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SECONDA PARTE

"Oh, and you rip my ribcage
and devour what's truly yours."

Kailani

Kailani

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Ero piena di difetti, troppi da contare, troppi da ignorare.

Ma c'è n'era uno che per cui avevo sviluppato un odio quasi viscerale: la mia tendenza a voler razionalizzare qualsiasi cosa mi accadesse rovinava momenti che andavano assaporati e basta, non per forza capiti, ma solo vissuti.

Nel bene o nel male avevo il bisogno, quasi la necessità, di analizzare nei minimi dettagli ogni minimo gesto, frase, azione, che fosse mia o di altri.

È cosi che interiorizzavo tutto, immagazzinando tutto ciò che mi succedeva per proteggermi e prevenire possibili situazioni scomode.

Non si era mai troppo prudenti.

Non successe però in quegli attimi in cui niente sembrava aver importanza. Correvamo sul filo di un rasoio, in bocca il sapore di una libertà che nessuno ci avrebbe mai portato via.

Non c'era tempo per fermarsi, pensare, riflettere a quanto fosse sbagliato.

C'era però il bisogno di vivere il momento sbagliato nel modo giusto.

Tutto era in silenzio, il vento era troppo forte per sentire qualsiasi altra cosa.

I pensieri si zittirono, i battiti del mio cuore rallentarono, quasi si fermarono, le mie unghie affondarono nel suo torso: carne e sangue.

Eravamo carne e sangue, eppure ci sarebbe bastato accelerare per prendere il volo come piume indirizzate dal vento.

Non eravamo Kailani e Riyas, non lo odiavo e lui non odiava me, in quella realtà parallela gli ero infinitamente grata per la sua regola di non avere regole, mi bastava chiudere gli occhi e seguirla.

In fin dei conti ero sempre stata brava a seguire le regole alla lettera.

Io non ero io e lui non era lui, toccarlo non era proibito, imprimere nella mente ogni singolo tatuaggio che gli ricopriva il corpo possente non era illecito, cedere all'intensità dei suoi occhi non era una condanna.

I miei occhi tornarono a mettere a fuoco l'ambiente che ci circondava e fu come andare a sbattere contro un muro, la realtà smise di essere così facilmente plasmabile a mio piacimento.

La moto rallentò con un borbottio, ma non si fermò.

Le mie mani rimasero strette interno al torso di Hastings, riuscivo quasi a sentire il suo cuore battere, o forse era semplicemente il mio.

Mi guardai intorno con il vento che mi scostava i capelli dal viso.

Avevamo superato Oxford Street da un pezzo ormai, non ero sicura ci trovassimo ancora in centro Londra. A circondarci c'era il nulla, uno strato di terreno arido ai lati della strada e quello che sembrava un caravan che cadeva a pezzi.

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