Lo stesso uomo entrò la mattina successiva. La febbre era finalmente passata, ma continuavo a sentire il sudore bagnarmi la schiena. La mia testa era leggera, ma il mio corpo era ancora indebolito, nonostante stessi meglio del giorno precedente.
Si abbassò alla mia altezza, avvicinandosi. Mi strinsi le gambe al petto ed i suoi occhi seguirono ogni mio movimento.
"Buongiorno," mi disse con la sua voce rude.
Rimasi in silenzio.
"Devi avere fame, ecco il cibo," mi porse una ciotola.
"Ho pensato che avresti preferito della zuppa, viste le tue condizioni," continuò.
Tenni lo sguardo fisso su di lui.
"Chi sei? Cosa vuoi?" La mia voce suonò debole e roca anche alle mie orecchie.
Rimase in silenzio, continuando ad osservarmi. Quando non pensavo mi avrebbe risposto, parlò.
"Sono qui per assicurarmi che tu non scappi. Finirei nei casini se accadesse prima di allora." Mi disse.
"Prima di cosa?" Gli chiesi.
Mi guardò, ma non disse nulla.
"Mi ucciderai?" Chiesi.
"Non sta a me deciderlo," mi rispose.
"Allora a chi? Chi decide?" Chiesi, tossendo.
Si appoggiò le mani sulle cosce, tornando in posizione eretta.
"Okay, mi hai fatto già abbastanza domande per oggi. Mangia," mi ordinò.
"Aspetta, per favore!" Lo pregai.
"Chi ti ha mandato?" Urlai debolmente.
Si avvicinò alla porta e mi guardò un'ultima volta, prima di chiudersela alle spalle.
"Per favore!" La mia voce si ruppe e nella mia mente si scatenò un disastro. Mi sistemai sulla sedia e guardai la zuppa.
Volevo placare la mia rabbia, volevo gettare la zuppa contro il muro, ma qualcosa mi suggeriva che non ero nella posizione di farlo. Avevo bisogno di recuperare le forza, così sollevai la zuppa, bevendone un sorso.
Cercai di rimanere in allerta, ma il mio corpo aveva altri piani. Lottai per rimanere sveglia, ma caddi assopita. Il mio corpo ordinava, io obbedivo, perdendo ogni volta.
La mia mente trovò conforto nei sogni.
Una piccola figura ricurva seduta sola sull'altalena catturò la mia attenzione. Mi diressi verso di lei. Un ragazzino con una maglietta bianca di Winnie The Pooh ed un paio di pantaloncini blu era seduto sull'altalena. Aveva il capo rivolto verso il basso ed io seguii la linea del suo sguardo. Le sue scarpette bianche erano macchiate dai sassolini, che continuava a spingere con la punta del piede. Le sue scarpe bianche erano sporche di terriccio marrone.
"Ciao," lo salutai.
Il bambino sollevò lentamente il capo al suono della mia voce.
I suoi occhi color nocciola incontrarono i miei, poi li riabbassò.
"Ti ho salutato! Non fare il maleducato e salutami anche tu," gli ordinai.
I suoi occhi color nocciola tornarono nei miei, questa volta spalancati. Riuscivo a vedere le sfumature delle sue iridi.
Sollevò entrambe le sopracciglia marroni.
"Sei maleducata! Vattene!" Disse il bambino.
Mi sedetti nell'altalena affianco alla sua.
"Ti ho chiesto di andartene," mi disse.
Lo guardai con la coda dell'occhio.
"Lo so," ammisi, prima di appoggiare i piedi sul terreno e cominciare a darmi la spinta, iniziando ad oscillare.
Il vento mi colpiva il volto, facendo ondeggiare i miei capelli. Ridacchiai, continuando ad oscillare sempre di più.
Continuai a muovere le gambe, arrivando sempre più in alto, riuscivo a vedere il palo che teneva le altalene tra un'oscillazione e l'altra.
"Cadrai con la faccia a terra," mi disse il bambino al mio fianco.
"Quindi?" Urlai di rimando, cercando di sovrastare il vento che mi colpiva il volto.
Il mio cuore palpitava ad ogni oscillazione, riuscivo a vedere molte cose dall'alto. Mi spinsi ancora di più, domandandomi se riuscissi a vedere casa mia da quell'altezza.
"Penso di riuscire a vedere casa mia da qui!" Urlai.
"No, non è vero," mi rispose il bambino.
Alzai gli occhi al cielo.
"No, non è vero," ripetei, prendendolo in giro.
Oscillai ancora di più.
L'altalena al mio fianco cominciò a muoversi lentamente.
Oscillavamo in direzioni opposte, quando lui andava indietro, io andavo avanti.
Cominciò ad aumentare la velocità, adattando le sue oscillazioni alle mie, così che andassimo nella stessa direzione.
Mosse più rapidamente le gambe, raggiungendomi.
Cercai di mantenere la stessa velocità, permettendogli di sincronizzarsi con le mie spinte.
Continuammo a muoverci nella stessa direzione.
"Qual è casa tua?" Mi chiese il bambino.
"Quella con il tetto marrone," gli risposi.
"Hanno tutte il tetto marrone!" Urlò il bambino.
"No, il mio è di un marrone più scuro, perché l'ha aggiustato mio papà," gli dissi.
Il bambino strinse gli occhi per vedere meglio.
"Penso di averla vista!" Urlò eccitato.
"Hai visto! Te l'avevo detto," sorrisi, mentre entrambi continuavamo ad ondeggiare.
Il vento gli scompigliava i capelli neri e i suoi occhi brillavano, mentre guardava casa mia ogni volta che arrivava in alto.
"Tu riesci a vedere casa tua?" Urlai.
Mi guardò, il suo volto era arrossato dal vento, immaginai fosse lo stesso per me.
"No," mi rispose.
"Elena! La mamma ha detto che dobbiamo rientrare!" Sentii la voce di mio fratello urlarmi dal basso.
"Ok!" Risposi, ancora a mezz'aria.
Entrambi cominciammo a rallentare i nostri movimenti, abbassandoci sempre di più, finché i nostri piedi non toccarono il terriccio.
Rimanemmo in silenzio, mentre le nostre spinte diminuivano.
Il mio piede toccò per primo il pavimento, così fermai l'altalena.
Il bambino guardò il terreno e si sollevò riluttante, la sporcizia gli colorava ancora le scarpe bianche. Mi guardò.
"Ci sarai anche domani?" Mi chiese.
"Puoi scommetterci!" Gli risposi.
Un sorrisino gli incurvò le labbra.
"Ok," disse timidamente.
"Come ti chiami?" Chiesi, prima che potesse allontanarsi.
"Griffin," mi rispose il bambino.
"E tu?" Mi chiese, subito dopo.
"Elena!" Sorrisi.
Corsi verso mio fratello e una volta raggiunto, mi voltai. Griffin mi stava ancora guardando dall'altalena. Lo salutai con la mano, sollevandomi sulle punte. Con un sorriso triste sulle labbra, ricambiò il mio saluto.
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Griffin
ChickLitElena trascorreva la sua vita pacificamente, fino a che non fu obbligata ad unirsi alla famiglia Godson per pagare i debiti creati dalle generazioni prima di lei. A complicare ulteriormente le cose è Elena, che purtroppo cattura le attenzioni indesi...