica che arrivava sommessa dalla tv.
Sistemò bicchieri e tazzine; ripose birre e bibite negli appositi cassetti refrigerati; lavò i pavimenti, il tutto nel massimo silenzio, cercando di soffocare il proprio dolore con le parole di una canzone dal sapore agrodolce.

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