13. SCARLET

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Mi alzo di scatto, dopo l'ennesima nottata in bianco, e mi vesto in fretta come mai prima d'ora.

Tra le mie amiche, sono la ritardataria, e loro questo lo sanno molto bene. Al pensiero mi sfugge una risatina.

Una volta finito di sistemarmi, infilo il cappotto in camoscio color carne e prendo la borsa. Per la fretta rischio di dimenticare le chiavi. Torno indietro sbuffando, le afferro e faccio per uscire di corsa.

- Scar, dove vai così presto? –

Incontro mia madre nel corridoio, che mi fissa con aria interrogativa. Si stropiccia gli occhi ancora semichiusi. Mi rendo conto di aver messo la sveglia alle 6:30 e che pur volendo la scuola non aprirà prima delle 8:00.

Devo inventare una scusa che suoni convincente.

- Ehm, io e le ragazze abbiamo deciso di andare a fare colazione prima di partire... -

Ti prego, ti prego, fa che se la beva.

- Ok tesoro, mi raccomando. –

Lo dice con un po' troppa complicità. Scelgo di non farci caso, mentre evado da casa mia e mi dirigo a passo svelto verso la scuola.

I miei sono sempre stati estremamente protettivi nei miei confronti. Soprattutto mio padre, che mi vede ancora come una micetta indifesa. Si rifiuta di accettare che in questo modo fa sentire impotente anche me. Per qualche strana ragione però, non si sono mai preoccupati troppo di chi frequentassi, né del mio coprifuoco. Suppongo si fidino di me.

Oppure, come tutti del resto, non si aspetterebbero mai che la propria figlia esca di mattina presto per incontrarsi con il cinquantenne che frequenta.

La frescura prima dell'alba mi sferza la pelle, mentre mi dirigo verso la mia destinazione. Una volta arrivata, penso a una scusa per entrare.

- Buongiorno, ieri ho dimenticato il cellulare in classe. Potrei salire a prenderlo? È molto urgente... –

Impiego tutte le mie capacità recitative per convincere la segretaria all'ingresso. Lei con poco interesse mi spedisce su senza fare domande. Non appena metto piede nell'aula, che so già resterà vuota per tutta la mattina, gli mando un messaggio.

- Sono qui. –

Non aggiungo altro, limitandomi ad aspettarlo.

***

Trascorrono circa quindici minuti.

Vorrei strozzarlo. Certo, fa con comodo, come se non sapessi che ho un appuntamento da rispettare tra meno di un'ora.

Per un momento penso di alzarmi e andare via.

Ma la voglia di restare di nuovo sola con lui è troppo forte per riuscire a combatterla.

Mi siedo su un banco, quello esattamente di fronte alla porta. Dopo qualche minuto il rumore di passi nel corridoio mi porta a irrigidirmi. Non sono sicura che sia lui, ma lo spero vivamente. La maniglia si muove con un cigolio snervante. La porta si spalanca. Ed eccolo qui, a pochi metri da me.

- Buongiorno. –

- Buongiorno. –

Vorrei negarlo, ma sappiamo benissimo che le nostre parole sono velate d'imbarazzo.

Non eravate così pudici l'ultima volta però...

Sosta per qualche secondo sull'uscio. Credo stia prendendo in considerazione se entrare o meno. Alla fine si decide, richiudendo la porta dietro di sé. Emette un sospiro fin troppo rumoroso.

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