Chapter 13 : past

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934 d

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934 d.c, Izumo, corte imperiale dei Fujiwara.

Deliziosi giardini verdeggianti solcavano il perimetro della corte imperiale della famiglia Fujiwara, il clan con più potere nella terra nipponica, persino superiore a quello dell'imperatore stesso.

Già all'epoca esisteva l'incarico di "curatore della terra", niente di troppo esaltante e assai curioso. Le persone meno abbienti, per cercare riparo e una stabilità, accorrevano alla corte centrale, chiedendo al detentore superiore del titolo, di poterli accogliere come curatori della terra, ossia quelli che ora considereremo baby sitter del giardino, giardinieri meticolosi comandati a bacchetta. Ogni tanto questi furbi personaggi assistevano a scene raccapriccianti, che avvenivano nei sotterranei dell'immensa architettura, altre volte ne sentivano solo l'eco. Continuavano nel loro lavoro, senza prestarci troppa attenzione, per paura che potessero fare a loro lo stesso che a quei malcapitati. Con quelle che oggi definiremo delle forbici molto arrugginite e pesanti, si assicuravano che ogni centimetro dei filamenti erbosi fosse in ordine, tanto da rientrare in una figura astratta o antropomorfa che sia, scelta dal padrone, per decorare tutto il giardino.

Mentre all'esterno, con una silenziosità quasi impressionante, questi curatori della terra stavano eseguendo il loro lavoro, nei sotterranei sporchi e oscuri della corte, alcuni uomini stavano infliggendo vere e proprie torture alle persone catturare, tutti nemici del padrone. Che lo avevano tradito, che non avevano eseguito il suo volere.

Fujiwara no Tadahira, conosciuto anche come Teishin-Kō, era particolarmente devoto a concetti che sarebbero poi stati coniati con il nome di sadismo e sadomasochismo, grazie al marchese De Sade. Essendo una questione di corpo, di pulsioni e non strettamente legata alla ragione, se non in termini di nevrosi, questi sentimenti sessuali legati al dolore e al potere godevano di una certa libertà del palazzo.

Non lo descriverei come la visione cinematografica di "Salò o le 120 giornate di Sodoma" di Pierpaolo Pasolini, nonostante il nocciolo della questione sia lo stesso, il potere inflitto sui deboli.

Tadahira custodiva un papiro, un foglio arrotolato che leggeva ogni sera prima di andare a a dormire. Si trattava del mito di Falaride, tiranno della terra di Akragas, attualmente Agrigento e più nello specifico della sua ossessione malsana e quasi erotica nel bruciare nemici all'interno del suo toro di ottone.

Tadahira non aveva l'intenzione di copiare colui che considerava un maestro, eppure cercò di instaurare un modello simile nella sua corte, disciplinando i corpi e provocando terrore negli occhi dei sudditi.

La barca su cui aveva viaggiato il corpo ormai distrutto di Doyoung era già arrivata sulla costa da dieci giorni.

Il padrone, ridendo sotto i baffi lisci e di poca densità, lo accolse giustiziandolo per tutte le malefatte che aveva compiuto sulla sua famiglia, ossia per l'uccisione di suo padre. Fu come se l'impulso di morte e sangue scoppiò improvvisamente nel petto dell'uomo, sognando di macellare fino allo sfinimento il corpo del giovane. Non l'avrebbe lasciato morire tanto facilmente e allo stesso tempo non l'avrebbe lasciato indenne dopo le sue azioni.

Exile | Kim DoyoungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora