𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚃𝚠𝚘

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Era ormai pomeriggio inoltrato, le 15.30, per essere precisi.

Avevo appena finito di riempire e chiudere la mia valigia, non ci avevo messo molto.

Non che possedessi chissà quante cose, solo un po' di magliette, un paio di felpe e qualche pantalone.

Il ticchettio incessante dell'orologio appeso alla parete mi ricordava che il tempo non si sarebbe fermato nemmeno per un istante, e che tra meno di mezz'ora, il signor Miller, mio "padre", sarebbe venuto a prendermi.

Qualcuno bussò alla porta alle mie spalle, e un infermiera, si affacciò alla mia stanza.

"Signorina Lewis, la stanno aspettando giù in cortile" rimasi in silenzio a fissare la valigia vicino al letto.

"Ha bisogno di una mano? Vuole che la accompagni?" mi chiese cortese.

"No, vada pure" tirai un lungo sospiro nervoso.

Qualche giorno, SOLO qualche giorno e poi sarei tornata qui dentro, il dr. Smith lo aveva promesso, e io gli credevo.

Devo solo sopportarlo per un paio di giorni, avevo passato di peggio, posso farcela.

Alzerò poi il telefono, chiamerò Smith e tornerò qua in "carcere".

Meglio vivere chiusa qui dentro che dover affrontare la vita là fuori.

Il più lentamente possibile, uscii dalla mia stanza e scesi la lunga gradinata che mi separava dalla porta di ingresso, con una ansia e una paura così evidenti che si sarebbero potuti toccare con mano.


Prima di aprirla, voltai un ultima volta lo sguardo, incrociando quello del dr. Smith.

Era lì, vicino alla porta del suo studio, appoggiato allo stipite e con quel sorriso dolce e lo sguardo paterno, che mi guardava.

Le mie labbra tremavano mentre provavo a regalargli un piccolo sorriso.

La mia gola era secca, deglutii a fatica e gli occhi iniziarono a pizzicarmi.

Mi voltai di scatto, basta, ora o mai più.

Le foglie si stavano liberando della pioggia residua rimasta dopo il temporale.

Da una mezz'oretta circa il temporale era terminato, il cielo era comunque rimasto coperto da grandi nuvole grigio-scure e nere cariche ancora di tanta pioggia, che a breve si sarebbe abbattuta di nuovo sulle strade.

L'aria fredda passava attraverso il maglioncino che avevo indossato, facendomi venire la pelle d'oca sulle braccia.

Sotto all'enorme cancello d'ingresso nel giardino, tutto arrugginito con il passare del tempo, stavano in piedi due persone, a destra la rettrice della struttura.

L'avevo riconosciuta, era una vera stronza, tutti, persino chi lavorava per lei, la odiava.

Non era solita presenziare all' interno della struttura, dirigeva tutto comodamente seduta in un lussuoso ufficio che si trovava in centro città.

Qui la vedevamo di rado, solo in occasioni come queste quando doveva farsi elogiare per aver "recuperato" qualcuno dei pazienti ed avergli trovato un posto caldo e sicuro dove stare.

Spoiler: lei non aveva il merito proprio di niente.

Al suo fianco, per esclusione, il signor Miller.

In diciassette anni di vita, per la prima volta, vedevo quello che mi avevano detto essere mio padre.

L'uomo, che mi avevano detto chiamarsi Peter, era di statura media, il fisico era magro e curato, si vedeva a primo impatto che nonostante l'età era un uomo che teneva allo sport e ad una sana alimentazione.

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