5. CHLOE

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Ora come ora le cose fra me e Riles non vanno malaccio, ma potrebbero decisamente andare meglio. Per cominciare sarebbe bello andare oltre i saluti. L'unica parola che ci scambiamo è "ciao".

È dura starle vicina. Trattenersi per tutto il tempo, evitare di dire qualcosa d'inappropriato o fare qualche stronzata di cui finirei per pentirmi dopo dieci secondi.

Stiamo tentando, anche se molto ma molto lentamente, di ricucire la nostra amicizia. Sappiamo bene entrambe che non potrà più essere come prima. Abbiamo scavalcato troppi limiti noi due.

A questo punto, mi si presentano due opzioni.

La prima: chiudere del tutto ogni tipo di rapporto con lei (opzione che non voglio neppure osare prendere in considerazione).

La seconda: accettare questo nuovo strano rapporto fra noi e ritenermi soddisfatta di quello che abbiamo raggiunto. In assenza di alternative, mi vedo costretta ad accettare quest'ultima.

Mi avvio, la musica sparata negli auricolari e un nodo allo stomaco che cerco di sciogliere camminando sempre più in fretta, finché il bruciore ai polpacci non copre il macigno che sento proprio vicino al cuore.

Non appena riesco a stento a distrarmi dall'ansia che mi sta attanagliando le viscere, il telefono vibra nella tasca, riportandomi al punto di partenza. Non lo avrei sentito mentre cammino, ma so già che lei mi chiamerà puntualmente alla stessa ora, come ogni santo giorno.

Quando non lo fa, so che non verrà a scuola, e allora quella sarà un'altra giornata resa piatta dalla sua mancanza.

Rispondo, con la mia tipica voce di prima mattina, talmente roca da non sembrare neppure la mia. Le sigarette non aiutano.

- Buongiorno. –


La sua voce è sempre una distrazione, mi riscalda da dentro, facendomi perdere totalmente la concentrazione su qualsiasi cosa stia dicendo. Non so quante volte le ho dovuto chiedere di ripetere ciò che aveva detto. Lei lo odia, infatti spesso non lo faceva.


Sembra sempre più allegra di quanto dovrebbe. Cosa ha da essere allegra? Io mi getterei sotto un pullman, pur di non dovermi rinchiudere in quella maledetta scuola.

Credo di aver perso il conto di tutte le volte che abbiamo marinato insieme. Sono stati decisamente i migliori momenti trascorsi insieme.

- Dove ci vediamo? –


Il mio tono è l'esatto opposto del suo. Nervoso e sbrigativo.

- Al solito posto. –


Il solito posto è il parco dietro la scuola. Il luogo dove ci sediamo per fumare nell'attesa che suoni la campanella. Un segnale che noi volutamente ignoriamo, entrando in elegante ritardo di cinque minuti.

Quando arrivo a destinazione lei è già lì da un po'. Aspetta sempre che arrivi, prima di accendersi la sigaretta. Non ho idea del perché lo faccia, ma mi fa piacere. Vederla fumare è una visione, riesce a essere attraente persino nei gesti più banali.

Oggi indossa dei jeans chiari, che le fasciano un fondoschiena letteralmente perfetto. Al di sopra, un maglioncino color senape con lo scollo a v, sotto a un giubbotto di pelle che le dà un'aria vagamente trasgressiva.

Sono certa che la troverei sexy da morire, anche se indossasse un sacco della spazzatura.

Tenta di fare conversazione, con i soliti argomenti banali. Io però sono troppo presa dal mangiarla con gli occhi per capire una parola di quello che dice.

A volte mi sembra così distante...come fosse un qualcosa d'irraggiungibile. La vedo, qui davanti a me, posso parlarle, posso guardarla, ma la distanza fra noi è sempre troppa. Ho paura che se facessi quel passo, necessario ad annullare la distanza fra noi, lei potrebbe scomparire, come la visione divina che ho sempre percepito io.

Mentre aspettiamo, arrivano anche le altre. Ci riappropriamo dei nostri zaini e ci avviamo verso il portone principale.

***

Due ore dopo.

Non penso che il tempo potrebbe trascorrere più lentamente. Neppure se mi sedessi in una stanza spoglia a contemplare il vuoto.

Continuo a pensare che sia troppo lontana. Non mi basta stare qui dietro, a fissarla dal mio posto all'ultimo banco.

Mi ritrovo persa a osservare cosa cavolo stia combinando. Anche le voci dei professori e gli schiamazzi dei miei compagni scompaiono del tutto.

C'è solo lei.

Legge sul cellulare, poi giocherella con le punte dei capelli, o si rigira il tappo della bic blu fra quelle splendide labbra carnose. Insomma, avrete intuito che, come me del resto, non è molto presa dalla lezione.

Scarlet, mia compagna di banco, da brava secchiona che è, non stacca gli occhi dalla lavagna. Io di solito mi ritrovo a cazzeggiare con Wal e Riles. Noi tre viviamo in un altro universo, uno tutto nostro.

Questa volta però, per qualche misteriosa ragione, Wal sembra particolarmente interessata. Attira la mia attenzione, con una serie di gesti inutili. In ogni caso stavo già guardando da quella parte.

- Ehi! –

Sussurra per non disturbare la classe.

"Che c'è?"


Mimo con le labbra.


"Facciamo a cambio?"


Non lo dice, ma io lo intuisco dalla specie di segni muti che fa. Mi strappa una risata, che devo soffocare prima che il prof mi scaraventi un gesso dritto in fronte. Sono certa che voglia copiare gli appunti di Scarlet, la stronzetta.

Non sono sicura sia una buona idea.


Ma chi se ne frega. Quando mai ti sei preoccupata di fare qualcosa che fosse una buona idea?!


Annuisco, dando il via alla mia amica per alzarsi e scambiarci di posto, senza che il prof. di matematica faccia minimamente caso al nostro spostamento. È troppo preso dalle formule chilometriche che non ha smesso di scribacchiare alla lavagna neanche per un secondo.

Ed eccoci qua. A meno di un metro, mentre lei continua deliberatamente a ignorarmi. Questo suo modo di escludere totalmente il resto del mondo mi incuriosisce e mi irrita allo stesso tempo. Non credo nemmeno che abbia notato il fatto che al posto di Wal ci sia seduta io in questo momento. Prosegue imperterrita la sua lettura, con i capelli sempre un po' scompigliati che le ricadono ai lati della montatura degli occhiali da vista. Sta raccolta come un porcospino in posizione di difesa, con l'aria di chi non vuole essere disturbata.

Mi avvicino curiosa, ma anche per farle notare che sono io.

- Cosa leggi? –


Le chiedo, sostenendomi dalla sua gamba per evitare di cadere dalla sedia. Mi rendo conto soltanto dopo che lei ha le cuffie, e non si era minimamente accorta della mia vicinanza. Sussulta di poco e si sfila un auricolare mentre si volta verso di me.

Siamo incredibilmente vicine. Solo ora mi accorgo anche che la mia mano birichina è decisamente troppo vicino al suo inguine.

Apparentemente non dovrebbero essere nulla di grave. Ma dopo quello che è successo...

Dovrei levarla e farle capire che ho pensato male del mio stesso gesto, oppure lasciarla lì con nonchalance, facendo finta di non essermene accorta?

Prima che possa prendere una decisione, lei ci butta un occhio. Un calore che vorrei tanto poter controllare mi inonda il viso e le orecchie, mentre spero di non essere arrossita.

Quando riporta lo sguardo verso di me, mi sento avvampare ancor più di prima. Nel suo sguardo c'è qualcosa d'indecifrabile.

- Signorina Wickeman! –


È il prof di matematica, il signor Steele, a salvarmi dall'imbarazzo. Levo la mano prontamente, mentre lei ritorna alla sua postazione schiarendosi la gola.


- Si sig. Steele? –


- Perché non viene qui e risolve l'esercizio alla lavagna così che tutti possano vederlo? –


Merda...


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