𝟏𝟑. 𝐋'𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐢 𝐟𝐚𝐢

3.8K 119 13
                                    

⚠️ Leggete le note d'autore please ⚠️

ℹ️ Mi trovate su Instagram: alexandria_lewis_writer

ℹ️ Mi trovate su Instagram: alexandria_lewis_writer

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Terzo superiore

Sofia

L'indomani sarebbe stato il giorno di halloween e Valentina aveva deciso che quella sera avrebbe dato una festa in maschera a casa sua, dunque, anche se mi trovavo da Alessandro per aiutarlo con i compiti, la mia mente era proiettata all'interno del mio armadio e scavava a fondo per trovare qualcosa da indossare.

Non ero particolarmente entusiasta per la festa perché forse Alessandro non ci sarebbe potuto venire.

Da qualche settimana aveva iniziato a lavorare nel pub di Manuel, il compagno di Gloria. Non ci vedevamo quasi mai tra gli allenamenti, le partite e ora anche il lavoro, inoltre, era spesso stanco o nervoso e non mi andava di aggiungermi alla lista dei suoi problemi.

«Hai deciso se venire o meno alla festa?», domandai senza troppi preamboli.

Alzò la testa dal libro di letteratura inglese e mi guardò. Mi teneva sotto tiro con le sue stalattiti chiarissime, studiava il mio viso con attenzione alla ricerca di qualche indizio che facesse trapelare le mie reali intenzioni.

Non lo avrei mai costretto a venire, non avrei mai ammesso apertamente che mi mancava uscire con lui, che desideravo passare del tempo insieme che non fosse a scuola – dove comunque non avevamo tantissima libertà – o non servisse per studiare.

Spesso mi ero sentita sola anche in mezzo agli altri. Uscivo con i compagni di classe nel fine settimana oppure con il gruppo di Valentina, ma non era la stessa cosa. Ascoltavo i loro discorsi solo a metà e, in generale, mi vivevo quelle serate a metà perché con "gli altri" non era lo stesso.

Gli altri, non erano lui.

«Ho il turno di sera domani».

Tentai di mascherare la delusione che mi avviluppava lo stomaco. Non si poteva incolpare qualcuno perché doveva lavorare, giusto?

«Capisco», commentai, ed era vero. Il cervello mi diceva che non potevo rimanerci male, che Alessandro non avrebbe passato la serata a divertirsi da qualche altra parte senza di me, ma avrebbe lavorato per necessità, per aiutare sua madre. Non c'era niente per cui prendersela, anzi, avrei dovuto ammirarlo. Per essere un ragazzino di sedici anni aveva dimostrato di avere la testa sulle spalle.

Il problema era la mia parte irrazionale. Quella stupida ed egoista che avrebbe voluto chiedergli di venire lo stesso, di trovare un modo.

Si alzò, fece il giro della scrivania e mi bloccò tra il suo corpo e il mobile.

«Ci sarà solo la classe?», indagò.

«Conosci Valentina, le piace fare le cose in grande». Scrollai le spalle e sospirai. «Spero solo che casa sua non si trasformi in un bordello, visto che devo dormirci», arricciai il naso al pensiero.

𝐒𝐓𝐀𝐈 𝐂𝐎𝐍 𝐌𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora