𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚂𝚎𝚟𝚎𝚗

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Da qualche minuto era suonato l'intervallo.

I miei compagni, ammassati come un gregge di pecore, si erano affrettati ad uscire in cortile, tranne io, ero rimasta sola in classe.

Ero seduta al mio banco e sul mio quaderno stavo scarabocchiando cose senza senso.

"Non puoi uscire e comportarti da persona normale?" disse Noah, prendendomi alla sprovvista.

Gli rivolsi un’occhiataccia.

Era appoggiato allo stipite della porta con le braccia piegate sull'addome.

Alzai il volume nelle cuffiette, magari serviva a fargli capire che non mi andava di parlare, né con lui né con nessun altro, e se ne sarebbe andato.

Noah fece il contrario, mi si avvicinò e si sedette sul mio banco.

Iniziò a sventolarmi una mano sugli occhi così da attirare la mia attenzione, e io sbuffai, togliendomi le cuffiette.

“Che c'è?" chiesi annoiata.

"Ho bisogno del tuo aiuto" disse mentre velocemente mi tolse dalle mani la matita con cui stavo disegnando.

Giusto per darmi fastidio, ovvio.

“No" risposi a priori senza voler sentire come continuava il suo inutile discorso.

“Ti prego..." tentò la strategia degli occhioni, ma con me non attaccava.

"Che vuoi?" chiesi scocciata, vedendo che non era intenzionato a mollare l'osso.

"Devi aiutarmi a passare il prossimo test di letteratura, se non lo passo mia madre mi chiude in casa minimo un mese" piagnucolò.

Assolutamente no.

Già faticavo ad accettare Noah come 'fratello', ancora non avevo digerito il fatto di doverlo sopportare ogni mattina in classe, figuriamoci doverci interagire anche nel pomeriggio, quando facevo di tutto pur di non incrociarlo in casa.

"Non se ne parla" risposi secca, togliendoli bruscamente la mia matita dalle mani.

"Victoria, ti scongiuro" mi pregò.

Sbuffai, ancora qualche minuto e la campanella sarebbe suonata, e io mi sarei finalmente liberata di lui.

Noah rimase lì, fermo, a fissarmi, come un cagnolino smarrito.

“D'accordo.." cedetti, accettando la sua proposta.

"Però..." aggiunsi subito dopo "In cambio mi devi un favore".

"Oh si, tutto quello che vuoi....grazie, grazie, grazie!".

Non me ne accorsi, fu rapido nel strapparmi un leggero bacio sulla guancia.

“Ti adoro, sorellina".

Il mio sguardo, dapprima schifato a causa del gesto, divenne incazzato nero, lo avrei strangolato.

Noah, notando il mio sguardo e capendo che non era al sicuro, scappò in corridoio, ridendo come un pazzo.

Ci trovava proprio gusto nel darmi fastidio.

Le altre lezioni della mattinata volarono, un po' di chimica e filosofia e finalmente arrivò anche l'ora dell'ultima campanella.

In queste ultime ore il tempo fuori era cambiato.

Se stamattina Philadelphia si era svegliata baciata da un tiepido sole, adesso il cielo si era coperto e si era alzato un leggero venticello.

Camminavo tranquilla nel cortile, passando tra gli studenti e stringendomi il più possibile nella felpa per non sentire il freddo.

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