Chapter 9 : nemesi

50 10 24
                                    

Althea non riusciva a dormire, non dopo la giornata estenuante a cui era stata sottoposta

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Althea non riusciva a dormire, non dopo la giornata estenuante a cui era stata sottoposta. La notte arrivò, calandosi in tutto il castello e facendolo piombare nell'oscurità. Le stelle brillavano in cielo, circondando la luna piena.

Ogni qualvolta chiudeva gli occhi, per cercare di prendere sonno, risentiva le risate sbeffeggianti dei ragazzi del campo di addestramento, poi le parole quasi sussurrate di Jungwoo.

Quella sera, dopo il calare del sole e dopo la cena nutriente alla mensa, la portò nella sua camera, non certo per smancerie o atti poco leciti, anzi, il suo unico dovere era quello di parlarle del libro dell'esilio e soprattutto di mostrarglielo in tutta la sua magnificenza.

Si trattava di un testo rilegato a mano, tenuto insieme grazie all'uso di fili ormai ingialliti e molto resistenti. La copertina, molto pesante, presentava una cornice in metallo, nella quale alcuni artigiani del castello avevano inciso raffigurazioni, leggende, vecchi detti, tutte cose che solo i veri superstiti erano in grado di approvare o smentire. Erano pochi certo, forse solo tre, insieme alla grande signora matriarca.

Tra alcune delle raffigurazioni Althea osservò una moltitudine di creature alate, provenienti dalle grandi nubi. Al di sotto gli abitanti, alcuni armati altri no, tutti spaventati dal loro arrivo. Una gemma era incastonata al centro, era viola e sotto la luce delle fiaccole sembrava quasi trasparente.

Althea ebbe quasi paura di sfogliarlo, per l'estrema preziosità che emanava tale oggetto, così Jungwoo decise bene di tenerlo tra le sue mani, per evitare che potesse rovinarsi. In fin dei conti era il regalo più importante che gli avesse fatto Nemesi, la grande signora matriarca.

Specificò poi cosa vi fosse al suo interno, tutte testimonianze scritte a mano, con una calligrafia pulita e ordinata. Il suo obiettivo non era quello di imbottigliarla di nozioni ed eventi, non da subito almeno, cercò quindi di presentarle una prima istanza dell'intera storia del castello.

Partì dalle origini, ancora ignote a tutti loro, sulla creazione di quelle mura. Nemesi fu la prima a mettere piede in quella landa desolata, settecento anni prima secondo quanto calcolato. Passò mesi e anni imprigionata nell'intero perimetro, sotto le interperie, al freddo, al vento, finché qualcuno non arrivò. E non fu solo uno. Più passavano i mesi più gli abitanti aumentavano. Un giorno le nubi si addensavano nel cielo e magicamente un nuovo arrivato piombava all'esterno del cancello. Nemesi non fu più sola, certo, ma un nuovo pericolo era alle porte. Le creature del cielo, così le chiamarono proprio per la loro provenienza.

Non si sapeva nulla su di loro, proprio per questo colsero gli abitanti completamente impreparati. Erano famelici, assetati di sangue, di corpi, del loro dolore. Ci fu un massacro, tanto che portarono via decine di persone, nonostante fossero solo tre creature. Erano grandi, troppo pesanti e forzuti per abbatterli con il solo uso delle mani. Nessuno di loro aveva ancora progettato armi, a quale scopo? Prima di quell'evento il castello dell'esilio sembrava un luogo di pace e serenità.

Nemesi iniziò a costruire i primi edifici, grazie al legno degli alberi presenti all'interno delle mura. Appena i frutti crescevano piantavano i semi per averne altri, sempre più grandi. Ma poi, precisamente un anno dopo, le stesse creature tornarono, facendo razzia e distruggendo tutto quello che trovavano davanti a loro. Uccisero i restanti abitanti, tutti, tranne Nemesi, che riuscì a nascondersi sotto il tetto crollato di un edificio.

Il dolore rende più forti, certo, ma loro si nutrivano proprio di questo e più immenso diventava più loro erano affamati.

Altre anime caddero dal cielo, una dopo l'altra, a vari mesi di distanza tra loro.

Nessuno dei presenti capì come mai il destino lì volesse lì, eppure si rimboccarono le maniche, costruendo edifici sempre più resistenti. Fabbricarono le prime lancie, le prime spade, si allenarono sotto il sole cocente, ma questo non fu abbastanza.

Periodicamente, una volta all'anno, le creature del cielo tornavano. Alcune volte non commettevano vittime, altre volte riuscivano a sorprenderli, portandoseli via, altre volte, conoscendo le loro abitudini, distruggevano ciò che avevano costruito.

Per questo con il passare dei secoli decisero di strutturare una società autosufficiente, capace di proteggersi dai soliti attacchi ciclici.

Althea restò in ascolto tutto il tempo, con la bocca serrata per lo sconcerto. Le maniche del suo maglione erano tirate fino alle mani, sentiva freddo, un vento gelido su per la schiena. Era semplicemente il terrore, scaturito dal racconto di Jungwoo.

Si chiese che cosa volessero effettivamente queste creature e come mai attaccassero il popolo, portando via i suoi abitanti. Se li mangiavano? Si nutrivano del loro dolore? E perché? Mille domande attraversarono la sua mente, mille domande a cui non riuscì dare alcuna risposta.

Alla notte questi tormenti continuarono a frullarle in testa, non consentendole di dormire. Si rigirava nel piccolo letto, ma questi non le lasciavano alcuna tregua. Così si alzò, mettendosi seduta e guardando l'esterno del suo dormitorio. La pace regnava nella notte, neanche un brusio, nessuna anima era sveglia, apparentemente.

Decise così di alzarsi in piedi e di appoggiare entrambe le braccia al davanzale della sua finestra. Osservò le strutture esterne degli edifici e i ciottoli levigati che riflettevano la luce della luna. Le pietre della reggia di fronte invece erano per di più immerse nell'ombra. Salì con lo sguardo, su per la torre più alta, finché non osservò qualcosa muoversi oltre l'unica finestra, posta in cima. Una luce fioca illuminava lo spazio, proveniente forse da alcune fiaccole o candele accese. Un'ombra, sempre più grande e scura, era proiettata nella parete adiacente, finché non tramutò in una figura umana.

Una persona si affacciò alla finestra, tenendo accuratamente una piccola lanterna in mano, che gli illuminava il viso. Althea, da quella distanza, non riuscì a scorgere i lineamenti eppure capì fosse un ragazzo. I suoi capelli corti e scuri ricadevano in parte sulla sua fronte, sulla sua pelle fin troppo chiara, scaldata leggermente dal piccolo fuoco davanti a lui.

Per un attimo le sembrò che i loro sguardi si fossero incrociati, forse era solo un'illusione.

Quella non poteva essere la camera della grande signora matriarca, questa apparteneva alla reggia centrale, non alla torre che emergeva. Forse apparteneva a uno dei suoi assistenti, o per meglio dire sudditi. Questa breve fantasia la calmò, proiettandola nella sua immaginazione.

Restò a guardarlo per svariati minuti, finché non le diede le spalle e si allontanò dalla finestra, portandosi dietro l'unica fonte di luce. La fiamma continuò ad oscillare, a causa del movimento, creando magnifici giochi di luce sulla parete.

Si rilassò, prese un respiro profondo e infine anche lei si allontanò, tornando verso il letto per provare nuovamente a dormire.

Intanto, ad alcune centinaia di metri, Jungwoo stava attraversando il corridoio centrale, con la sua solita candela in mano, accertandosi che tutti fossero nelle loro camere e magari ormai nel mondo dei sogni. Si sarebbe poi appisolato sulla sua poltroncina, verso notte inoltrata, come ogni sera. Essere un guardiano non era affatto facile e soprattutto dopo l'arrivo di Althea, Jungwoo capì che le sue ore di riposo, di solito recuperate sul suo letto verso mattina con il sorgere del sole, si sarebbero annullate per l'istruzione della ragazza. Ma nonostante questo, un nuovo giorno arrivò.

 Ma nonostante questo, un nuovo giorno arrivò

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Exile | Kim DoyoungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora