"Ex favilla nos resurgemus."
Kailani Johnson capì di non essere al sicuro nell'esatto momento in cui i suoi occhi si posarono su quella misteriosa frase latina, incisa sul retro di una polaroid che la raffigurava intenta a lasciare il suo appartamen...
Per chi si è perso l'annuncio su Instagram: Ashes ha smesso di essere una fan fiction e di conseguenza ho cambiato i nomi dei ragazzi. Per evitare che vi confondiate li ripeto qui:
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"Choose your last words, This is the last time. 'Cause you and I, we were born to die."
Come ogni deviato mentale che si rispettasse, possedevo una lunga e intricata lista delle torture che negli anni mi avevano rubato il cuore. Per certi versi i miei gusti ricadevano nel banale, optavo per una buona e vecchia amputazione degli arti più spesso di quel che mi piaceva ammettere. La sensazione di terrore negli occhi della vittima e il dolore amplificato, a malapena sopportabile, che si palesava in grida disumane facevano parte delle rare cose che riuscivano ancora a regalarmi la scarica di dopamina che il resto degli esseri umani ricercava avidamente nella droga, nell'alcol e nel sesso.
Ma per quanto mi addolorasse ammetterlo, l'amputazione era una tecnica di tortura datata e caotica, per non parlare della poca pianificazione che richiedeva. Non c'era nessuna progettazione dietro, solo enormi quantità di sangue, materiale da macellaio e l'assenza di pietà in tutte le sue forme.
La mia duplice, a volte triplice personalità, era un continuo contrasto tra impulsività e intensa ponderazione, a volte il pianificare la tortura era la parte più appagante, immaginare l'intensità della grida, a quale Dio si sarebbero appellati, quanto avrebbero resisto prima di perdere i sensi. Erano tutti quesiti per cui, spesso, valeva la pena attendere e tenere a bada gli istinti violenti che monopolizzavano le mie giornate.
Nella mia top 10 di torture preferite, "la tortura della goccia cinese" si era guadagnata il quarto posto, si trattava di un metodo risalente all'antica Cina che consisteva nell'immobilizzare il malcapitato e fargli cadere sulla fronte una goccia d'acqua ad intervalli regolari, fino a portarlo alla pazzia. Per l'opinione pubblica non era nient'altro che una leggenda metropolitana che vedeva protagonista la criminalità cinese, ma quando, all'età di 14 anni, assistetti alla tortura di uno degli uomini di Hartley scoprii il mondo contorto e fragile della mente umana e di come una singola goccia, fatta cadere sempre nello stesso posto, potesse far cadere la vittima in uno stato di pazzia dalle sfumature macabre.
Ne ero stato rimasto folgorato sin da quel momento. Per uno come me, che considerava pistole e lami estensioni delle proprie braccia, comprendere che a volte tutto ciò che bastava per causare dolore e sofferenza era una semplice goccia d'acqua ribaltò e sradicò tutte le mie convinzioni.
Fu così che iniziai ad allenare non solo il mio corpo, ma anche la mia mente. Il mio obiettivo non era mai stato essere il più forte, ma il più scaltro.
