11. Alexander Adams

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All these people think love's for show
But I would die for you in secret

TAYLOR SWIFT

Evangeline

Presente
16 settembre 2022

Non avevo chiuso occhio. Quel messaggio non mi aveva spaventata, ma mi aveva messo molta ansia.
Non ero più sicura che fossero state loro, ne sarebbero capaci ma non le vedevo da anni, ormai.

Guardai l'orario sulla sveglia, pensando che se fossi uscita per fare una corsa mattutina avrei scacciato l'ansia e avrei potuto dormire almeno un'ora.
Erano le quattro del mattino.

Mi sciolsi dall'abbraccio di James e andai in cucina. Presi un bicchiere d'acqua e lo bevvi tutto d'un sorso.
Tornai in camera e indossai una delle tute che di solito usavo per dormire. Presi le cuffie e il telefono, dopodiché uscii di casa.

Fuori era ancorai buio, le stelle non si vedevano a causa delle luci della città. Accesi la musica al massimo e cominciai a correre.

Mi aveva sempre aiutata a schiarirmi le idee e a scacciare l'ansia. Uno dei pochi ricordi che ho di quando ero piccola è proprio questo. Ogni volta che l'ansia si faceva sentire e non riuscivo a gestirla cominciavo a correre, lo facevo per ore, anche sotto la pioggia o sopra la neve. Correvo fino a non avere più fiato nei polmoni, finché non ero troppo stanca per tornare indietro.

Correvo ogni volta che litigavo con i miei, perché per loro non andavo mai bene. Non arrivavo mai ad essere la figlia perfetta che desideravano. Ero sempre troppo magra o troppo grassa, troppo chiacchierona o troppo silenziosa, pensavo troppo o non pensavo abbastanza, troppo elegante o troppo normale. Con loro non c'era mai una via di mezzo, era sempre un troppo o un troppo poco.

Correvo dopo ogni litigio con mia sorella Janette, perché lei era sempre così perfetta che la invidiavo. Invidiavo come i miei genitori la portassero ovunque andassero per vantarsi di avere una figlia come lei, odiavo come ci fossero sempre per lei quando per me e Don erano sempre assenti, odiavo che la trattavano bene quando io e Don eravamo stati cresciuti dai maggiordomi, odiavo come si prendessero cura di lei quando stava male perché se noi stavamo male venivamo affidati alle cure del medico mentre loro non facevano altro che lamentarsi del tempo che passavamo a letto.

Correvo ogni volta che mio fratello scappava, perché sapevo che sarei rimasta da sola in quella casa che era diventata una prigione.

Una cosa che mi toglieva il respiro era anche l'unica che mi faceva tornare a respirare.

Poi all'età di sedici anni mio padre mi cacciò di casa, sfidandomi a sopravvivere lì fuori senza il loro aiuto economico. All'epoca pensavo che dandogli corda mi sarei finalmente liberata di lui e del dolore che avevo vissuto tra le mura di quella casa, non sapevo che però l'unica cosa di cui mi sarei liberata era la possibilità di mangiare del cibo decente. Mio padre doveva coprire il tutto perché se un'informazione del genere fosse caduta nelle mani della stampa la sua reputazione sarebbe stata rovinata, perciò mi costrinse a continuare gli studi che ovviamente avrebbe pagato lui. In quel modo nessuno avrebbe sospettato, io vivevo e lavoravo fuori New York e papà non era ancora abbastanza conosciuto perché venissi riconosciuta anche lì fuori. Almeno finché non si scoprì del mio lavoro nella discoteca. Da quel momento molti iniziarono a sospettare della mia situazione familiare, finché la verità non venne fuori. Non tutta la verità, ma abbastanza da far perdere dei soci importanti per la società di mio padre.

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