Prologo - Distruzione

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Nonostante fosse sospesa ad alcuni metri da terra tutto quello che riusciva a vedere in ogni direzione era devastazione.

La magia la stava sostenendo a mezz'aria, ma non sapeva quanto sarebbe durata. Se si fosse interrotta in quel momento sarebbe precipitata, probabilmente da abbastanza in alto da rompersi l'osso del collo. Probabilmente sarebbe stato meglio. Invece fluttuava lentamente giù, riguadagnando piano piano il suolo.

Lì, al centro del disastro, dove giaceva il cadavere di Nabugoel, non si riusciva neanche più a capire cosa c'era stato prima. C'era solo terra scura e cenere, non c'era fuoco perché non era rimasto niente che il fuoco potesse bruciare, ma la polvere nell'aria era così fitta da formare una nebbia. Anche a quello le era utile la magia, se avesse respirato come una persona normale le si sarebbero intasati i polmoni di quel pulviscolo, chissà, forse anche in questo caso fino a ucciderla.

Appoggiò le scarpette di vernice color prugna al suolo e, con un gesto meccanico, si lisciò la gonna di pizzo. Nel farlo, altri brandelli del grembiule viola si staccarono e si dispersero nel vento. Il potere di Nabugoel lo aveva bruciato quasi completamente, lasciandole solo un grottesco triangolo dai bordi frastagliati.

Fece un passo, si reggeva ancora in piedi. La magia, si ripeté, senza magia non riusciresti a muoverti, è la magia che da ancora energia alle tue gambe. Comunque, anche se riesci a camminare, non hai idea di dove andare.

«Nabugoel è stato sconfitto. Non tornerà.» Joyjoy apparve da dietro un sasso, il suo volto inespressivo senza bocca, gli occhi di un rosso traslucido, le orecchie ridicolmente lunghe. Non era stato lì tutto il tempo, ovviamente. Joyjoy poteva fluire tra le dimensioni senza restrizioni, apparire, scomparire, scappare, tornare. Chissà in quale sacca spaziotemporale era stato mentre Nabugoel dava fondo a tutto il suo potere e distruggeva la città, chissà quanto era stato lontano, chissà quanto poco gli importava.

Strinse la mano intorno al suo scettro, glielo avrebbe potuto puntare contro, ma non sarebbe servito a nulla. «Avevi detto che si sarebbero salvati.»

Il muso di Joyjoy fremette, se avesse avuto un vero naso si sarebbe potuto dire che stava annusando l'aria satura di cenere, invece probabilmente quel gesto era solo un vezzo. «No.» disse, il tono come sempre incolore. «Ho detto che l'unico modo per salvarli era distruggere Nabugoel.»

Forse erano salvi. Forse si erano allontanati abbastanza. Forse le avevano creduto. Gli aveva detto di lasciare la città, di cominciare a correre e non fermarsi, che li avrebbe ritrovati e gli avrebbe detto quando era tutto finito. Erano i suoi genitori, suo fratello, per loro aveva fatto quella cosa. Per tutti gli altri invece non aveva potuto fare nulla, quando Nabugoel era apparso nell'aria probabilmente era già troppo tardi e fermarlo, distruggerlo, forse aveva solo peggiorato le cose.

Cercò di sistemarsi la manica sinistra della camicetta viola, anche se non esisteva più, anche quella era bruciata lasciandole la spalla nuda. La pelle, sotto, le sembrava in fiamme, al tocco. «Sapevi che sarebbe finita così.»

Il piccolo corpo di Joyjoy saltellò in giro, bianchissimo in contrasto col suolo nero, immacolato nonostante la cenere, irreale. «Ti avevo detto cosa fare e tu non mi hai ascoltato.»

«Avrei dovuto fidarmi di te? Le altre si sono fidate di te.»

«E io glielo avevo detto che sarebbero potute morire.»

Invocò il pod. Il piccolo gingillo viola a forma di ottaedro le apparve nella mano sinistra. Ne aveva abbastanza di tutto.

«Aspetta. Non ti posso garantire che sopravviverai se disattiverai la magia in questo momento. Siamo esattamente al centro del disastro, ci vorrà molto tempo prima che qualcuno arrivi qui a soccorrerti. Loro penseranno che non possono esserci sopravvissuti qui.»

«Perché non ci sono sopravvissuti qui.»

«Tu sei sopravvissuta. Non come le altre.»

Scosse la testa, sentì il fiocco oscillare, la gemma di ametista appuntata in mezzo pesarle. Aveva sempre trovato il fiocco buffo e allo stesso tempo bellissimo. Ora era come avere un animale appollaiato sul cranio, come un orrido gufo o un avvoltoio. Era anche di quello che voleva liberarsi. «Non ne posso più, Joyjoy.» 

La piccola creatura non rispose. Prese semplicemente atto. Non era interessata che sopravvivesse. Il fatto che era sopravvissuta forse per lui era una semplice curiosità, ma visto che ormai Nabugoel era morto probabilmente non era così importante che continuasse a vivere. Dopotutto, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe potuto reclutare altre. E altre. E altre ancora. All'infinito. 

Premette il dito sul pod. Non avvenne di colpo. Probabilmente anche il pod ormai non aveva abbastanza energia per rispondere repentinamente ai suoi ordini. Nonostante avesse chiesto alla magia di abbandonarla per un primo momento non successe nulla. Poi, lentamente, il potere prese a fluire via. Si guardò la mano. La pelle, usualmente lucente quando era trasformata, prese a sbiadire mentre una sottile polvere dorata si disperdeva nell'aria. Sotto, era grigia e rossa allo stesso tempo, la trovò quasi disgustosa. Anche i vestiti, intanto, si stavano dissolvendo o almeno si stava dissolvendo quello che aveva ancora addosso. Al loro posto ricompariva la sua uniforme scolastica, perfettamente intatta. Anche l'uniforme aveva passato tutto quel tempo al sicuro in qualche dimensione parallela o in qualche sacca spaziotemporale lontana, dove il potere di Nabugoel non aveva potuto toccarla. Aveva quasi assunto completamente l'aspetto di una ragazzina qualsiasi quando finalmente giunse il dolore. Giunse tutto assieme, mentre la magia smetteva di proteggere il suo corpo. Il dolore dei colpi presi da Nabugoel, il dolore di respirare aria mista a cenere, il dolore di trovarsi in mezzo all'inferno in terra. Provò a fare un passo, ma le gambe non la reggevano più. Crollò in ginocchio, sottili pezzi di pietra affilati come rasoi le si conficcarono nelle gambe.«Te lo avevo detto.» disse Joyjoy, che continuava a guardare, impassibile.

«Mai più.» si ripromise. «Non voglio sentire la sua voce mai più.» E crollò svenuta.

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