10 - Record

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Giù dall'aereo l'aria di Chicago era calda e umida nonostante le nuvole rendessero il cielo grigio. Sylvia aveva dichiarato di non aver mai volato prima, ma non era sembrata né troppo eccitata né troppo spaventata. Non che fosse sorprendente, considerando che in caso l'aereo fosse precipitato probabilmente avrebbe potuto comunque salvarsi, magari salvare anche lui, magari salvare tutti i passeggeri.

Francis non aveva più idea di quale dovesse essere il suo rapporto con la ragazzina. Come assistente sociale sapeva di doverle stare vicino, ma non gli era chiaro quale tipo di legame doveva instaurare con lei. Quello che avevano vissuto assieme li aveva avvicinati, ma quasi in maniera capovolta. Lei si era presa cura di lui più volte di quando lui fosse riuscito a fare altrettanto.

Come se non bastasse, Sylvia non voleva spiegargli la verità su Joyjoy, Golden Mariposa o Emerald Pulse e questo faceva sì che fra loro rimanesse una certa distanza, eppure la sua espressione ogni tanto appariva più morbida, più vulnerabile, come se ogni tanto si prendesse una pausa dal ruolo di guerriera fredda e determinata in cui aveva cercato di incastrarsi per sopravvivere.

Avevano preso l'aereo perché avevano concordato che se le altre maghette gli stavano dando la caccia dovevano arrivare a destinazione il più in fretta possibile. Secondo Sylvia Joyjoy non era tipo da entrare nelle liste degli imbarchi degli aeroporti a spiare dove stessero andando, quindi viaggiare con i loro documenti non li avrebbe messi in pericolo. Ben peggio sarebbe stato dover andare in macchina lungo la strada, con la paura che un qualsiasi assalto ghoul tornasse a segnalare la loro posizione a tutti.

«Non riusciremo ad andare da Kyoko stasera.» avvertì Francis mentre il loro tassista caricava le valige nel bagagliaio.

Sylvia era perennemente con il naso in su. «E' in un istituto anche lei?»

«Da quello che ho capito no, è stata accolta da una famiglia, però non ho informazioni molto recenti su come stia ora.» Questa volta Francis era convinto a leggere tutte le carte, soprattutto perché sentiva anche lui nelle ossa che erano sulla strada giusta. Sfortunatamente però c'era stata un po' di negligenza, o qualcosa di diverso, nel redarre il dossier della ragazzina di Chicago. Dopo i dati di chi l'aveva ricevuta in affidamento non c'erano praticamente più annotazioni, niente che dicesse come se la fosse cavata negli ultimi due anni. Era un'anomalia che si poteva spiegare in molti modi, ma gli metteva una certa inquietudine.

Anche in macchina, mentre andavano verso l'albergo, Sylvia continuava a guardare il cielo. Aveva praticamente smesso di giocare col suo cellulare, come se fosse necessaria una veglia continua. 

«Qualcosa non va?» le chiese, toccandola dentro. Almeno erano arrivati a quel livello di confidenza che una domanda del genere non rischiava di avere conseguenze catastrofiche.

«Ghoul.» disse lei, senza aggiungere altro.

Provò anche lui a guardare il cielo. «Ne vedi? Ce ne sono?»

«No, non si sono manifestati, ma ce ne sono certamente. Un nido.»

La conversazione attirò l'attenzione del loro tassista. «Anche voi avete sentito le storie sui fantasmi? Conosco un sacco di persone che dicono di averne visti. Creature terribili, dicono. Io non sono tipo da credere a queste cose però... creature terribili.»

Francis e Sylvia si guardarono. «Quindi rischiamo di beccarli anche noi?» chiese lui, cercando di mantenere un tono leggero.

«Ah, non lo so. Voi siete di fuori, magari non girate la città abbastanza. Ma alcuni che ho riportato qui all'aeroporto dicevano di averne visti. I fantasmi o le streghe.»

«Streghe?» la reazione di Sylvia fu quasi piccata, come se il termine le paresse offensivo.

«Non so come si distinguano. Fanno paura anche loro, dicono. Però si capisce che sono donne. C'è una grande confusione, ovviamente i giornali non ne parlano, per saperne qualcosa devi cercare in internet.»

L'idea era tranquillizzante. L'internet era talmente pieno di informazioni sbagliate che anche se avesse parlato dettagliatamente dei mostri di Chicago e delle maghette che li combattevano la notizia non sarebbe risultata più reale di tante altre.

Francis aveva prenotato un albergo economico in una zona tranquilla della città. Non era molto vicino a dove si trovava Kyoko, ma sul momento il suo interesse principale era di stare comodo. Quando Sylvia scese dal taxi annusò l'aria l'ennesima volta. «Non sono vicini.» dichiarò e questo a lui sembrò di buon auspicio. Tirò fuori i documenti e andò verso la reception per il consueto rituale del check-in.

L'uomo dietro il bancone doveva essere abituato ai turisti, perché lì trattò con notevole gentilezza, anche se non riuscì a nascondere un brivido quando Francis gli passò le carte dell'affidamento. Si mise comunque a chiacchierare del più e del meno, chiedendo cosa facessero in città e se volessero vedere qualcosa in particolare. Francis ormai andava particolarmente in tensione davanti a quel genere di dialoghi, perché non era abituato a mentire né a nascondere la natura del suo lavoro, così era sempre terrorizzato che qualcuno gli facesse una domanda che lo portasse a tradirsi. 

Per questa ragione, per un momento si dimenticò completamente di Sylvia. Dava per scontato che fosse accanto a lui invece, quando finalmente ricevette la chiave della stanza, non c'era. Girò un po' per la hall finché non la trovò in un angolo dove il tenutario dell'albergo aveva messo un paio di cabinati con dei vecchi videogiochi, poco più che rottami. Lei era davanti a uno, completamente assorbita dallo schermo, le mani che si muovevano veloci sui comandi. Il sonoro del videogioco era volutamente tenuto basso per cui si udiva solo un brusio, che arrivava frammisto alle imprecazioni che la ragazzina diceva a mezza bocca. Francis si avvicinò con cautela, gli pareva di avere davanti un'altra persona rispetto a quella con cui aveva viaggiato fin lì. Buttando un occhio da sopra la spalla di Sylvia notò che aveva già totalizzato un punteggio molto alto e sembrava non morire mai. Nel gioco interpretava quella che, per ironia della sorte, a Francis pareva una maghetta, che volava e sparava globi di energia contro sciami di creature insettiformi. Ancora più difficile che sparare ai mostri, però, era schivare i proiettili avversari, che scendevano a pioggia fino a riempire tutto lo schermo.

«Sei brava.» si lasciò scappare a un certo punto, ma si pentì subito per paura che le sue parole la deconcentrassero.

«Una volta ci giocavo tutti i giorni.» rispose lei, le parole spezzate dai colpi secchi che dava alla levetta.

«Una volta anni fa?»

«E' come andare in bicicletta.»

In realtà Francis voleva capire se Sylvia stava facendo riferimento al periodo precedente alla morte dei suoi genitori e alla sua trasformazione in Azure Foxtrot. Dall'espressione del suo viso, concentrata, ma non rancorosa, dedusse che era così.

Non l'avrebbe staccata di lì per nulla al mondo, non al momento almeno. Per quanto i suoi testi di psicologia infantile avrebbero trovato anche molti aspetti negativi nell'intensità con cui si dedicava a quello stupido giochino a lui pareva che la portasse almeno un po' distante dal groviglio di morte e distruzione che era diventato la sua quotidianità. In un modo o nell'altro. Si mise quindi su una poltrona non molto lontana e prese un giornale. Cercò nelle pagine di cronaca locale riscontro dei fantasmi e delle streghe e dei fenomeni soprannaturali, ma non trovò nulla. Una colonna parlava di un misterioso omicidio, ma razionalmente sapeva che ce n'era sempre qualcuno. Si stava ormai annoiando a ripassare gli stessi articoli quando alzando lo sguardo si trovò davanti Sylvia, piantata davanti, in attesa. «Andiamo, dai.»

«Hai vinto?»

«No, ma ho fatto il record della macchina.»

L'influsso benefico del videogioco pareva persistere anche dopo che la partita era finita, Sylvia zampettava su per le scale con un passo stranamente allegro. «Penso dovresti prendere due camere, comunque.» si lamentò. «Non ho l'età per dormire con uno sconosciuto.»

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