𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚃𝚎𝚗

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Svanito completamente l'effetto dell' alcol, la serata trascorsa qualche sera fa mi era apparsa subito più limpida e chiara.
Cosa cazzo avevo combinato?
Tutto era andato già a rotoli dopo il primo bicchiere, che ovviamente, a causa dei farmaci che assumevo, non avrei dovuto bere.
Non oso immaginare la faccia contrariata del dr Smith se avesse saputo cosa avevo fatto.
Le cazzate erano poi proseguite.
Avevo quasi baciato Noah, il mio fratellastro, o meglio, lui aveva quasi baciato me, io non ne avevo la minima intenzione, ero rimasta impassibile solo a causa dei drink bevuti, da sobria non sarebbe successo un tale avvicinamento.
Poi, prepotente come un tuono durante una tempesta, Abel.
Era comparso dal niente.
Si era offerto gentilmente di riaccompagnarmi a casa, ed io, anche se un po' titubante, avevo accettato.
Era stato molto gentile, il suo gesto si era rivelato veramente innocente, senza secondi fini. Mi aveva riportata a casa, prima di uscire dall'auto mi aveva baciata sulla guancia. "Buonanotte, ragazzina" mi aveva sussurrato all'orecchio.
Una scia di brividi mi aveva percorso tutta la schiena.
Avevo la testa totalmente in confusione..
Mi alzai controvoglia dal letto.
Dopo la serata avevo cercato di evitare il più possibile Noah.
Ogni mattina uscivo presto, così non avrebbe avuto il tempo di offrirmi un passaggio e all'uscita facevo lo stesso, appena dopo il suono della campanella correvo alla fermata del bus e tornavo da sola a casa.
Una volta a casa, come mio solito, mi chiudevo in stanza, e non avevo così più avuto occasione di incontrare né lui né il resto della famiglia.
Di Abel invece neanche l'ombra da quella sera.
Non lo avevo mai visto nei corridoi della scuola, e non era neppure tornato a far visita a Noah.
Fortunatamente, aggiungerei.
Mi trascinai a forza in bagno per una doccia.
Da due giorni ormai pioveva ininterrottamente, adoravo questo clima, stava andando di pari passo con il mio umore grigio e triste.
I giorni erano passati in fretta, settembre aveva lasciato lo spazio ad ottobre, il mese che più mi risvegliava malesseri ed incubi.
Rimasi in tema con la giornata, indossando una felpa color grigio.
Decisi di non truccarmi, avevo le labbra tutte screpolate e a causa del freddo mi pizzicavano all'impazzata.
Afferrai lo zaino dal letto, scesi gli scalini due alla volta, fino ad arrivare alla porta d'ingresso. Senza se e senza ma, uscii.
"Stavolta non mi scappi" sentii dire ad una voce alle mie spalle.
Cazzo, cosa ci faceva già fuori casa?
Lo ignorai completamente, affrettandomi verso la fine del vialetto.
"Victoria, fermati".
Noah cercò di seguirmi, ma stavolta fui più veloce di lui, riuscendo ad allontanarmi.
Scesa dall'autobus, e fortunatamente la pioggia era diminuita, cadeva solo qualche goccia ogni tanto, tirai su il cappuccio della felpa e mi affrettai ad entrare a scuola.
Non mi accorsi del largo anticipo con cui ero arrivata, fino a quando, entrando in classe, notai che non c'era ancora nessuno.
Mancavano ancora minuti abbondanti all'inizio delle lezioni, diversi ragazzi erano gia riversi in corridoio, non potendo stare in cortile a causa della pioggia, e chiacchieravano tra loro.
Per la fretta di uscire, stamattina non avevo preso i miei farmaci, ne approfittai quindi per andare in bagno e rimediare.
Appoggiata al lavabo, mandai giù qualche compressa di calmanti.
Il ticchettio di scarpe con il tacco sovrastò il rumore dell'acqua che scorreva.
Non feci caso ai passi che sempre più si avvicinavano a me.
La porta del bagno alle mie spalle si spalancò.
Zoe fece il suo ingresso.
Le diedi un occhiata veloce attraverso lo specchio, ero ancora china sul lavabo.
Indossava scarpe tacco 12 rosse fuoco, un paio di leggins neri attillati e un top rosso, che lasciava intravedere il suo abbondante seno.
E credetemi, era il modo più sobrio in cui l'avevo vista vestita da quando la conoscevo. Stava masticando una gomma, e con un dito si arricciava una ciocca di biondi capelli. La ignorai, feci per superarla e uscire dal bagno.
Le passai di fianco, quando mi sentii bloccare da una forte stretta al polso. Il mio sguardo si riempì di odio.
Mi voltai di scatto.
"Cosa cazzo stai facendo?" le chiesi in tono acido, cercando di mascherare l'evidente ansia.
Sfidandomi con lo sguardo, scoppiò una bolla fatta con la gomma e aumentò la presa sul mio braccio.
"Lasciami" mi strattonai, cercando di liberarmi dalla presa.
Mi affrontò, facendomi indietreggiare a tal punto che con le spalle arrivai a toccare la parete. Mi aveva intrappolata.
Avrei potuto reagire, certo, ma non lo feci.
Spaventata da tutti quei ricordi, di quando, già alle elementari, i bambini più grandi mi prendevano in giro nei corridoi.
In Zoe rivedevo proprio loro.
Coloro che avevano reso la mia vita un incubo per troppo tempo, alle spalle di genitori ed insegnanti.
'Se lo dici a qualcuno ti taglieremo tutti i capelli', mi ripetevano per spaventarmi. Ed io lo ero, terrorizzata.
E così subivo, giorno dopo giorno.
Me la ritrovai ad un palmo dal naso.
Ancora tenendomi il polso con l'altra mano, mi spostò una ciocca di capelli ed avvicinò le labbra al mio orecchio.
Venni investita dal suo intenso profumo.
"Lascia in pace Noah se non vuoi passare dei guai" scandì bene lettera dopo lettera. "Vedi, io sono la sua ragazza e non mi piace quando una stronzetta gli sta intorno" continuò. Rimasi in silenzio ad ascoltarla, senza obbiettare.
Vedevo la cattiveria riflessa nel suo sguardo.
Peccato che non avrebbe assaggiato la mia di cattiveria, almeno non oggi.. Tenendomi ancora bloccata al muro, mi scoppio una bolla ad un centimetro dal naso. "Vedi di fare la brava o ne pagherai le conseguenze".
Mollò la presa, facendomi sbattere la testa contro la parete.
Si rigirò su se stessa e uscì, lasciandomi sola.
Iniziai a tremare come una foglia, mi massaggiai il polso, doloranti a causa della forte stretta. Non avrei dovuto farmi vedere debole da lei.
Finalmente il suono della campanella.
Non seguii per niente le lezioni, avevo la testa intasata da mille pensieri. Forse Noah le aveva raccontato del quasi bacio, per questo ce l'aveva con me.
Odiavo con tutta me stessa Noah, era sempre in mezzo, perché non spiegava alla sua ragazza come stavano realmente le cose? Era lui a cercarmi, non di certo il contrario.
Ero sull'orlo di un precipizio, era arrivato il momento di esplodere, non ce la facevo più.
Meno di un mese, meno di un mese da quando ero arrivata a Philadelphia e già non ce la facevo più, ne succedeva una dietro l'altra.
Avevo lasciato, contro la mia volontà, la casa-famiglia.
Il dr Smith mi aveva abbandonata, pugnalandomi dritto al cuore.
Da lui non mi sarei aspettata un simile abbandono.
Odiavo la famiglia Miller, non erano la mia famiglia.
Poi c'era Noah, mi stava sempre appiccicato, senza motivo, mi stava soffocando, cosa voleva da me?
Abel, chi cazzo era Abel? Come era piombato nella mia vita e per quale motivo quando meno me lo aspettavo me lo trovavo vicino.
Sentivo il bisogno di scappare, mi stava sfuggendo tutto dalle mani, volevo tornare dal dr Smith, subito.
Al termine delle lezioni, mi affrettai ad uscire da scuola.
Il cielo era cupo, il vento soffiava forte e le nuvole erano cariche di pioggia, pronte ad esplodere.
Ed infatti, le prime gocce iniziarono a tamburellare sopra ai tettucci delle auto.
Ad una di queste, era appoggiato Noah, circondato dai suoi amichetti, riconobbi Luke e James, l'altro ragazzo non mi era familiare.
Erano così concentrati a parlare tra di loro che non si accorsero di me, che con passo furioso, mi stavo avvicinando all' auto.
"Noah" lo chiamai.
Proprio in quel momento, dal cielo , partì un veloce fulmine che si scaricò su un vecchio albero lì vicino, facendo tremare tutto intorno a me.
I quattro ragazzi mi rivolsero i loro sguardi attenti e curiosi.
"Victoria, tutto ben.." inizio a parlare Noah.
Non gli feci neanche terminare la frase, scossa da un senso di odio iniziai a sbraitargli contro fuori controllo, liberandomi da tutto il peso che mi portavo dentro in quei giorni.
"Tieni alla larga da me quella pazza della tua ragazza!" lo affrontai avvicinandomi più che potevo al suo viso.
Con lo sguardo lo sfidavo, cercando di fargli credere di essere io quella forte tra i due. "Non le permettere mai più di toccarmi" scandii bene la frase, strillando. Al solo ricordo della bionda che mi teneva stretta per il polso, mi si stringeva lo stomaco.
Noah mi guardava confuso, con una faccia da pesce lesso.
Capivo dallo sguardo con cui mi guardava che era stupito dalla mia sfuriata, davanti a tutti, non se lo aspettava.
Non mi credeva capace di affrontarlo davanti ai suoi amichetti.
James e Luke, in sottofondo, continuavano a ripetermi di darmi una calmata.
Li ignorai completamente, ero pronta ad esplodere come dinamite anche nei loro confronti, non li conveniva mettersi in mezzo.
"E anche tu devi starmi lontano..." lo colpii forte al petto.
"Mi fai schifo, non ti voglio... non ti voglio nella mia vita".
Vidi l'effetto che le mie parole ebbero su Noah, quella luce sempre serena e spensierata, tipica del suo sguardo, si spense all'istante.
Sembrava quasi dispiaciuto dalle mie parole, mi rifiutavo di credere che a Noah quelle parole avessero reamente ferito.
Noah rimase immobile di fronte a me.
Partì un sonoro schiaffo.
Vidi con la coda dell'occhio Luke e James, erano rimasti di sasso dopo il mio gesto.
Noah non aveva reagito, si era portato una mano alla guancia, e delicatamente la massaggiava.
Avevo il respiro accelerato, finalmente mi ero sfogata, avevo fatto uscire tutta la rabbia che da giorni mi portavo dentro.
Lasciai solo Noah sotto alla pioggia, e corsi a prendere l'autobus.
Appena chiusa alle spalle la porta di casa, mi lasciai sfuggire un pianto di rabbia mista a delusione.
Cosa stava succedendo? Cosa stavo facendo della mia vita?
In fila indiana, come dei soldatini, mi si pararono davanti tutti i brutti ricordi, uno ad uno. Succedeva sempre così.
Quando stavo male la mia mente non mi aiutava proiettandomi bei ricordi, tutt'altro, incubi talmente brutti che mi facevano ancora più male.
Così da portarmi sempre più vicina all'orlo del precipizio.
Lacrima dopo lacrima, gli occhi mi si annebbiarono, la mente si spense e tutto intorno a me divenne buio.
L'ultimo briciolo di ragione rimasta, sparì, non ragionavo più a mente lucida. Un istinto, più forte di me, prevalse nella mia testa.
Ringraziai dio per essere sola in casa e corsi in bagno.
Iniziai a rovistare tra i vari cassetti fino a trovare quello che stavo cercando, le lamette di Peter.
Guardai il mio riflesso allo specchio.
Vidi una bambina terrorizzata, aveva lunghi riccioli color rame e le guance paffutelle arrossate.
Piangeva, mi guardava con sguardo terrorizzato.
Le tremavano le labbra, ma riusciva comunque ad implorarmi di fermarmi. 'Ti prego, non farlo, non di nuovo', mi ripeteva singhiozzando.
Mi odiavo, non c'era altra soluzione.
In silenzio, le chiesi scusa, mi chiesi scusa.
Alzai le maniche della felpa sopra ai gomiti, iniziando a ferirmi con profondi tagli. Continuai, e continuai, nonostante le braccia erano coperte da profondi rivoli di sangue. Ero incapace di fermarmi, una volta che avevo iniziato non riuscivo più a smettere. La fredda lama sfiorava la mia pelle calda, tra un lamento di dolore e l'altro. Quando ebbi terminato, ero ricoperta di sangue ovunque.
Durante tutto l'atto brutale, non avevo smesso un secondo di piangere. La pelle bruciava, quasi i tagli fossero stati disinfettati con la benzina. Accesi l'acqua della doccia.
Entrai e mi accasciai contro le fredde mattonelle.
I freschi tagli, a contatto con l'acqua fredda, bruciavano come lava incandescente.
Chiusi gli occhi, stremata lasciando che l'acqua scorresse sopra al mio fragile corpo, portando via quello che rimaneva dei miei incubi.
Mamma, dove sei? Perché mi hai lasciata sola? Mi avevi promesso che non mi avresti mai abbandonata..
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Salve a tutte le appassionate lettrici e lettori...
Non sono solita lasciare un commento al termine del capitolo, ma in questo, mi sento in dovere di farlo.
Nel capitolo appena letto ho trattato due argomenti forti quali il bullismo e l'autolesionismo. Temi che purtroppo ancora oggi sono molto frequenti.
A tutti coloro che si divertono a bullizzare una persona, definita da loro, "più debole", posso solo dire VERGOGNA.
Dovremmo essere tutti amici e non darci contro gli uni con gli altri, imparare a rispettare il prossimo e aiutarlo, non metterlo in difficoltà.
Per chi invece, pratica autolesionismo, vi ricordo che NON E' MAI LA SOLUZIONE AL PROBLEMA, di qualsiasi problema si tratti.
Non fatevi del male, non ve lo meritate.
Trovate il coraggio di parlarne con qualcuno, un amico fidato, un componente della famiglia o perché no, uno psicologo.
Non ascoltate chi dice che andare dallo psicologo è da deboli e da matti, tutt'altro, significa aver preso coscienza ed essere maturi a tal punto da affrontare un problema, nel giusto modo.
Se dovessi averne bisogno, contatta il TELEFONO AZZURRO , le persone che ci lavorano dietro possono aiutarti, non giudicarti.
Grazie per l'attenzione...

Correzione di @eri_b0oks (profilo IG).

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