Speciale Natale

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25 dicembre.
"La stella sull'albero la metto io!"
"No Georgy, voglio metterla io"
"No"
"Sono più grande, quindi la metto io" Dorothy fece una linguaccia a Georgy che subito dopo scoppiò a piangere.
A me, invece, stava scoppiando la testa stando dietro a loro due. Stavo quasi per alzarmi e metterla io quella dannata stella sull'albero.
"Si può sapere cos'è questo baccano?" sopraggiunse mio padre dalla cucina, quindi io colsi l'occasione per defilarmi inosservato.
Mi rintanai nella mia vecchia camera per tentare di ritrovare un po' di buon umore che, seppellito dentro di me da qualche parte, doveva pur essermi rimasto.
Mi era sempre piaciuto il Natale, ma ormai non potevo fare a meno di viverlo nell'irrequietezza di essere consapevole che quando arrivava Natale significava che mancava sempre meno a quel giorno.
Il giorno che mi aveva cambiato la vita.
Ed il prossimo 8 gennaio sarebbero già stati due anni.
Due anni senza lui.
Come ero riuscito a sopravvivere?

Presi in mano il libro che raccontava la nostra storia che avevo da poco finito di scrivere. Dovevo solo mandarlo ad una casa editrice americana che avevo già precedentemente contattato, o per meglio dire aveva contattato Merida tenendomi all'oscuro.
Quando lo avevo scoperto mi ero arrabbiato talmente tanto che avevo dormito due notti fuori casa nostra a New York. Poi però lei mi aveva rivelato che lo aveva fatto perché quando mi vedeva scrivere la incantavo, e allora un libro capace di incantarti senza nemmeno essere letto meritava di raggiungere tanti cuori.

Mi ero lasciato convincere anche se la paura di consegnarlo in mani che potrebbero sporcare e giudicare la nostra storia mi faceva ancora rabbrividire.
Chissà se conquisterà davvero l'anima di qualcuno.
Scrivere l'ultimo capitolo era stata una faticaccia e avevo finito le lacrime tanto che avevo pianto a suon di singhiozzi.
Magari un giorno sarebbe stato diverso. Sarei stato meno triste e capace di guardare al passato con un sorriso soffiato nel vento e una mano sul cuore ad alleggerirmi i battiti.

Mi sedetti sul materasso sbuffando e lanciai il mio manoscritto sulla scrivania. Presi il telefono e mi misi a rispondere agli auguri dei miei amici, Merida mi inviò un selfie di lei sorridente sotto l'albero con un cappello da Babbo Natale in testa. Istintivamente sorrisi e le risposi con un semplice cuore verde.
Talmente immerso nell'internet non mi accorsi di un musetto che prese ad annusarmi la mano, balzai indietro solo per poi rendermi conto che era Lilly, il cocker di Dora.
"Continua a dargli fastidio" sentii sussurrare. Alzai lo sguardo e vidi Artemide poggiata allo stipite della porta che incitava Lilly ad infastidirmi.
Ormai era diventata una donna a tutti gli effetti, anche se continuava a somigliarmi irrimediabilmente.
"Dove l'hai lasciato quell'idiota di Jacob?" domandai.
"Tranquillo, non starà con noi oggi. L'ho convinto ad andare dalla sua famiglia" sospirò sapendo bene come non sopportassi il suo fidanzato.

Per quel Natale indossava un leggins di pelle nero con sopra un maglione rosso e degli stivaletti neri ai piedi. Nell'ultimo periodo sembrava aver messo la testa apposto ed insieme a Jacob si era trasferita in pianta stabile a Manchester dopo aver passato un anno e mezzo in giro per l'Europa. L'unica cosa che non era cambiata erano i suoi capelli che, seppure non più colorati, portava legati in una treccia laterale.
"Scendiamo giù, fratello" mi strinse la mano nella sua.
"Non penso di essere più capace a festeggiare" mi lasciai andare alla malinconia perché sapevo che con lei potevo farlo.
"Quando mai hai saputo farlo?"
"Questo è un colpo basso"
"Non ci resta che andare a scoprirlo, stai un po' con la tua famiglia e vedrai che ritroverai un pezzettino di te stesso"
"Non hai più il potere di convincermi tanto facilmente"
"Scommettiamo?" il suo sguardo si accese di sfida.
Incrociai le braccia al petto e due secondi dopo Artemide scoppiò in un canto stonatissimo, rovinando una canzone di Natale.
Strabuzzai gli occhi e mi coprii le orecchie correndo lontano da lei che prese a rincorrermi ridendo.

Mi ritrovai in salotto annaspante con mia sorella alle calcagna, e quando tutti si voltarono a scrutarci rimasero interdetti.
"Ed io che speravo che diventando grandi sareste guariti dalla vostra pazzia" commentò mia madre sempre impeccabile e saccente.
"Non credo succederà mai" si intromise Jess sbucando dalla cucina con un enorme teglia di lasagna che poggiò sul lungo tavolo.
Prendemmo tutti posto ed iniziammo a mangiare.
"Alla fine chi è che ha messo la stella sull'albero?" chiesi a Dora e Georgy.
"James" rispose affranta Dora, ridacchiai lanciando un'occhiata a mio nipote in braccio al padre, Liam.
Anche lui stava crescendo a vista d'occhio.
Se il mio fiore fosse stato qui glielo avrei detto, mi sarei lamentato del fatto che stavo invecchiando troppo in fretta e che forse tra un paio d'anni mi sarebbe toccato cominciare a farmi la tinta per nascondere i capelli bianchi.
Lui avrebbe scosso il capo rassegnato, ma poi mi avrebbe sorriso con le fossette a scavargli le guance pallide.

Ebbi un'illuminazione mentre masticavo l'ultimo boccone di lasagna.
Il mio cuore prese a battere più velocemente e la mia mente a correre per impervie vie.
"Artemide"
"Che c'è"
"Dopo devi aiutarmi a fare una cosa" le sussurrai.
"D'accordo" la semplicità con cui mi assecondava mi lasciava stupito ogni volta.
E da quel momento riuscii a trascorrere il resto della giornata più spensierato poiché sapevo che stavo per fare una cosa che mai avrei fatto ma che speravo mi facesse sentire meglio. D'altronde era Natale e a Natale, si sa, siamo tutti più buoni.
Finimmo di pranzare, dopodiché scartammo tutti insieme i regali in salotto vicino al camino, giocammo a qualche gioco da tavolo mentre i bambini si divertivano a provare i nuovi giochi che gli aveva portato Babbo Natale; io andai a prendere la mia chitarra azzurra che nonostante gli anni sembrava ancora nuova di zecca e suonai note su cui si misero a ballare mamma e papà, per poi aggiungersi anche Jess e Liam.
Io continuavo a suonare seduto sul divano mentre li guardavo incantato con la testa di Artemide, seduta a terra, poggiata sul mio ginocchio.
Parevamo una famiglia felice, dopotutto.

Arrivò il momento di mangiare il panettone e fu allora che decisi di portare a termine ciò che avevo pensato. Afferrai Artemide e la trascinai in camera spiegandole che mai come quel giorno doveva essere capace di inventarsi qualcosa per giustificare la mia assenza ed essere credibile.
"Perché, cosa vuoi combinare? Dove vuoi andare?" si allarmò, le spiegai ciò che mi frullava in testa e, prima di uscire di casa ed infilarmi in macchina, recuperai il piccolo quadernino azzurro che tenevo buttato sotto il letto e le stampai un bacio sulla guancia.
"Sei la sorella migliore del mondo" le sussurrai facendole scuotere la testa esasperata.
E pensare che lei nemmeno sapeva che la dedica del primo libro che avrei pubblicato portava proprio il suo nome.

Mi feci due ore di macchina col cielo ormai scuritosi e parcheggiai difronte la villetta incriminata.
Mi strinsi al petto quel quadernino azzurro che lui mi aveva regalato anni fa mentre eravamo sull'aereo per raggiungere Roma. Il suo album di disegni che aveva deciso di affidare a me. Dove il nostro passato era racchiuso in contorni e sfumature.
Vivien non ci aveva mai capiti ed io non mi ero mai impegnato più di tanto per cercare di farle cambiare idea. Magari era arrivato il momento di farlo, tuttavia quella avrebbe dovuto essere una conversazione che avrebbe dovuto affrontare con suo figlio, quindi regalandole dei disegni fatti da lui era come se le stessi dando finalmente la possibilità di confrontarcisi.
Anche se non a parole.

Davanti la porta suonai il campanello e qualche secondo dopo ecco un paio di occhi scuri a scrutarmi sorpresi.
"Apollo"
"Buon Natale, signora Harris" la voce mi uscì più fioca di quanto volessi. Non ero pronto a rivedere quegli occhi tanto simili ai suoi.
"Cosa ci fai qui?".
Non mi invitò ad entrare ed io non insistetti. Entrambi incerti su cosa fare o dire. Io e Vivien non avevamo mai avuto un bel rapporto.

Allora le allungai semplicemente il quadernino.
"Volevo farle un regalo"
"Cos'è questo?"
"Lo sfogli e sarà capace di capirlo da sola, e se lo goda. Sarà come parlarci un'ultima volta" pronunciare quelle parole mi fece tanto male, così come separarmi da quei disegni.
Poi, svelto com'ero arrivato, mi voltai per scappare via da lì. Ma lei mi richiamò costringendomi a guardarla.
Aveva le lacrime agli occhi, oggi che era Natale.
O forse proprio per quello.
"Se sei libero e ti va l'8 gennaio potresti venire qui, andiamo insieme al cimitero a trovare Giacinto. Ti aspetterò e... buon Natale, salutami tuo padre" si strinse il quadernino al petto proprio come ero solito fare io.
Poi chiuse la porta.

Io invece rimasi immobile perché era tanto, troppo, che non ascoltavo il suo nome. Mi ero talmente ostinato a non pronunciarlo e scriverlo che quasi avevo dimenticato quanto fosse bello.
Il più bel nome mai esistito.
L'unico capace di stritolarmi il cuore e cullarmi i pensieri.
Giacinto. Theo. Il mio Theo.
Mi cadde un fiocco di neve sul naso e a stento me ne accorsi.
Alzai gli occhi e scoprii che stava nevicando.
Allora un mezzo sorriso pieno di lacrime mi si stampò in viso mentre andavo alla macchina per ritornare dalla mia famiglia.
Decisi che, quando sarebbe stato pubblicato, avrei inviato una copia del mio libro a Vivien.



Angolo autrice~
Altra festa, altro capitolo speciale.
Ci sto prendendo gusto.
Spero vi sia piaciuto e... buon Natale!

I wanna be yours ~ Apollo & TheoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora