𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚂𝚎𝚟𝚎𝚗𝚝𝚎𝚎𝚗

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Abel pov's
Oggi mi trovavo a New York per sbrigare del lavoro arretrato, a causa degli studi.
Avevo appena terminato le ultime consegne, quando mi immisi sulla strada per tornare a Philadelphia.
Nemmeno a dirlo, mi ritrovai imbottigliato nel traffico Newyorkese
Per una persona poco paziente come me non era il massimo.
Cazzo, ci avrei impiegato ore a tornare.
Colpii il volante con la fronte, ormai rassegnato.
Mi ritrovavo incasellato dietro ad una miriade di auto senza via di scampo. Di fronte all'auto, sulle strisce pedonali, vidi attraversare una ragazza. Scontato dirlo, la sua particolare chioma rossa catturò all'istante il mio sguardo. Cosa ci faceva Victoria a New York?
Era rannicchiata in un giacchetto che sarà stato due volte più grande di lei, i capelli, a causa del vento, le svolazzavano ovunque.
Perché si trovava qui? E perché io pensavo a lei invece di pensare al modo più rapido per poter tornare in città?
Maledetta curiosità, pensai.
Quella ragazza, che portava con sé segreti ben ancorati alla sua pelle, aveva su di me un potere ipnotico.
Accostai senza pensarci due volte.
Scesi dalla macchina, accuratamente posteggiata, non doveva succedere niente alla mia bambina, nemmeno un graffio o un ammaccatura doveva sfiorarla.
Mi tirai su il cappuccio della felpa nera, sia per ripararmi dal freddo, sia per non rischiare di essere riconosciuto.
Victoria camminava spedita, facendo lo slalom tra i vari passanti, sembrava quasi sapesse che la stavo seguendo.
Non fu facile starle dietro, il numero di persone presenti sui marciapiedi era davvero elevato, riuscire a non perderla di vista fu un impresa ardua.
Eccola, qualche passo davanti a me.
Camminava a testa china, sembrava conoscere bene la strada.
La guardai attraversare la strada a un incrocio e fermarsi di fronte ad un enorme edificio. Che posto era?
La vidi spingere il grande cancello di entrata e svanire poco dopo dietro dietro di esso. Più rimanevo qui, e più la curiosità di correrle dietro aumentava a dismisura. Se solo Noah lo avesse saputo...
Scossi la testa.
Mi girai per tornare alla macchina, a casa mi attendeva una dolce bambolina, non mi andava di farla aspettare.
********
La gran scopata di ieri mi aveva rilassato a tal punto da poter sopportare, di nuovo, l'atroce traffico di New York.
Avevo accostato qualche minuto fa fuori dal grande edificio dove avevo visto entrare victoria il giorno prima.
Perché ero tornato?
Cosa era per me quella ragazza?
Perché se c'era lei di mezzo il mio cervello se ne andava completamente a puttane?
Feci l'ultimo tiro alla sigaretta, buttando il mozzicone fuori dal finestrino. Dovevo entrare.
Dopo aver preso dal pacchetto una gomma, rigorosamente alla menta, scesi dall'auto. Accanto al cancello, mi trovai una targa con su scritto 'istituto Maria Maddalena'.
Mi accigliai.
Che razza di posto era questo?
Spinsi il cancello, ritrovandomi di fronte un giardino in buone condizioni. Voltai lo sguardo incuriosito dal nuovo luogo.
Salii qualche gradino fino ad arrivare al portico.
Cosa facevo realmente qui?
Assurdo.
Decisi di tornare indietro, verso il cancello.
Che si fotta Victoria, io ho di meglio da fare.
Fuori controllo, quando si trattava di lei andavo fuori controllo.
Bussai più volte al portone di ingresso.
Si, ci avevo decisamente ripensato.
Sentii avvicinarsi rumori di tacchi.
Venne ad aprirmi una giovane donna, un esile corpo fasciato alla perfezione da una divisa azzurrina e due gambe lunghe da mozzare il fiato.
"Salve".
Mi accolse con un sorriso a trentadue denti.
La donna aveva più o meno qualche anno più di me, forse superava di poco i trenta, non se li portava per niente male però, anzi..
Inoltre, punto a favore, era bionda, e le bionde..si sa, sono il paradiso sceso in terra. "Ciao, tesoro".
Risposi disinvolto, ammiccando.
Nessuna poteva resistermi, ne ero, purtroppo, consapevole.
La donna arrossì in volto, portandosi una mano sulla guancia, accaldata. "Come posso aiutarla?".
La domanda mi spiazzò, in realtà non ero preparato a dare una risposta, onestamente neanche io sapevo perché mi trovavo lì.
Con la mia solita aria sicura e sfrontata, risposi.
"Oh si, la signorina Victoria Miller".
Chiesi di lei, se ieri era qui sicuramente questa donna la conosceva e avrebbe potuto darmi qualche informazione.
"Oh".
Sussultò, pensosa.
"Mi rincresce dirlo ma nell'istituto non conosco nessuna ragazza con quel nome". Mi rabbuiai, non stavo capendo.
Dovevo entrare, dovevo capire, ma come?
"Mio dio".
Parlò una terza voce alle spalle della bionda.
sulla sogia, affiancando la donna, comparve un uomo sulla cinquantina. L'uomo era un po' robusto, e appoggiati sul naso portava dei buffi occhiali rotondi. Indossava un camice bianco.
L'uomo mi sorrise.
"Tu devi essere Noah".
Affermò, porgendomi la mano.
Noah, possibile che stessimo pensando allo stesso Noah?
Noah, il mio migliore amico?
"Victoria mi ha parlato molto di te e del bel ragazzo che sei...in effetti non mentiva". Ridacchiò.
L'uomo, vedendo che non accennavo a ricambiare la mano, la sottrasse. Si schiarì la voce.
"Vieni, accomodati, così possiamo parlare meglio".
Mi invitò ad entrare.
Non me lo feci ripetere due volte, quest'uomo conosceva Victoria, forse lui mi avrebbe potuto aiutare a capire.
Dopo aver squadrato fugacemente il fondoschiena della bionda, seguii l'uomo in un lungo corridoio le cui pareti erano tappezzate di foto ritraenti gruppi di ragazzi sorridenti.
In una di queste mi sembrò di intravedere Victoria, non ne ero sicuro. Ero sempre più confuso.
L'uomo aprì una porta, facendomi accomodare in un lussuoso e accogliente studio. "Posso offrirti un caffè?".
"Certo, il caffè è la mia droga".
Mi stabaccai, senza permesso, su una poltrona in pelle.
Forse avrei dovuto comportarmi meglio, se Victoria aveva lodato con l'uomo le buone maniere di Noah avrei dovuto sforzarmi almeno un minimo di fingere, così da non insospettirlo.
"Ecco a te".
Mi porse un bicchierino in plastica, fumante, mi sistemai meglio sulla poltrona. "Lascia che mi presenti, Victoria non ti avrà parlato di me, io sono il dottor Smith". Il dottore, anch'esso con i caffè, si accomodò dietro alla scrivania.
Avevo già intuito dal camice e da diversi oggetti presenti nella stanza potersi trattare di un dottore, ma non capivo ancora quale fosse il collegamento tra di lui e Victoria.
"Intanto ci tengo a ringraziarti per essere stato vicino a victoria in questi mesi". Iniziò a parlare.
Mi finsi interessato, e soprattutto a conoscenza dei fatti che mi stava raccontando.
"So che non è una ragazza facile, ma credo sia capibile il suo comportamento dopo quello che ha passato, non credi?"
Le orecchie mi si drizzarono, curiose come quelle di un gatto.
Mi schiarii la voce.
"Mi scusi...non capisco, a cosa si sta riferendo?".
Vidi il dottore incupirsi.
Si tolse gli occhiali, guardandomi dritto negli occhi.
"A te di cosa ha parlato?".
"Beh...".
Mi grattai la nuca.
"Lei mi ha raccontato dei suoi tagli".
Ammisi.
L'uomo si strofinò con i palmi gli occhi.
"Già...".
Lo vidi deglutire faticosamente.
"La perdita della madre l'ha devastata".
Cosa?
Chi aveva perso la madre? Di cosa stava parlando?
In un solo sorso buttai giù il caffè, accartocciando tra le mani il bicchierino. Ero teso e agitato.
"Due tentativi di suicidio...fortunatamente falliti".
Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, pronte a scendere.
"Si, qualcosa mi ha accennato".
Mentii per giusta, così che non si sarebbe sentito in colpa se mi avesse raccontato qualche dettaglio in più.
"Dopo l'accaduto ha passato diversi mesi qui in casa famiglia, poi il trasferimento con un padre che non conosceva e dover ricominciare una vita in una nuova città...non è facile per lei".
Parlava piano, con tono calmo.
La mia mente era completamente annebbiata dalla rabbia.
Mi avevano preso tutti in giro.
In primis Noah, colui che si reputavo il mio migliore amico.
"Fortunatamente ha conosciuto te, mi ha parlato così bene".
Sforzai un sorriso.
Da come il dottor Smith parlava di victoria, era facilmente intuibile quanto lui le fosse legato.
Sentivo la gola secca, non sapevo più cosa dire o fare.
La conversazione fortunatamente venne interrotta da una donna, diversa da quella già incontrata.
"Bene, ragazzo".
L'uomo si tirò su dalla sedia.
"E' stato un piacere, purtroppo il lavoro mi chiama".
Mi venne incontro.
"Torna quando vuoi".
"Stalle vicino e non permettere a nessuno di farle del male".
Mi sussurrò.
Quando uscii dall'istituto ero ancora più confuso di quando ero entrato. Ero soprattutto arrabbiato, averi preso a pungi un muro.
Avevo bisogno di sfogarmi.
Volevo chiamare Noah e sbraitargli contro quanto fosse un amico di merda per avermi mentito.
Sapeva quanto odiassi le menzogne, e che faceva? Mi mentiva.
Dovevo resistere alla tentazione di spaccargli la faccia.
Sbattei la portiera dell'auto.
Bugie, bugie, solo tante e stupide bugie.

Correzione di @eri_b0oks (profilo IG).

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