Inda-gin

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Rimasi lì dentro per quelli che sembrarono giorni, e che invece erano solo pochi minuti, cercando di evitare attacchi di panico.
Sentivo dentro un enorme senso di vuoto che mi divorava: accanto alla paura del ragazzo apparso come un maniaco nella mia vita percepivo una strana sensazione di curiosità, che mi spaventava ancora di più.
Dovevo strillare aiuto ma la mia bocca era stata cucita con un filo di metallo dalla mia stessa mente che non voleva sfuggire da quegli agguati: l'idea di essere pazza balenó in me. Non avevo parlato a nessuno di ciò che mi era accaduto, non che fosse qualcosa di insolito, ma delle esperienze del genere non dovrebbero rientrare nella classica categoria del "non detto"; invece, una volta rientrata in casa, a curiosità sorta da quell'incontro era più forte della paura.
Non avevo idea di come gestire la situazione: il pericolo ora coinvolgeva anche la mia famiglia e la curiosità stava lasciando posto alla paura e all'apprensione. L'amicizia tra il ragazzo, Hal e Tommy era la cosa più destabilizzante: mio cugino si fidava di lui ed io mi ero sempre fidata di mio cugino. I ricordi insieme a lui erano pochi: vivendo in due stati separati avevamo fondato il nostro rapporto su un continuo parlare a distanza ma sapevamo di poter contare l'uno sull'altra.
Ricordai di aver sentito parlare di Hal, l'amico sempre in viaggio e disponibile che frequentava da anni. Ma i ricordi erano scarsi, non riuscii a ricostruire la loro relazione, la sua identità o qualsiasi elemento che potesse aiutarmi a capire meglio chi fosse quel tizio.
Mi sciacquai le mani e uscii dal bagno, scontrandomi con l'ultima persona che volevo vedere.

Mi mise un dito sulla bocca per farmi rimanere in silenzio mentre io sbarravo gli occhi.
"Può suonare strano, ma non devi aver paura di me, ci sarebbero troppe cose da spiegare, quello che ti chiedo io è di fidarti e non fare domande." Sussurrò tutto d'un fiato Hal a pochi centimetri da me.

Gli scoppiai a ridere in faccia lasciandolo interdetto tanto che si allontanò appena da me.
"Una richiesta da niente." Risposi schiettamente, il che risultò paradossale data l'incertezza intorno alle sue intenzioni.
Ripresi il senno e colsi l'occasione per scendere le scale di corsa, rischiando di cadere per colpa del lungo tappeto persiano arrotolato male al penultimo scalino, e arrivando in salone, dove tutti i parenti si stavano accomodando a tavola.
Rimandai la richiesta di spiegazioni a più tardi e magari indirizzandole a Tommy, piuttosto che a Hal.

Mi sedetti tra due mie cugine mentre davanti avevo invece Tommy che si trovava tra Hal e un cugino di cui non ricordavo mai il nome, probabilmente perché non mi è mai stato simpatico.
"Fidarti" e "troppe spiegazioni" mi risuonarono in testa, trascinandomi lontana dal tavolo.
Non ora.
Strinsi i pugni sotto il tavolo mordendomi il labbro, l'unico modo che ho imparato per rimanere incollata alla realtà. Riempii il bicchiere di gin dalla bottiglietta che Lory mi passò sotto il tavolo: il divertimento della serata.

Si respirava un clima di festa e la cena andò avanti tra risate e brindisi, tra porzioni troppo piene, finti bicchieri di acqua liscia e racconti di famiglia. Per tutto il tempo notai che Hal non smetteva di fissarmi e nessuno oltre me sembrava accorgersene.
Durante il secondo, tra un boccone e l'altro, iniziammo a discutere dei nostri gusti preferiti di gelati: scoprii così che Hal era stato in Italia diverse volte, dimostrandosi grande degustatore di creme al pistacchio e panna fresca.
"Se viaggi così tanto come fai a mantenerti??" Chiese sfacciatamente Jennifer affianco a me: mia cugina era nota per non aver peli sulla lingua, e Lory, seduta sempre vicino a me, le aveva sempre fatto da spalla. Di fatto, la stoccata da parte sua non tardò ad arrivare, per dare manforte a Jenny che già pregustava il divertimento.
"Davvero! Sei così giovane! Sei un ereditiere?!"
Risero in coro, lasciandomi un colpetto sincronico al braccio, una alla mia destra e l'altra a sinistra, tutte gioiose;a volte piuche due cugine sembravamo le gemelle di Shining.
"Diciamo di sì." Rispose secco lui.
"Scusa, forse era una domanda troppo riservata."
"No, tranquilla Tenny."
"Jenny." Lo corresse infastidita mia cugina.
"Oh scusa Jenny. Comunque la mia famiglia lavora da sempre nel mondo dell'ingegneria."
"Fa il modesto, avete presente la Rockbetter?" Attaccò Tommy tutto entusiasta.
"L'agenzia di satelliti per il governo?" Chiesi a bocca aperta.
"È sua."
"Oh mio dio! Quindi lanciate i razzi?!"
"Ma fate solo roba per lo spazio?"
Le mie cugine iniziarono a sferrare raffiche di domande sull'influenza e la ricchezza dell'impresa, e ovviamente di Hal. La mia testa ondeggiava ma il cibo che avevo ingerito rallentava un po' la mia ubriacatura.
L'umore cambiò in fretta e mi ammutolii completamente: la situazione iniziava a spaventarmi e restai in ascolto, sperando che le mie cugine riuscissero a sfilargli altre informazioni.
"Lavoriamo un po' con tutto: mare, acqua, terra."
"Hai mai parlato con il Presidente?"
"Quale?"
"Hai parlato con più di un Presidente?" Chiesi stavolta io, sempre più sconvolta.
"Con un paio." Risposte tranquillo lui, fissandomi intensamente negli occhi. Ressi lo sguardo, tentando di mostrarmi coraggiosa, mentre dentro la sensazione di vuoto pesava come piombo.
Perché quel ragazzo aveva un aria dannatamente familiare che contrariamente a quanto la normalità richiede, mi attirava a lui. Avevo alla sindrome di Stoccolma?
Concentrata a riordinare il disordine mentale che mi attanagliava non mi accorsi che la mezzanotte era quasi arrivata; così come una bambina che per la prima volta festeggia in vita sua, la voglia di scartare i regali sali alle stelle. Noi ragazzi ci eravamo spostati sui divani, per cercare di far calmare le pesti che erano stanche di rimanere a tavola e che così ci seguirono in salotto. Avevo sulle ginocchia Andrea, la nipotina del fratello maggiore di mia madre, che mi toccava i capelli mentre io parlavo con le mie cugine delle vacanze invernali con un tono leggermente biascicante.

"Quando ripartirete te ed Hal?" chiesi a mio cugino con fare innocente, richiamando involontariamente l'attenzione di entrambi i ragazzi.

"Domani mattina io torno a New York, ma Hal rimarrà qui per alcuni giorni, deve sbrigare delle faccende." Mi rispose sorridente Tommy, mentre Hal sorrideva sotto i baffi.
"Ma che coincidenza! Anche tu hai parenti qui?"
Per la prima volta stavo per parlargli davvero, la mia voce era uscita impulsivamente e già me ne pentivo.
"Io abito qui vicino, a New York ci lavoro."
"Non ti ho mai visto da queste parti."
"Lavoro a New York." Rispose seccamente.
"Sì ma non torni mai qui?" replicai subito.
"Sono parecchio impegnato."
Mi si annebbiò la vista dall'agitazione e per fare finta di nulla sorrisi falsamente.

Mentre osservavo lo spacchettamento dei doni, con fare non curante Hal si avvicinò a me, sedendosi alla mia sinistra sul divano vuoto.
I miei parenti erano tutti intenti ad aiutare i bambini ad aprire i propri regali, così il nostro scambio sarebbe passato inosservato.
"So che è il tuo compleanno, questo è per te." Affermo serio porgendomi un pacchetto nero. L'espressione fredda stonava con il gesto appena compito ma i suoi occhi verdi erano così profondi e conosciuti che mi tranquillizzarono; nonostante questo non potevo abbassare la guardia e ascoltarmi mi avrebbe confusa di più. Lo guardai truce e mi allontanai da lui ma lasciò cadere il pacchetto e per non destare sospetti mi costrinsi a prendere il suo regalo.

"Devi metterlo, senza questo non sei al sicuro." Disse con una serietà strana.

Aprii il pacchetto e mi sorpresi a vedere una bellissima collanina argento con un ciondolo a di ametista. Mi piaceva tantissimo, ma non lo avrei mai messo: quel ragazzo era inquietante, le parole che diceva erano strane e senza sensori. "Grazie, ma puoi tenertelo, non è necessario."
Ma lo tenni in mano, perché si era già allontanato da tempo senza che me ne accorgessi.

Le sue parole rimasero impresse nella mia mente però, non capivo a cosa si riferisse e passai la serata a cercare di rispondere a quei quesiti impossibili.
Mi avvicinai a Tommy di soppiatto, mentre gli altri erano seduti a tavola a mangiare il dolce: il vantaggio di fumare era poter uscire e prendere una boccata d'aria lontano dal chiasso del parentame. Volevo bene alla mia famiglia ma mi sentivo sempre terribilmente fuori posto: era una sensazione che ricordavo di aver sempre provato, come fossi stata il brutto anatroccolo, o meglio come se non riuscissi ad instaurare quel legame stabile nel tempo, tanto che per quanto vada d'accordo con i miei cugini, mi capitava di non ricordare i loro nomi.
Hal era rimasto dentro, intercettato dalle mie cugine che lo stavano tenendo occupato con mille domande. Mi accesi la sigaretta appena uscita in giardino e camminai aspirando in direzione del muretto dove era appoggiato mio cugino. Da quella prospettiva riuscivano a vedere l'interno del salone, tanto da permettermi di controllare nel mio campo visivo i movimenti di Hal.
"Allora, dimmi un po', che avete fatto tu e Hal oggi?" Chiesi tranquillamente continuando a fumare la mia Winston Rossa.
"Oggi dovevo incontrare gli zii di papà, così lui si è fatto un giro in città." Non proprio in città ma questo Tommy non lo sapeva.
"Non ha visto i suoi amici?"
"Sai gliel'ho chiesto anche io, ma sono tutti partiti. Qui è rimasto solo un suo amico che dovrebbe incontrare domani, se non ho capito male." Aggiunse grattandosi la nuca e alzando gli occhi al cielo pensieroso.
"Non mi aspettavo portassi qualcuno, non lo avevi mai fatto prima"
"Ma come no? E Kellington?"
"Kellington? Mi sa non c'ero..." Il nome non mi era assolutamente nuovo ma oltre a quelle lettere non riuscivo a riconoscere null'altro di noto. Non che fosse una novità, i vuoti di memoria facevano parte della mia vita da sempre; cosi, per evitare di essere presa per una menefreghista che non ricorda nulla degli altri (e ovviamente di me stessa) rispondevo ad ogni racconto che non ricordavo di aver vissuto con: "Non c'ero quella volta.".
La scusa poteva essere sfoderata tranquillamente ogni qualvolta fosse stato rievocato un episodio in cui i partecipanti erano svariati: li potevo mimetizzarmi con qualsiasi altro individuo e aggiungere alla classica frase: "Non c'ero io c'era.." e il nome di una persona adatta al caso ma non con Tommy evidentemente, che ricordava anche come erano disposte le posate in tavola nell'Ultima Cena.
"Ma si Clo! Saranno stati due anni prima dell..." lascio la frase in sospeso ma ne compresi comunque il senso.
Due anni prima dell'incidente.

The Key  (h.s)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora