3 - Ho fame

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Di solito quando Francis doveva aiutare un ragazzino, all'inizio non faceva niente e si limitava a studiarne le reazioni. Cercava di rimanere sullo sfondo, per fargli capire che non sarebbe stato una presenza ingombrante e che in qualche misura gli avrebbe lasciato un certo spazio. A volte, in questo modo, sperava esplicitamente di spiazzare i ragazzi, molti venivano da situazioni dove la loro libertà e capacità di esprimersi era stata limitata pesantemente e avevano bisogno di sapere che c'era qualcosa di diverso, adulti senza esigenze di controllo. Non andava sempre bene, ma era istruttivo.

Azure Foxtrot per la prima ora che furono insieme non ebbe praticamente nessuna reazione. Ovviamente non era venuta via subito con lui, era dovuto tornare a quella base simile a una tomba due settimane dopo. Fortunatamente stavolta non era stato necessario scendesse nelle viscere della terra, gliel'avevano fatta trovare alla reception, quasi fosse appena uscita da scuola, nessun vetro blindato in mezzo. Indossava una felpa diversa dalla prima volta e forse gli stessi jeans, vestiti normali, comunque, non quella sorta di costume. Quando se la trovò davanti il suo primo pensiero era stato come avrebbe reagito se l'avesse vista di nuovo trasformata, magari mentre gli stava accanto o, peggio, in pubblico.

Quando l'aveva incontrato la ragazzina lo aveva salutato educatamente e non aveva mostrato nessun problema a seguirlo. Aveva con sé un trolley e il suo zaino, nessun altro bagaglio. Lui era venuto con una famigliare che l'esercito gli aveva fornito (una famigliare dell'esercito, quando lui credeva avessero solo grosse jeep), le aveva fatto mettere tutto nel bagagliaio e l'aveva fatta sedere accanto a sé, come fossero una famiglia normale. Appena aveva messo in moto lei aveva tirato di nuovo fuori il cellulare e si era messa a giocare.

«Puoi chiamarmi Sylvia» era poi esplosa, senza preavviso, mentre si trovavano su una strada solitaria, solo loro due. Francis era così nervoso che aveva quasi sbandato quando l'aveva sentita parlare. Aveva provato a punzecchiarla, prima, un po' contravvenendo al suo metodo, per disperazione, ma lei aveva risposto solo con dei monosillabi da adolescente, così si era concentrato sulla guida. Ora lei parlava e mentre parlava prendeva fuori un cavo e lo attaccava al cellulare, per poi metterlo nella presa USB della macchina. Probabilmente aveva deciso di intraprendere un dialogo perché le si stava scaricando la batteria.

«Sylvia.» rispose lui.

«Azure Foxtrot è il mio nome magico, ma normalmente mi chiamo Sylvia.»

«Si, è molto più pratico da usare.»

«Credo di avere bisogno di fare pipì. E ho anche fame. Dici che riusciamo a fermarci?»

Aveva cercato di convincere gli uomini dell'esercito a permettergli di fraternizzare un po' con la ragazza prima di intraprendere la loro missione, ma loro gli avevano detto che lei stessa non avrebbe ammesso ritardi, diceva che l'altra maga andava trovata con una certa urgenza. Questo era il motivo per cui, subito fuori dalla base, avevano preso la strada in direzione del primo dei venti dossier che gli avevano consegnato. Questo però significava guidare per almeno quattrocento miglia. La colazione, però, sembrava una grande occasione per rompere il ghiaccio.

«Potresti controllare se c'è qualche posto dove possiamo fermarci?» le chiese.

Lei scrollò il suo cellulare. «Non ho più batteria.»

Francis si contorse un attimo fino a tirare fuori il proprio telefonino da una tasca e sbloccarlo. «Usa questo.»

Sylvia ci mise pochi secondi a estrarre l'informazione necessaria. «Seconda uscita.»

La base dove l'aveva recuperata era nel cuore del profondo Colorado, dove nessuno poteva finire per sbaglio e anche il paesino dove si infilarono per mangiare era un posto che non vedeva di buon grado che la gente vi arrivasse da fuori. Erano già le undici del mattino quindi quando parcheggiarono davanti all'unico Diner disponibile e vi entrarono lo trovarono praticamente vuoto, con due donne in grembiule che chiacchieravano dei fatti loro sedute a uno dei tavolini. Una in particolare, una donna con una gran testa di riccioli biondi, sui cinquant'anni, quando sentì la campanella dell'ingresso si alzò puntando entrambe le mani sul tavolo, come se le servisse uno sforzo immane. «Benvenuti.» disse poi, quando ebbe avuto modo finalmente di stabilire un contatto visivo.

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