Tieni la testa alta: fatto, sempre.
Era cresciuta puntando gli occhi verso il cielo, pronta a spiccare il volo da un momento all'altro.
I colori del cielo però erano cambiati, il fumo dei tubi di scappamento delle automobili avevano fatto velare di un grigio tetro le sfumature cromatiche e intense che le piacevano tanto.
Non aveva mai sofferto di vertigini, l'altezza e il brivido che si porta dietro, mi facevano sentire viva.Non è solo questione di libertà, lo sapevo. Per quanto consapevole che la purezza fosse, ero speranzosa nella sua utopia.
Il brivido dell'altezza rispecchiava il mio desiderio di vedere le cose, le persone dall'alto, una prospettiva che per la mia minutezza immaginava essere nuova.
E quella novità portava dietro l'ombra della rivalsa, il desiderio di stare in cima e di avere per la prima volta il potere di esistere.
Un potere che esigeva essere esercitato e che per questo ho sempre cercato di indirizzare verso l'alto, verso la mia idea di bene, verso la libertà del volo e non la caduta e l'oppressione che causa.
Ma quella volta mi era fermata e avevo guardato giù. Non avrei dovuto farlo, pensava. Non avrei dovuto scendere in quelle profondità e perdere definitivamente se stessa.
Sì che avrei dovuto farlo, le bugie sono un placebo; la consapevolezza del dolore e della paura mi bloccavano però. Il cielo non è infinito, non continua oltre la coltre di nuvole nello spazio sconfinato.
Come una cupola di vetro, riflette un prisma di insicurezze: non si può salire oltre quel gradino per non rimanere senza ossigeno e il mio desiderio di volare perdeva così forza.Quello che si materializzava nella mia piccola testa in subbuglio, era il nero.
La perfetta forma del niente, che somigliava tanto al bosco del paese dov'ero cresciuta, con la strada perfettamente asfaltata in mezzo al nulla; quella via era stata costruita per esibire una sicurezza e un potere che non esistevano: la vita attorno mancava ma lei era lì a unire due estremità vuote.
Era quella la forma che davo al mio futuro e così la vertigine mi colpì in pieno, barcollai e si aggrappai al suo passato. Ma quale passato?
Guardai il cielo, anche quella volta i colori erano cambiati, non erano chiari come me li aspettavo ma erano più intensi di quanto avessi mai neanche immaginato.
Il tramonto non era mai stato così loquace.
Il rosso è più vivo del blu.
Chiusi il diario e contemplai la vista dal parcheggio di cemento in cui mi trovavo. Appollaiata al muretto, osservavo il sole scendere oltre l'orizzonte, facendogli compagnia alla fine del suo turno giornaliero, con in mano gli appunti della mia mente.
Nella strada sottostante passavano le macchine a tutta velocità ma da lì sopra era possibile vedere la distesa innevata che illuminava il paesaggio; le montagne svettavano lontane e i colori del tramonto risaltavano come fossero stati dipinti.Con quel diario tentavo di raccontarmi, di parlare a me stessa per recuperare dall'incidente.
Più scrivevo, più il fiato si accorciava: era davvero difficile dare corpo a quei pensieri così strani e contorti che occupavano la mia mente. Per quanto soffocante, scrivere era comunque l'unico metodo che avevo trovato per affrontare quello che avevo fatto, per capirmi davvero e soprattutto per andare avanti.Anziché sistemare, continuavo a scombussolare la mia vita, incapace di comprendermi e tenermi stretta le poche cose che mi facevano stare bene. Era diventato tutto liquido, scivolava tra le mie dite e più stringevo i pugni, più l'acqua zampillava via tra le linee della mano.
STAI LEGGENDO
The Key (h.s)
Fantasy"Certe cose, a volte, è meglio non saperle." Tutti continuavano a ripeterle quelle parole, ma lei non le ascoltò mai. Imparò la lezione quando ormai era troppo tardi, ma forse era inevitabile quello che le successe.