18. Veglio su di te

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PRIMA PARTE

Ci saranno luci accese di speranze
E ti abbraccerò per darti forza sempre
Giurò sarò roccia contro il fuoco e il gelo
Veglio su di te, io sono il tuo guerriero

MARCO MENGONI

Asher

La notte dell' incendio


Mi ero sempre domandato quale sarebbe stato il mio destino, mi ero chiesto se avrei mai avuto un'amore come quello dei miei genitori. Ma per quanto ci sperassi questo non arrivava mai, per questo a un certo punto delle mia vita avevo perso le speranze.

Le mie giornate erano sempre uguali: sveglia all'alba, lavoro, pranzo, lavoro, cena e poi andavo in uno dei tanti locali osceni di New York. Erano diventate così monotone che persino quando facevo sesso le ragazze mi sembravano tutte uguali.

Non mi importava come fossero fatte, se erano insopportabili, se avevano i capelli castani invece che biondi. L'importante era che sapessero che dopo quella sera non ci saremmo più rivisti.

Questa sera però era diverso, quando ero rientrato in casa dopo il lavoro per prepararmi per uscire avevo trovato un biglietto. Era l'indirizzo del parco che frequentavo da ragazzino, insieme ai miei migliori amici.

Conoscevo Kevin e Alexander da quando eravamo piccoli, eravamo inseparabili. Lo eravamo stati finché Alexander non si era trasferito a Boston con la sua amica, la bambina di cui ero innamorato.

Io e Kevin eravamo rimasti uniti, avevamo continuato a contattare Alex nella speranza di non perdere quel rapporto che avevamo da sempre. Ma lui si allontanava sempre di più, finché un giorno non smise di risponderci anche ai messaggi.

Ma grazie al lavoro dei suoi genitori veniva spesso a New York, perciò quelli erano gli unici giorni in cui tutto tornava come prima.
Era come se Alexander non si fosse mai trasferito.
Poi se ne andava di nuovo, non facendosi più sentire fino a che non tornava.

Quando era qui ci faceva trovare un biglietto nelle nostre camere su cui c'era scritto sempre lo stesso indirizzo, quel parco.

Da piccoli ci limitavamo a giocare a palla, oppure a rubare qualche caramella al bar. Poi crescendo i nostri passatempo erano cambiati.

Ci chiamavano i tre bastardi di New York, tutti sapevano chi eravamo ma non potevano intervenire a causa dell'influenza che avevano le nostre famiglie.

A sedici anni ci ritrovammo in una gara clandestina da cui uscimmo vivi per miracolo, a diciassette spacciavamo, a diciotto avevamo dato inizio a un torneo di combattimento senza regole in cui ogni giorno uno di noi rischiava la vita. Fu a diciannove anni che capimmo di dover smettere, altrimenti per noi sarebbe finita male.

Così iniziammo a comportarci meglio, nonostante ci ritrovavamo sempre in qualche casino.

Ora, a ventidue anni mi rendevo conto di quanto avessi rischiato in quegli anni.

Buttai il biglietto nel cestino e mi cambiai, indossando una maglietta nera e la tuta scura.
Uscii e in pochi minuti di macchina arrivai al parco.

Lì trovai già Kevin e Alex ad aspettarmi. Accennarono un sorriso, mentre mi osservavano attraversare il sentiero che mi avrebbe portato al gazebo in cui si trovavano.

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