Ripensare alla famiglia le apriva una voragine nel petto. I genitori, la sorella, figure così vicine e bisognose di lei. Il loro amore la faceva sentire importante, fremeva dalla necessità di difenderli. Di difendere gli altri, chi di ne aveva bisogno.
Forse però così stava solo difendendo se stessa.
La mancanza di quella presenza intima si confondeva con la gioia della libertà. Perché questo nascondeva l'aver accettato la malsana proposta.
Il peso della responsabilità la stava divorando lentamente; lo sapeva, tentava di nascondere a se stessa la verità. Il bisogno di loro si rifletteva nel soffocamento di lei.
A stento riusciva a dedicarsi alle sue cose e con la maggiore età, e il collage quasi irraggiungibile per la necessità di lavorare, sentiva che il peso della vita avrebbe rotto le sue fragili ossa.
Le avrebbe lentamente sgretolate, pressate sotto la morsa del senso di colpa nel No, anche se quel no significava stare bene.
Fuggire sarebbe stato più facile, odiava se stessa per non riuscire a controllarsi e odiava la sua famiglia per non averla mai davvero capita.Osservai il quaderno stupita delle parola che come fiume erano scivolare dalla mia mano. Dovevo dare una spiegazione alla mia confusione e senza internet o enciclopedie sotto mano, questa sembrava la soluzione migliore.
Nonostante il pianto di qualche ora prima, sentivo che qualcosa dentro di me si stava incrinando. Uno strano senso di libertà anche se in realtà erano solo cambiate le catene.
Non volevo più pensare, avevo bisogno di distrarmi su altro, così tentai di nuovo di parlare con Hal, per convincerlo a farmi guidare al posto suo.
"Facciamo cambio, ti insegno a portare una macchina." Dissi cercando di sfidarlo.
Mi guardò di sbieco, incuriosito.
"Cosa avresti da ridire della mia guida?"
"Pensionato, poca adrenalina, scattoso."
"Quando ho aiutato ad inventare la prima Ford nemmeno eri nata."
"Forse era meglio montarle le macchine che guidarle."
"Ah si. Fammi vedere che sai fare." Disse accostandosi sulla corsia d'emergenza per fare velocemente cambio posto.
Risi divertita, misi in moto e ripartii.
"Cosa avrebbe di speciale la tua guida?"
"Nulla, volevo solo guidare un po'" dissi facendogli la linguaccia.
"Sicura di non andare ancora all'asilo Clover?"
Ridemmo di cuore, insieme. Era divertente smorzare noi stessi con tanta semplicità ma era inusuale che lo facessi sentendomi così a mio agio.
Stranamente, un calore sali dal mio stomaco, inondandomi il cranio e costringendomi a distogliere lo sguardo, sentendo le guance diventare rosse.
Cercai di svagare in fretta, non volendo essere colta in difficoltà.
"Quale è il paese più bello in cui sei stato?"
"In quale periodo?" Chiese lui sorridendo. Poi continuò: "il catalogo è molto ampio. Diciamo che il mio paese preferito è l'America." Arrossii di nuovo ma stavolta anche lui ebbe uno strano scatto, come un piccolo guizzo di contrarietà.
"Però anche l'Asia è veramente particolare. Te invece?"
"Io non ho visitato molto, mi piacerebbe andare in Europa però."
"Che intendi? Non sei mai uscita dagli Stati Uniti?"
"Si, beh, io cioè...ancora no." Dissi sorridendo.
"L'Europa è bella effettivamente, potrei tornarci un giorno. Dovresti andare a Roma."
"Molto ironico. Un giorno mi spiegherai chi ha scritto la Bibbia comunque."
"No dico sul serio, però è divertente ora che ci penso." Rispose ridacchiando.
"Anche l'Inghilterra è un bel paese, mi piacerebbe molto visitarlo."
"Ci sono stato per molti anni. Avevo un amico panettiere, formidabile a fare pizze."
"Oddio non parlare di cibo, mi fai venire troppa fame. Che cosa facevi in quei posti?"
"Di solito strategia nell'esercito. Vedimi come il figlio di un imprenditore. In quel periodo in Inghilterra almeno." Sorrise
"Hai mai conosciuto Michelle Tescher? Io l'adoro."
"Non ci credo, ti piace una suprematista."
"Ma che dici!"
"Tu non la conosci Clo, quella donna aveva idee tutte strane."
"Per te è tutto bianco o nero."
"No, sei te che non accetti altre idee e tagli a zero." Mi innervosii enormemente, chiusi la bocca per non sputare fuori parole di cui mi sarei pentita. Quel modo di fare fastidioso che mi ricordava la mia famiglia e da cui sapevo un po' difendermi faceva sempre scattare in me una forte rabbia.
"Cosa è? Stai zitta ora? non puoi interrompere così la conversazione."
"Stai zitto un attimo devo calmarmi."
"Col cazzo! Non puoi dirmi cosa fare ragazzina, accosta e fammi guidare anziché mettere il muso. Devi smettere di fare così. Parlami Clo, perché stai zitta?"
"Oddio ma quanto parli" dissi ridendo di lui. Ero riuscita a tornare in me, ascoltando il flusso di insulti che vomitava Hal. Era strano, perché dietro quegli attacchi mi sembrava ci fosse dell'altro.
Serio ma con uno sguardo dolorante, visualizzai il viso di Hal per un secondo, che ci basto per capirci: entrambi avevamo percepito una strana tensione tra noi, un misto tra voglia di approfondire e richiesta di aiuto, ma avvolto da tanta paura.
"Non mi piace la gente che mette il muso." Replico lui offeso ma più tranquillo.
"Potresti ignorarla, la gente che ti da fastidio." Dissi in risposta.
"Se non ci condividessi uno spazio così ristretto l'avrei fatto."
"Peccato." Dissi io
"Peccato" rispose più amareggiato.
"Non volevo essere qui neanche io." La mia rabbia stava aumentando di nuovo.
Non rispose, così mi concentrai di nuovo sulla guida, finché non vidi un cartello della polizia con la scritta rallentare.
"Cazzo, Hal non ho i documenti." Lui si mosse scattoso sulla seduta.
La strada era vuota, e il cartello di avviso ci imponeva di diminuire la velocità in vista del posto di blocco che ci avrebbe sicuramente fermati e perquisiti, trovando le armi e ricollegandoci alla sparatoria al centro commerciale.
"Fa finta di niente, se le cose peggiorano, bloccali e ripartiamo."
Svoltai la curva e vidi un uomo sventolare le braccia per indicarmi di accostare. Le gambe mi tremavano e la frenata risulto poco fluida. Chiusi gli occhi ed espirai, tirando giù il finestrino mentre Hal mi prendeva la mano, stringendola forte.
"Andrà tutto bene." Odiavo quando le emozioni crescevano così in me senza controllo.
"Salve ragazzi, dove state andando?" Domando con voce acuta l'uomo alla mia sinistra.
"Salve agente, un piccolo viaggio verso le Cascate." Rispose Hal al posto mio.
"Un weekend romantico?" Sorride malizioso. Era un uomo sulla cinquantina, terribilmente simile a mio padre, calvo e basso.
"Rimarremo per festeggiare il capodanno." Risposi tenendo il gioco del poliziotto.
"Da dove venite?" Chiese con tono indagatore. Rimasi in silenzio, aspettando che Hal rispondesse.
"Dal Texas, abbiamo iniziato un viaggio molto impegnativo."
"Io sono texano! Che coincidenza, non si incontrano spesso compatrioti da queste parti. Di che zona siete?"
"Siamo di Michville, vicino Frontland, lo conosce?"
"Dannazione! Ho vissuto in quel posto per dieci anni! Come sono le cose li? C'è ancora Miss Margaret?" Domandò tutto contento. Doveva essere difficile trovare gente del Sud da queste parti e la sua gioia ne era la prova.
"La pasticceria?"
"No, la signora." Rispose corrucciando le sopracciglia. Io lo fissavo immobile, passando lo sguardo sulla sua divisa il gran numero di mostrine e mi domandai perché un agente del suo rango si trovasse a fare un semplice posto di blocco.
"Oh, no, lei è morta qualche anno fa."
"Cavolo mi dispiace, scriverò ai figli. Voi ragazzi mi state molto simpatici. Sapete vi ho chiesto da dove venite per una segnalazione che ci è arrivata. Roba strana, una sparatoria mai vista in un centro commerciale. Attenti ragazzi, di questi tempi non ci si può fidare di nessuno."
"Ha perfettamente ragione, ma si sa qualcosa di più? Ora ho paura Hal. Forse non dovremmo andare." Risposi io impersonando lo stereotipo della ragazza indifesa. Evidentemente lo Stato aveva messo in servizio una flotta di agenti per acciuffare i colpevoli in breve tempo.
"Ma no tranquilla tesoro! Sono tutti sulle loro tracce, sapete è morta una bambina durante la sparatoria, la faccenda si è fatta grossa."
Rimasi immobile, pervasa da un gelo profondo. Cosa avevamo fatto? Il mio cervello si era scollegato dalla realtà, non riuscii neppure a mordermi il labbro per tentare di focalizzare la strada davanti a me; nulla, solo l'immagine di una bambina morta a terra, e sua madre che piange, e sul padre che grida aiuto. Cosa avevo fatto?
Non dissi più una parola e accanto a me Hal riprese il discorso con l'agente.
"È una tragedia."
"Già... ma ora andate! Godetevi le feste e salutatemi Miss Margaret!"
Chinai lo sguardo mentre l'agente si allontanava dall'auto.
"Spostati Clo. Guido io."
Non parlai mentre come uno zombie, pensando solo a quella bambina innocente, mi sedetti al posto di Hal, che intanto era sceso dalla macchina e aveva risposto nuovamente a qualche domanda dell'altro poliziotto.Risalì in auto e mise in moto tornando in carreggiata, mentre gli agenti fermavano una nuova macchina. Mi guardò con lo sguardo duro e le nocche strette al volante, da quello che potevo vedere con la cosa dell'occhio mentre ma mia mente era concentrata solo sul sangue fatto sgorgare dal proiettile.
"Non è colpa tua, non hai nemmeno sparato."
"Cosa ho fatto." Dissi guardandomi le mani. Hal le prese di nuovo mentre guidava, mantenendo la presa sul volante con l'altra: notai la sproporzione tra le nostre mani e pensai solo a quella bambina tra le braccia dei genitori, senza vita.
"Nulla Clo. Tu sei solo rimasta impigliata. Non doveva succedere a te, mi dispiace."
Non risposi, persa nel vuoto dei miei pensieri. Immaginavo solo la famiglia, il dolore della perdita, il sangue, le lacrime. Era troppo per me.
Mi voltai verso lo sportello, lasciando le mani di Hal e chiudendo gli occhi cercando di non singhiozzare.
"Parlami Clo. È una delle poche cose che ho imparato servono a sopravvivere in questo schifo di mondo. Dimmi cosa provi."
Non risposi, lo sentii sbuffare forte ma lo ignorai, accogliendo la colpa delle mie azioni.
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The Key (h.s)
Fantasy"Certe cose, a volte, è meglio non saperle." Tutti continuavano a ripeterle quelle parole, ma lei non le ascoltò mai. Imparò la lezione quando ormai era troppo tardi, ma forse era inevitabile quello che le successe.