47.Theo

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Ero sempre stato un ragazzino abbastanza violento. Non ragionavo, quando la rabbia mi accecava.
Non ero razionale, quando c'era la possibilità di fare la scelta giusta. Così finivo sempre per prendere a pugni qualcuno.
La mia mente era strana e complicata, e col tempo era solo peggiorata. Le cose che nella mia vita mi avevano reso veramente felice si potevano contare sulle dita di una mano, per questo le ricordavo tutte.
Dalla prima all'ultima.
Partendo dalla pioggia, che, dopo una delle mie prime litigate con mia madre, mi aveva lenito le lacrime, facendole confondere con le sue gocce fredde e sporche. Sotto di essa mi confondevo e sentivo la mia pelle, mi confortava sapere che non ero il solo a piangere, perché insieme a me lo faceva anche il cielo. Quindi trascorrevo ore intere a bagnarmi i vestiti fino ad ammalarmi.

Poi c'erano le sigarette e l'alcool. Codardo io che mi tuffavo in tutto ciò che era vizio e dipendenza, semplicemente perché mi piaceva la loro capacità di fottermi la mente e spegnermi i pensieri. Avevo iniziato a fumare relativamente presto, a 14 anni, trascinato principalmente dalle mie discutibili conoscenze che comprendevano Carlo e la sua comitiva. Lo avevo conosciuto durante una delle prime estati che i miei nonni e mia madre mi avevano costretto a passare a Roma, in Italia. Quando ero più piccolo non vedevo l'ora di passeggiare per le vie soleggiate di quella splendida città ricca di storia; farmi comprare un gelato da mio nonno; camminare mano nella mano con lui ed ascoltarlo raccontarmi la storia locale. Era sempre stato una persona a cui piaceva parlare, ed io ero ben felice di ascoltarlo. Tuttavia, presto quella Roma si era trasformata condensando le mie estati in festini pieni di alcool, droga e fumo. E paradossalmente erano diventati l'unico mio motivo di svago per staccare un po' la spina dal continuo menefreghismo che mia madre mi riservava.

Avevo 15 anni quando, durante un festino particolarmente illegale, la situazione era degenerata e mentre io e Carlo, sulla sua macchina rosso fuoco che in realtà non poteva guidare, stavamo andando a fare rifornimento di sigarette, ci fermò la polizia. Ci trovò ubriachi e fatti; ci arrestarono e ci chiusero in una cella fredda per un'intera notte. Allora io avevo utilizzato l'unica chiamata concessami per telefonare a mio padre, poiché mi vergognavo troppo per chiamare nonno e raccontargli cos'era successo, e quello tramite i suoi agganci nel settore ci aveva fatti uscire con la fedina penale immacolata. Il problema fu che ciò aveva richiesto la sua presenza in prima persona nella caserma di Roma, e mai la mia mente ha cancellato il ricordo del suo volto deluso e amareggiato quando mi ha guardato in faccia. Si sarà sicuramente chiesto chi era quel ragazzo e cosa ne aveva fatto del proprio figlio; ed io avrei voluto urlargli che ero io, ero sempre io, in carne ed ossa e imperfezione.
Ovviamente raccontò l'accaduto a mia madre e mio nonno, fu quello che mi fece definitivamente mettere un punto a Roma. O così credevo.
Avevo salutato Carlo ed i miei amici senza la promessa di rivederci, poiché non ero incline a fare o mantenere promesse; dopodiché eravamo ritornati a Southampton, in Inghilterra, tuttavia la mia estate accompagnata da altrettante follie era ancora lontana dal concludersi.

Il rapporto tra me e mia madre, già allora pressoché inesistente, si sfaldò ancora di più quando avevo iniziato a ritirarmi sempre più tardi la sera o a trascorrere fuori casa l'intera notte, finché non ho raggiunto il picco quando, insieme a Elliot, sono andato via di casa per una settimana. Non eravamo andati lontani, solo a Londra, ma vedere che, giorno dopo giorno, mia madre non mi chiamava nemmeno per accertarsi che fossi vivo, forse fece molto più male di quanto io abbia mai ammesso a me stesso. Elliot era il mio scopamico di quel periodo e fu durante quella fatidica settimana che mi feci il mio primo tatuaggio, uno scorpione dietro al collo come rimando al mio segno zodiacale. Quando ero tornato a casa per la prima volta nella mia vita avevo litigato con mio nonno, e fu strano ma altrettanto doloroso vedere sul suo volto comparire le stesse rughe di disprezzo che comparivano a mia madre. Anche se non l'ho mai condannato per questo.
Recisi i rapporti con Elliot, come facevo praticamente con tutti i ragazzi e le ragazze con cui scopavo per più di tre volte, nel momento esatto in cui sentii che i miei sentimenti per lui si stavano evolvendo, trasformandosi in qualcosa di più profondo e completo. Li rifiutavo, quei sentimenti, ci sputavo sopra convinto di essere incapace a sorreggere il peso della felicità lì dove ero già costernato a dovermi far carico dell'infelicità.
Perché per me l'amore non era un qualcosa capace di spazzare via l'incontentezza per poi rimpiazzarla; quell'incontentezza sarebbe rimasta comunque lì, per sempre. O così credevo.

I wanna be yours ~ Apollo & TheoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora