Chapter 55

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Le lacrime della pioggia si depositarono, goccia dopo goccia, sulle armature dei guerrieri dell'armeria, scorrendo giù lungo tutta la superficie scintillante

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Le lacrime della pioggia si depositarono, goccia dopo goccia, sulle armature dei guerrieri dell'armeria, scorrendo giù lungo tutta la superficie scintillante.

Una maschera in metallo, semi aperta, rivelava il volto di Althea, i suoi occhi attenti, assotigliati per tenere la situazione sotto controllo. Alcune ciocche dei suoi capelli uscirono assaporando il vento leggero, freddo.

Davanti a lei, uno dei condottieri della squadra, la stava fronteggiando, durante uno degli allenamenti abituali giornalieri.

Poco distanti, altrettanti suoi compagni erano alle prese con il loro sfidante. Tutti tranne Yuta, che appollaiato sopra il tetto dell'armeria, ormai senza più il suo arco, stava osservando la situazione, bagnandosi i capelli lunghi e scuri con la pioggia.

Uno, due passi, Althea volteggiò su se stessa, affinando la tecnica, preparando la sua spada per attaccare. Era diventata molto brava, tutti lo dicevano, a bassa voce quasi stupiti. Era una questione di orgoglio certo, non sarebbero mai riusciti a dirglielo davanti al viso, eppure lei venne a saperlo, da suo marito Sicheng, che fortunatamente aveva udito tali voci.

Ma anche lei lo sapeva in cuor suo, di essere migliorata, di essere degna del suo status.

La sua momentanea spada, a contatto con la superficie metallica dell'avversario, stridette a tal punto da generare alcune scintille.

E un attimo dopo riuscì a buttarlo a terra, disarmandolo e facendogli perdere l'equilibrio. Così Althea si tolse la protezione dal viso, respirando nuovamente l'aria e accogliendo il freddo sulle sue gote accaldate per la fatica. Respirò a pieni polmoni e cercò di riprendere fiato, per infine aiutare l'altro a tornare in piedi, offrendogli la sua mano. La strinse, si sorrisero debolmente, e dopo una pacca sulla spalla per congratularsi con lui per lo scontro se ne andò, perché qualcosa di molto più importante la stava attendendo.

Accorse più felice che mai alla bottega delle armi, direttamente da Jaehyun, un po' come quasi un anno prima aveva ricevuto da egli stesso la sua prima spada in legno. Troppo piccola e troppo fragile per reggere un qualsiasi combattimento, eppure nelle vene riusciva a sentire la stessa felicità, la stessa gioia.

Peccato però che questa volta non ci sarebbe stato il protettore ad addestrarla, non ci sarebbero stati i suoi fedeli consigli, le sue tecniche appurate. Ci sarebbe stato solamente il sudore, il dolore, l'orgoglio momentaneo per le sue vittorie e infine qualche parola sbiascicata, incoraggiante, di suo marito.

Jaehyun le aveva finalmente fabbricato la sua spada personale, incastonandole una pietra verde, di smeraldo, direttamente importata dal villaggio del Fiore Bianco. L'aveva progettata con lui una settimana prima, scegliendo l'impugnatura e le piccole decorazioni, per renderla più simile alla sua personalità.

Era argentea, battuta a caldo per renderla il più sottile possibile, così tagliente da lacerare anche i ciuffi più radicati dell'erba.

La gemma era al centro, poco distante dal bordo dell'impugnatura, e sottostante, incisa accuratamente e ben levigata, c'era la sua iniziale.

Althea scoppiò così tanto di gioia che finì per abbracciare Jaehyun, buttandosi tra le sue braccia e avvinghiandosi alle sue spalle, per infine ringraziarlo ripetutamente. E dal canto suo, Jaehyun, finì con l'abbracciare in modo imbarazzato la corazza che aveva indosso, diventando del tutto rosso in viso. Così, davanti a quella scena esilarante, gli altri uomini della bottega scoppiarono a ridere, portandosi le mani alla bocca, iniziando a prendere in giro il ragazzo più giovane.

Ma pochi secondi dopo, il loro viso tornò serio, non appena si resero conto della presenza del loro imperatore. Sicheng, fermò a poca distanza dalla soglia del caseggiato, con le mani dietro la schiena e il mento in alto, osservò la situazione, assotigliando gli occhi per la gelosia.

Fulminò con lo sguardo Althea, fino a quando lei non si staccò dal corpo di Jaehyun, tornando composta sul suo posto e infine Sicheng se ne andò, guardandola di striscio, dandole le spalle.






Il camino era acceso e il fuoco ardeva i ceppi di legno, tanto da annerirli, tanto da produrre cenere.

Il respiro di Ten si sentiva a malapena all'interno della stanza, completamente devota al silenzio. Seduto sulla sua poltrona, all'interno della sua biblioteca, stava riflettendo sul futuro, chiedendo consiglio alle fate sue alleate, del vicino bosco della notte.

Doyoung, qualche metro più in là, anche lui seduto su una delle poltrone a disposizione, sfogliando un libro di narrativa davanti a un lume acceso, danto da consentirgli la lettura, stava aspettando di sentire le parole del vecchio amico.

Erano già passate tre settimane dal suo arrivo, lì al Regno di Invideo e il tempo sembrava quasi essersi fermato. Doyoung ripensò a molti anni prima, quando Ten lo ospitò, proprio come in questo momento. All'interno di quelle mura, per un qualsiasi fatto ancora incerto, il tempo sembrava fermarsi, dilatandosi all'infinito.

Poco dopo le fate se ne andarono, in uno sciame luminoso, tornando dal loro popolo e solo così Ten parlò, allo stremo della sua lucidità.

Aveva riflettuto a lungo su una sua possibile decisione, dopo la conversazione avvenuta con Doyoung, a riguardo di Sicheng e del Castello dell'Esilio e ora, nel bel mezzo della notte, era arrivato a una conclusione.

<< Partirò >>

Per poco Doyoung non cadde dalla poltrona per lo spavento, perché ormai avvolto dal continuo silenzio. Così lo guardò, osservando la sua espressione seria.

I suoi capelli biondi, illuminati dalle candele profumate affianco, diventarono teatro delle ombre degli oggetti che costellavano quella biblioteca. I suoi occhi, scuri e vividi, sembravano parlare senza voce.

<< Dove? >> chiese Doyoung, cercando di approfondire la appena nata conversazione.

<< Al Castello dell'Esilio >> poi continuò, deglutendo a fatica << Devo parlare con l'imperatore Sicheng e di quanto sta causando all'intero regno. Sono preoccupato per il mio popolo, oltre che del suo stato. È mio dovere accorrere là, le mie colpe sono tali che non mi fanno dormire alla notte >>

Eppure, qualcos'altro lo teneva sveglio, non consentendogli di dormire, ma questo era un argomento fin troppo intimo, che mai avrebbe rivelato a Doyoung.

<< Vuoi che venga con te? >> e il suo cuore ricominciò a battere all'impazzata, solo davanti al suo ricordo, al suo volto, al loro ipotetico incontro. Doyoung voleva tornare da lei, anche se era dura da accettare, perché ormai Althea stava con un altro uomo. Dopo la sua decisione di lasciare il castello nulla poteva essere ricostruito. Perché sì, Doyoung in cuor suo si stava tormentando, perché non ci sarebbe più stata alcuna seconda possibilità.

<< No. Andrò da solo >>

E se Ten non fosse mai partito, non l'avrebbe mai conosciuto, quel giorno. Non avrebbe mai visto i suoi occhi al di là della recinzione del campo d'addestramento, non sarebbe finito a parlarci nel bel mezzo della notte, durante una delle sue solite insonnie, non sarebbe finito a baciarlo di nascosto, davanti alla porta della sua stanza.

 Non avrebbe mai visto i suoi occhi al di là della recinzione del campo d'addestramento, non sarebbe finito a parlarci nel bel mezzo della notte, durante una delle sue solite insonnie, non sarebbe finito a baciarlo di nascosto, davanti alla porta ...

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