7 - Katsumi

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La mattina dopo si rimisero in viaggio. Francis era terrorizzato che ci fossero altri ghoul ad attenderli lungo la strada e quello era evidentemente anche il timore di Sylvia che ogni tanto alzava gli occhi dal suo cellulare, sussultava e si metteva a fissare qualche punto nel vuoto, senza dire nulla, per poi tornare a fissare lo schermo dopo una ventina di orribili, terrificanti secondi. Come da tabella di marcia ebbero da sostare un'altra notte lungo la strada e poi, poco prima di pranzo del giorno seguente erano a Salt Lake City. La ragazza che stavano cercando si chiamava Katsumi e si trovava presso un istituto chiamato «Figli dell'Avvenire», una struttura no-profit che faceva di tutto per non essere chiamata orfanotrofio. Francis chiese a Sylvia se voleva fermarsi a riposarsi un po', ma lei fece capire chiaramente che voleva andare direttamente a vedere il posto. Mentre si avvicinavano si irrigidì sul sedile in maniera innaturale. «Sento qualcosa.» disse.

«Qualcosa di che genere? Ghoul?»

«No, non ci sono ghoul in questa città, ma c'è qualcosa. Non può essere un caso.»

Francis decise che quello doveva essere un buon segno e, pur nascondendo l'entusiasmo, mano a mano che si avvicinavano ai «Figli dell'Avvenire» si sentiva sempre più ottimista. Mentre parcheggiava stava quasi canticchiando, ma quando si trovò a fissare il palazzo in cui sarebbe dovuto entrare qualcosa, dentro di lui, gli impose di tacere.

Doveva essere stato un luogo austero, un tempo, con la facciata grigia e liscia, le finestre piccole, l'alto recinto in ferro battuto e il giardino. Ma l'austerità comporta anche un certo rispetto di sé, che lì era andato perduto nel tempo. La facciata avrebbe avuto bisogno di una rinfrescata, il giardino era malmesso e buona parte della recinzione era stata dipinta con della vernice spray azzurro chiaro, evidentemente non per volontà dei proprietari. Francis rimase a contemplare l'edificio dalla parte opposta della strada finché non sentì che Sylvia gli si era messa al fianco, anche lei con gli occhi all'insù. Si vedeva perfettamente che si stava trattenendo dal cercare la sua mano. 

Questa improvvisa manifestazione di fragilità sorprese Francis. «Dove sei stata, dopo che i tuoi genitori sono morti?» si trovò a chiederle.

Lei non si girò a guardarlo. «Non avevo molti parenti stretti, non potevano prendersi cura di me. Sono stata in giro... ma è durata poco.»

«Cosa vuol dire poco?»

«Joyjoy ha sistemato tutto, dopo avermi trasformata.»

«Non penso che lo stato possa dare l'affidamento a una creatura di un'altra dimensione che non può vedere.»

«No, ma noi abbiamo il potere di accomodare certe cose, se vogliamo.»

Francis aveva tenuto tra le mani i documenti di Sylvia e sembravano in regola, ancora una volta però si accorse che era stato negligente e non aveva verificato la sua storia dopo il decesso di suo padre e sua madre. Purtroppo, in quel momento, non c'era il tempo di ovviare. «Andiamo.» disse solo.

Aveva telefonato un paio d'ore prima dicendo che stavano arrivando, appena suonò alla porta vennero fuori un uomo e una donna, evidentemente marito e moglie, piuttosto giovani, che si fecero subito ossequiosi. Lei era molto bassa, dalle forme rotonde, i capelli corti, sorrideva sempre, lui invece più alto, quasi completamente privo di caratteri distintivi se non forse gli occhiali rettangolari dal bordo dorato. Si chiamavano Albert e Matilda Robinson. «Venite! Venite!» li invitarono a entrare. Subito Matilda notò Sylvia. «E questa bella ragazza chi è?» chiese.

Non aveva molto senso che Francis venisse a fare visita a una ragazza mentre se ne portava in giro un'altra, sperò che nessuno lo notasse. «Un'amica della persona che stiamo cercando.» disse, rimanendo sul vago.

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