Capitolo 12: La tragedia

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Feci roteare il cucchiaino nel mio porridge, quando vidi mio fratello entrare in cucina e cercare, nello scaffale, i suoi soliti cereali.

"Buongiorno, come hai dormito?" Mi chiese, prendendo la scatola e versandosi i cereali in una tazza.

Lo guardai con gli occhi socchiusi. "Buongiorno, bene. Tu?"

Si sedette davanti a me, sorridendo e mi scompigliò i capelli. "Bene. Oggi non devo lavorare, vuoi che facciamo qualcosa assieme?" Si portò una cucchiaiata di cereali alla bocca.

"Potremmo andare a fare una passeggiata al parco," risposi.

"Mi sembra perfetto!" Confermò..

"Ho trovato lavoro nel ristorante 'Dal cuoco'," continuai.

"Congratulazioni! É un bel posto dove lavorare. Io ed alcuni amici lo frequentavamo spesso. Dobbiamo festeggiare questa splendida novità!" Si congratulò mio fratello.

L'immagine di lui, seduto con Logan Godson, in quella caffetteria, mi attraversò la mente.

Volevo sapere. Necessitavo sapere.

"Non sembri essere felice. Non ti va di festeggiare?" Mi chiese.

"No, stavo solo pensando," gli risposi.

Mio fratello si passò una mano tra i capelli, prima di prendere un'altra cucchiaiata di cereali. "Come sta andando la tua permanenza dai Godson?" Cercò di farla sembrare una domanda casuale, ma lo conoscevo bene.

C'era qualcosa che lo stava mangiando dall'interno, le sue spalle erano ripiegate su sé stesse. I capelli gli ricaddero sulla fronte, mentre lui ci passava nuovamente la mano in mezzo.

"Mi sto adattando. Mi hanno inviato ad una cena di famiglia qualche settimana fa per festeggiare la visita di Logan Godson," dissi, con attenzione.

"Sì? Stai attenta con loro, sono delle serpi. Pensano di possedere ogni cosa," mi avvertì.

Allora perché stavi prendendo un caffè in compagnia di Logan Godson? Volevo chiederglielo, avevo quella domanda che mi pungeva la punta della lingua.

"Conosci Logan?" Decisi di tentare.

Mio fratello mi guardò, i suoi occhi si fissarono su qualcosa dietro di me, prima di tornare nei miei. "Non conosco il ragazzo personalmente, ma ho sentito parlare di lui. É arrogante e pensa di poter pisciare sull'acqua santa," mi rispose con un'espressione dura.

Scelsi le mie prossime parole con attenzione. "L'hai mai incontrato?"

Mantenni lo sguardo nel suo, mentre mi guardava. I suoi occhi blu si illuminarono, quando un raggio di sole filtrò attraverso la finestra. Erano così chiari che potevo specchiarmici dentro.

"No," mi rispose.

Il respiro mi si mozzò in gola, ma presi il bicchiere d'acqua per farlo distrarre dal mio movimento.

Mio fratello, come se niente fosso, tornò a mangiare la sua colazione.

"Andiamo a camminare, allora?" Gli chiesi, riportando l'attenzione sul mio porridge, non riuscendo più a controllare le mie emozioni.

"Andata," mi disse, portandosi un'altra cucchiaiata di cereali alla bocca.

I miei pensieri vertevano in mille direzioni diverse, mentre passeggiavamo nel quartiere. "Passavamo sempre tra queste strade quando andavamo a giocare al parco, da bambini," disse all'improvviso mio fratello.

Sorrisi a quel ricordo. "Sì. Mamma ci accompagnava sempre e noi passavamo ore a giocare. Ti piaceva rincorrermi."

"Sì, perché sono molto bravo a farlo. Sono scappato da ogni bambino del parco, senza che riuscisse a prendermi." Rise per quella divertente memoria.

"Mi ricordo che una delle bambine si era arrabbiata perché non riusciva a prenderti ed ha cominciato a piangere. Poi sei tornato da lei," lo guardai con un'espressione cupa. "Sei tornato da lei e le hai detto che eri IT."

"Perché sapevo che non potevo fingere di essere IT ancora a lungo. Avevo più possibilità di liberarmi di IT, che di lei," mi rispose.

Tenemmo entrambi lo sguardo fisso in avanti, mentre continuavamo a passeggiare verso il parco.

"Avevamo incontrato Griffin lì, quando eravamo bambini," disse mio fratello improvvisamente ed io mi voltai a guardarlo, ma lui continuò a tenere lo sguardo fisso in avanti.

"Stava giocando da solo. Hai insistito per invitarlo a giocare con noi. Ti aveva detto di no, ma tu non accettavi la sua risposta. Dio, sei così prepotente," mio fratello ridacchiò ed io lo spintonai dalla spalla. "Non lo sono!" Mi difesi.

"Hai ragione. Non lo sei," mi sorrise scherzosamente.

"Quel bambino, poi, ti ha seguita ovunque. Ora, è una piccola merda come il resto della sua famiglia." Il suo tono divenne asciutto.

"Ciò che ti stanno facendo mamma e papà è sbagliato. Non provo più rispetto per loro, da quando ti hanno lasciata andare." Mi guardò.

"Non dovresti affrontare tutto questo da sola. Puoi andartene, Elena. Vai via e goditi la tua vita. Lasciali continuare a pensare a quella stronzata della maledizione, lascia che la risolvano da soli. Non è neanche reale!" Disse con tono arrabbiato.

Mi guardai intorno, cercando di calmare il mio cuore.

"Posso aiutarti. Ho cominciato a risparmiare e sto cercando un appartamento. Possiamo stare insieme, non dobbiamo rispondere più a nessuno." Nei suoi occhi lessi tutta la speranza che provava.

Sapevo che si stava sacrificando per me. Questo mi spaventava, non volevo che sacrificasse anche la sua vita. Volevo che se la godesse appieno.

"Voglio rimanere, Elric," ammisi.

"Perché?" Mi chiese.

L'immagine del corpo senza vita di Abeila Godson apparve nitida nella mia mente.

Perché sento che accadrà una tragedia se non seguo l'accordo sottoscritto.

"Perché la maledizione è reale, penso di poterla spezzare una volta per tutte," risposi.

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