Due adolescenti fuoricontesto

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Hal pensava a quella ragazza, e la freddezza che raggiungeva in certi momenti ne era la prova: non appena entravamo nell'intimo lui si paralizzava, potevo sentire e percepire l'aria tendersi insieme ai suoi muscoli e il suo respiro velocizzarsi. Durante la riunione con gli altri ragazzi aveva mantenuto per lo più lo sguardo fisso, quasi a voler nascondersi da me.

Io non dovevo contare su di lui, mi stava usando per scopi personali, mi stava addestrando come un burattino ma la tranquillità che provavo in sua presenza era in grado di cancellare qualsiasi briciolo di razionalità. Il che mi mandava completamente fuori controllo: potevo essere me stessa ma così facendo non avrei fatto altro che allontanarlo definitivamente.

Sdraiata sul letto, nel pieno di quella nottata, mi sentii un'adolescente in preda agli ormoni, in grado di focalizzarmi solo su una cosa tanto superficiale, quanto quelle sensazioni momentanee, e non sull'unico pensiero che avrebbe dovuto assillarmi: sopravvivere.

E più cercavo di concentrarmi sul trovare una via d'uscita, più mi rinchiudevo nella gabbia dei miei sentimenti, il che non mi ha mai portato nulla di buono.

Decisi che fare una passeggiata sarebbe stata un'alternativa più valida dello struggermi: camminare disperdeva le brutte idee e dall'incidente era diventato un passatempo rilassante seppur faticoso.
A volte camminavo fino a non sentire più i piedi, fino a perdermi per strade che non avevo mai visto, con il telefono scarico e senza documenti, non volendo probabilmente ritrovarmi.
Quel bunker soffocante non permetteva ai miei pensieri di fuggire ma anzi li faceva rimbalzare così forte tra le pareti che acquisivano potenza, tornandomi addosso come valanghe.
Mi stavo facendo usare perché quello era il mio destino, Hal era parte del sistema che aveva bisogno di un mio intervento mentre io avevo bisogno di lui per sopravvivere a quell'inferno.
Nemmeno il ricordo della mia famiglia rassicurava il mio cuore, in balia dello sconforto più totale: una famiglia difficile della quale non avevo praticamente ricordi ma dalla quale volevo a tutti i costi fuggire. Il tentativo di suicidio era solo l'ennesima prova della mia inadeguatezza ma i segni che mi aveva lasciato pesavano meno della mia sopravvivenza.

Vagavo come uno zombie, divorata dal vortice di sentimenti mentre fumavo una delle sigarette regalatami da Stefan. Volevo solo scomparire dentro la nube di fumo che usciva dalla mia bocca invece ero in piedi e vuota, cercando di perdermi finalmente in Dedalo.

Mi ritrovai invece di fronte alla mia camera, quasi lo stesso Labirinto mi avesse ricondotto nella mia stanza. Quando aprii la porta con mio stupore trovai proprio Hal: sorpresa relativa, d'altronde mi pedinava come uno stalker.

"Immagino mi stessi aspettando." parlai entrando in camera con ancora la sigaretta accesa e lo sguardo scocciato mentre lui seduto sul letto, corrucciava le sopracciglia e serrava la mascella.
"Puzzi di catrame."
"Non sono in vena." risposi soltanto, sdraiandomi sul letto e spegnendo la sigaretta in un portaoggetti sulla comodino.
"Lo vedo. Tra poco ripartiremo e smetterai di torturarti nei tuoi pensieri." Il gelo si impadronì di nuovo di me: avrei lasciato Hal per stare con l'altro gruppo e così il mio porto sicuro.
"Ci alleneremo ancora domani, sarai pronta." Cerco di farmi coraggio lui.
"Non è questo."
"Cos'è?"
"E' troppo difficile."
"Sono in grado di capire."
"Io non sono in grado di spiegare Hal." risposi congelando anche lui con lo sguardo. Percepì l'intensità del mio dolore rinchiuso dietro il muro di indifferenza e in tutta risposta si sdraiò accanto a me in silenzio.
Non capivo cosa stesse facendo tanto che lo osservai dubbiosa mettersi comodo vicino a me, con le braccia intrecciate sotto la testa così come le caviglia: sembrava stesse prendendo il sole e la sua tranquillità si irradiò in me, tanto da farmi sorridere.
Di nuovo un tepore innaturale mi circondò, dato dalla sola presenza di Hal: mi sentivo serena e dimenticai la paura che mi potesse lasciare da un momento all'altro.
"Mi sento...mi sono sempre sentita un tornado dentro. Le minime emozioni risuonano il doppio in me, pensa quando.." non terminai la frase ma lui non la concluse per me. Così riniziai:
"Le emozioni che vivo qui sono migliori di quelle che provavo. Mi avete condannata e salvata allo stesso tempo. Sento un casino in testa che non hai idea." dissi ridendo di me stessa, strofinandomi le mani sul viso.
"A questo punto fidati. Il tuo vero destino ti sta chiamando e devi solo accettarlo Clover."
"Il mio destino ha bussato alla porta con quasi venti anni di ritardo. Forse poteva pensarci prima di farmi impazzire."
"Non sei impazzita Clo."
"Tu non mi conosci."
"Raccontami di te allora." rispose serio, voltandosi verso di me e poggiando la testa sul braccio piegato.
"Cosa vuoi sapere?" risposi impulsivamente.
"Cosa ti fa stare bene da dimenticare tutto questo dolore?" chiese lui. Te, avrei voluto rispondere.
"Altre emozioni che non mi hanno mai portato nulla di buono." risposi sentendo la necessità di mentire.
"Forse perché se neanche gli dai un nome non sai come affrontarle." Osservò lui.
"Se le ammetto gli do potere su di me."
"Già glielo stai dando." rispose Hal abbassando il tono della voce e sdraiandosi di nuovo accanto a me.

"Perché eri qui?" Gli chiesi dopo qualche minuto di silenzio. Non avrei mai ammesso ciò che provavo per lui, così sviai il discorso su un'argomento più gestibile.
"Dovevo parlarti di una cosa. E poi tu mi hai detto che dovevi farmi delle domande."
"Tipo?"
"Niente, E' complicato."
"Vale anche per te lo stesso discorso." risposi sorridendo e posizionandomi allo stesso modo in cui era stato lui.
"Sei così fastidiosa...volevo parlarti del piano di domani, per partire."
"Dimmi pure." Mi sdraiai di nuovo, delusa della sua risposta ma veloce per non fargli vedere il mio dispiacere.
"Le nostre strade si dividono, però ecco..se ci dovesse essere un qualsiasi problema devi scrivermi qui." Disse porgendomi un piccolo cellulare estratto dalla tasca posteriore dei jeans. Il letto scricchiolava sotto i movimenti scattosi di Hal che tentava di estrarre l'oggetto mentre io ridacchiavo di lui.
"Voglio vedere se riderai quando non ci sarò io a coprirti le spalle."
"Voglio vedere quanto ti annoierai senza di me." Risposi punzecchiandogli il costato con le dita. Lui scattava ad ogni mio contatto, infastidito dal solletico che il mio dito gli provocava.
"Non sai quanto." Rispose cercando di bloccarmi la mano che io ritrassi velocemente, impedendogli di farlo.
Mi lasciai cadere sdraiata, ed Hal accanto a me si rilassò di nuovo.
"Davvero stai attenta. Ne va della sopravvivenza della mia gente." Sussurrò voltandosi verso di me.
"Errore vostro a contare su di me." Risposi innervosendomi.
"Non volevo che finissi in mezzo a questa storia." Sussurro Hal sinceramente colpevole.
"Almeno finirà tutto." Sarei morta una volta per tutte, era il mio destino d'altronde.
"Perché non ti vuoi bene?"
"Cosa?" La domanda mi devasto.
"Sei bella, intelligente, simpatica eppure sei così autodistruttiva." Rispose lui fissando il soffitto. Mi accesi di imbarazzo e vergogna come un ladro colto con le mani nel sacco. Notando il mio silenzio, si voltò verso di me, incastrando il mio sguardo nei suoi occhi verdi.
"Di cosa hai paura Clo?"
"Io.." esitai. Non sapevo cosa rispondere, così mi voltai dall'altro lato e mi rannicchiai su me stessa. Mi sentivo un verme, e la presenza di Hal lì a fianco a me, pronto a confidarsi dimostrava la mia viltà.
Non era Hal a pensare ad un'altra, ero io a non riconoscere le mie emozioni e a spaventarmi di queste.
"Ti va di dormire qui stanotte?" Gli chiesi impulsivamente, mordendomi la lingua un'istante dopo.
In tutta risposta lui cinse la mia vita con il suo braccio, incastrando il volto tra i miei capelli.
Il paradiso era in quel letto e nonostante il freddo dei nostri corpi, di nuovo quello strano calore mi invase, cullandomi verso il sonno più rilassato della mia vita.

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Acqua ovunque. Sotto metri cubi di questa annaspavo per salire in superficie. Ero di nuovo al lago, nella pozza, a metri di profondità.
Stavolta però qualcosa di diverso solleticava i miei sensi.
Non avevo paura: non provavo alcuna emozione, semplicemente muovevo i miei muscoli e rivivevo la scena.
Non appena mi resi conto di poter respirare sott'acqua, tutte le motivazioni che mi spingevano a cercare l'aria scomparvero. Mi bloccai, osservando la scena intorno a me con una calma innaturale.
Oltre le lunghissime alghe, che come capelli arrivavano a solleticare i miei piedi, l'acqua torbida oscurava il resto del panorama intorno a me. Solo uno strano bagliore catturò la mia attenzione, nascosto tra i rami sottomarini che ondeggiavano al ritmo della corrente.
Le orecchie fischiavano fortissimo, la pressione dell'acqua premeva sul mio cervello così forte da farmi avere delle allucinazioni uditive. Iniziai a sentire, infatti, una voce molto bassa nella mia testa, che sussurrava calma "Mes Irv" in continuazione.
Rimasi tranquilla, convinta che le parole senza senso proiettate dalla mia mente fosse solo dettate dalle condizioni in cui vertevo. Invece, dopo l'ennesimo "mes irv" sentii la voce chiamare il mio nome molto distintamente.
Ero a pochi metri dal bagliore, che distinguevo essere un cerchio di luce con al centro qualcosa di diverso, di meno luminoso.
Prima che potessi scostare i rami per osservare l'oggetto sotto di me, il fiato torno a mancarmi, e come se avessi inghiottito tutta l'acqua del lago, sentii il cervello e i polmoni infiammarsi.

Mi svegliai di soprassalto, boccheggiando tutta sudata. Era tutto un sogno, l'avevo sempre saputo ma la sensazione di morire era stata dannatamente reale.
Mi voltai verso l'altro lato del letto e notai che nessuno era sdraiato accanto a me.
Mi abbandonai di nuovo sul materasso, con una strana sensazione di malessere e il petto che pesava un po' di più.

The Key  (h.s)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora