𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚃𝚠𝚎𝚕𝚟𝚎

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Noah pov's
Stavo finendo di prepararmi prima di uscire di casa, insomma, un tipo carino come me, guardato da tutte le ragazze, non poteva certo permettersi di andare a scuola vestito male.
Mentre aggiustavo la collana d'argento che stamattina avevo deciso di indossare, sentii mia madre, con tono a dir poco preoccupato, chiamare il nome di Victoria.
Chi sa che aveva combinato oggi quella...
Sentii la porta di ingresso sbattere.
Lasciai perdere la collana e uscii dalla stanza per capire cosa stesse succedendo. A due a due scesi i gradini, fino ad arrivare in cucina.
Lì, trovai mia madre, come sempre d'altronde a questa ora, con aria molto ansiosa mentre guardava, da dietro le tendine, la strada davanti casa.
"Mamma?" richiamai la sua attenzione.
"Oh, Noah...", sobbalzò, portandosi una mano al petto.
"Non ti ho sentito arrivare" spiegò.
"Fai colazione?" mi chiese poi.
"Dove è andata Victoria? Cos’è successo?" le chiesi invece io, sviando il discorso.
"Non lo so..." la vidi mettersi le mani tra i lunghi capelli e sedersi: era stanca.
Sembrava così abbattuta e delusa...
"È uscita sbattendo la porta, con sé non portava né zaino né altro, solo dio sa cosa passa per la testa di quella ragazza".
Cosa aveva in mente Victoria e dove stava andando?
Non ci pensai due volte, stampai un veloce bacio sulla guancia a mia mamma, presi di scatto la felpa appoggiata sullo schienale della sedia, le chiavi dell'auto dalla mensola ed uscii.
"Vado a cercare Victoria" avvisai mia madre.
Pensa Noah, dove potrebbe essere andata?
Sicuramente, visto il brutto tempo, non si sarebbe allontanata a piedi, perciò avrei dovuto dirigermi verso la fermata di autobus più vicina.
Salii in macchina, collegai in fretta il mio cellulare alla radio, non andavo da nessuna parte senza un po’ di musica, e dando gas sull'acceleratore, partii.
Guidai, volgendo di tanto in tanto il viso verso i finestrini, sperando di vedere Victoria camminare in parte alla strada.
Niente, come scomparsa.
Il cielo, coperto da grandi nubi, iniziava sempre più ad intensificarsi di nero, da qui a poco si sarebbe scatenata una tempesta.
Dove cazzo era andata?
Stavo iniziando a perdere le speranze, in strada avevo incontrato diverse persone, ma nessuna era Victoria.
Stavo prendendo il cellulare per scrivere a mia madre che sarei tornato indietro non avendola trovata, quando..beccata!
La vidi, con un cappuccio nero calato sulla testa, salire su un autobus.
Non scesi per fermarla, non suonai il clacson per attirare la sua attenzione, decisi di aspettare.
L'avrei seguita, e avrei visto dove andava e per fare cosa.
Guidai molto, veramente tanto, andai fino alla stazione degli autobus, da qui la vidi salire su un’altro, diretto a New York, e decisi di seguirla anche lì.
Durante il tragitto iniziò a piovere, e più volte, a causa della scarsa visibilità e dall'intenso traffico, rischiai di perdere l'autobus.
Ero stanco, non che ne nelle notti precedenti avessi dormito poi così bene.
Questa situazione con Victoria non mi faceva chiudere occhio, un attimo era persino dolce e carina, e l'attimo dopo mi sputava addosso tutto il veleno che aveva in corpo.
Mio padre era disperato.
Qualche sera fa, passando distrattamente vicino al suo studio, avevo sentito una conversazione con mia madre.
Avevo intuito dal tono di voce quanto fosse demoralizzato.
Continuava a ripetere a mia madre di aver fallito come padre con Victoria, per quanto si sforzasse lei non aveva intenzione di muovere un passo verso di lui.
E lui soffriva per questo, ci stava male, si sentiva un fallito.
In quel momento avrei voluto abbracciarlo, entrare nella stanza, abbracciarlo forte e dirgli, che no, non era un cattivo padre, era il migliore del mondo.
Certo, non potevo biasimarlo per aver tradito mia madre e aver avuto una figlia con un'altra donna.
Ma non mi riguardava, era una questione loro.
Io potevo solo giudicarlo come padre, e in questo, non aveva mai fallito.
Quando mia madre seppe che mio padre, suo marito, aveva una figlia illegittima, si chiuse in sé stessa.
Per due giorni non parlò, né mangiò.
Rimase chiusa nella sua stanza, senza vedere nessuno.
Il terzo giorno poi, si alzò, si vestì e truccò come se fosse stata invitata a qualche gala speciale, scese in cucina, dove io e mio padre, in silenzio, stavamo facendo colazione.
La vedemmo entrare, un sorriso a trentadue denti stampato in volto.
'Non mi importa se hai un altra figlia non mia...', si rivolse a mio padre. 'La amerò come se fosse mia e saremo una famiglia felice'.
Vidi  la luce negli occhi di mio padre riaccendersi.
Ci abbracciamo tutti quanti assieme, eravamo felici, pieni di speranze. Non sapevamo realmente a cosa andavamo incontro.
Si, Peter ci aveva avvisati che con Victoria non sarebbe stato facile, ma non credevo fino a questo punto.
Immerso tra un pensiero e l'altro, non mi accorsi che l'autobus, a pochi metri da me, si era fermato, e Victoria, stava scendendo.
Parcheggiai poco distante, non volevo che si accorgesse che la stavo seguendo. Cercando di far il meno rumore possibile, la raggiunsi.
Avviandosi per una stradina sterrata, con ai lati una folta vegetazione, si stava dirigendo in un luogo a me del tutto sconosciuto.
Ora basta, questo gioco era durato fin troppo.
Ero ormai deciso a farmi scoprire, l'avrei chiamata e finalmente si sarebbe accorta di essere stata seguita.
Feci per aprire bocca, ma mi bloccai all'istante.
'Cimitero di Woodland', notai scritto su un cartello poco più avanti.
Ad un tratto tutto mi fu chiaro.
Stava andando a trovare sua madre...
Mi sentii immediatamente in colpa per averla seguita e non aver rispettato la sua privacy. La vidi, nascosto dietro ad un albero, varcare, con molta lentezza, il cancello di entrata.
Decisi di tornare alla macchina, l'avrei aspettata lì e successivamente l'avrei riaccompagnata a casa.
Mi strabaccai sul seggiolino dell'auto.
Caspita, fuori faceva veramente freddo.
Accesi il cellulare, per vedere possibili messaggi.
Tranne uno di mia madre, a cui risposi dicendole di stare tranquilla, gli altri 10 erano tutti da parte di Zoe, in ogni singolo messaggio chiedeva dove fossi finito.
Quanto poteva essere pesante quella ragazza?
Spensi il cellulare, gettandolo da qualche parte nel veicolo.
Passarono minuti, minuti interminabili, una canzone dopo l'altra.
Passò la prima ora da quando mi trovavo lì, e di Victoria neanche l'ombra.  Iniziai a preoccuparmi.
Si erano fatte ormai le undici di mattina.
Dovevo scendere e andarla a cercare, basta.
Mi strinsi nella felpa, fortunatamente non pioveva da un po', ma in compenso si era sollevato un grande vento.
Cercando di ricordarmi la strada, tornai dove questa mattina avevo lasciato Victoria. Sentii un groppo in gola quando mi ritrovai davanti al grande cancello tutto arrugginito.
Se Victoria mi avesse visto arrivare si sarebbe incazzata come una iena, ma ero troppo preoccupato, neanche sapevo se realmente fosse ancora lì.
Forse aveva capito che la stavo seguendo e aveva trovato un modo per scappare.. senza indugiare un secondo di più, entrai.
Sentivo le foglie scricchiolare sotto ad ogni mio passo.
Poi la vidi, e fui colpito da un senso di tristezza misto a malinconia.
Povera ragazza, quante doveva averne passate.
Se ne stava lì, tremante, in ginocchio, sulla tomba.
Nel silenzio del luogo, rimbombavano i suoi singhiozzi.
"V...Victoria" pronunciai con voce tremante.
La ragazza si voltò di scatto, aveva i lunghi capelli rossi appiccicati sul volto a causa delle troppo lacrime, gli occhi lucidi e rossi.
Vidi l'odio scorrergli negli occhi.
Mi fu subito chiaro, non mi voleva lì.
"Tu...tu cosa ci fai qui?" si sollevò da terra, aggiustandosi i vestiti sporchi di fango.
"Victoria, io..." tentai di spiegarle la situazione, ovviamente senza successo, non mi fece terminare di parlare.
"Ancora non hai capito? Cos’è che non ti è chiaro?" alzò la voce, avvicinandosi pericolosamente a me.
Lentamente, indietreggiai.
"Devi starmi lontano, tu e tutta la tua cazzo di famiglia".
Come un abile felino, mi saltò vicino, e senza che potessi accorgermene, iniziò a colpirmi il petto con una raffica di pugni.
Certo, erano pugni di una ragazzina, non che mi facessero male.
"Vattene, vattene, vattene!" mi gridava contro.
Era fuori controllo, riprese a piangere e colpirmi.
Piangeva e mi colpiva, senza fermarsi un istante.
"Ti odio, mi hai capito? Ti odio" continuava a piangere.
Le sue parole non avevano effetto su di me, non più almeno, erano solo le parole di una ragazza fragile e ferita, che aveva paura.
Victoria non pensava realmente quelle cose, ne ero certo.
"Victoria, smettila" le sbraitai in faccia, scuotendola per le spalle.
Sembrò rimanere spiazzata dal mio gesto.
Si calmò all'istante, tremava come una foglia e faceva grandi respiri nell'intento di tranquillizzarsi.
"Apri gli occhi, cazzo".
Adesso ero io quello che stava gridando.
"Tutti, e dico tutti, tengono a te..." iniziai il mio discorso.
"Peter ogni giorno tenta di fare il buon padre, si sta facendo in quattro, e tu lo respingi giorno dopo giorno".
La vidi intimorirsi dopo le mie parole.
Sembrò calmarsi, ora mi ascoltava in silenzio, senza battere ciglio.
"Mia madre, pensa a mia madre, credi che non soffra? Cazzo, se soffre", mi scappò di tirare un forte pungo.
Fortunatamente vicino avevo un albero, colpii quello.
"Suo marito, mio padre, l'ha tradita e ha avuto una figlia con un'altra donna, pensi che mia madre non abbia sofferto per questo? Pensi che io l'abbia presa bene scoprendo di avere una sorella mai vista né conosciuta?" .
Ero fuori di me, le parole uscivano incontrollate dalle mie labbra come un mare in tempesta.
Victoria mi guardava in silenzio, forse, nel suo sguardo, avevo intravisto un accenno di paura.
Fortuna che il cimitero era vuoto, nessuno avrebbe voluto assistere ad una scena come questa.
"Tutti noi, dal primo giorno che sei arrivata, abbiamo cercato di farti sentire il meno a disagio possibile...sapevamo cosa avevi passato e volevamo provare a renderti la vita migliore".
Sentii di essere sull'orlo di una crisi di pianto.
L'indifferenza di Victoria mi faceva male.
"E tu ci respingi, e ci odi, da quando sei entrata dalla porta...e io sto male per questo specialmente perché..." mi bloccai.
"Perché?" mi chiese lei, sottovoce.
Deglutii rumorosamente.
"Perché dal primo giorno in cui sei arrivata, ti ho voluto bene, come se fossimo cresciuti assieme".
Le aprii il mio cuore.
Non so se fu un bene o un male quel gesto, non avevo idea di come avrebbe potuto reagire.
Abbassai d'improvviso lo guardo sulle mie scarpe, non riuscendo più a sostenere il suo così deciso e penetrante.
Calò un gran silenzio intorno a noi.
Io non parlavo, lei non parlava.
Come poteva non dire niente dopo tutto ciò che gli avevo detto? Come poteva essere così fredda ed insensibile?
Mi sentii preso in giro.
"Rimani a crogiolarti da sola nel tuo dolore, me ne torno a casa"
Senza guardarla in faccia, mi girai su me stesso, e iniziai a camminare verso l'uscita. Avevo parlato troppo, non dovevo aprirmi così tanto con lei, non se lo meritava. Purtroppo però, tutto quello che le avevo detto, era vero.
"Noah, aspetta..." la sua voce spezzo l'aria tersa.
Mi bloccai sui miei passi all'istante.
Feci per girarmi verso di lei.
La intravidi correre verso di me, e in men che non si dica, mi ritrovai le sue braccia al collo.
Scoppiò a piangere, attaccata al mio petto, bagnandomi la felpa con le sue lacrime.
La strinsi a me come se fosse la gemma più preziosa sulla faccia della terra e la dovessi proteggere a tutti i costi.
"Perdonami" riuscì a dire tra un singhiozzio e l'altro.
Le intimai di fare silenzio, mentre le carezzavo i lunghi capelli e di tanto in tanto le lasciavo piccoli baci sulla nuca.
Le mie lacrime si mischiarono alle sue.
Aspettavo da tanto questo abbraccio, non mi sembrava reale.
Rimanemmo così, abbracciati, per un attimo di tempo che mi sembrò infinito, poi, purtroppo, la pioggia ci sorprese, e fummo costretti a correre in auto per ripararci.
In auto parlammo molto.
Ci conoscemmo a fondo, e questo riuscì solo ad intensificare ancora di più il nostro rapporto. Sentivo che, finalmente, qualcosa era cambiato, in meglio aggiungerei. Tornammo a casa nel pomeriggio.
Entrammo in casa trovando ad aspettarci in sala mio padre e mia madre. Senza dire niente, ci fecero un mezzo sorriso, i loro sguardi parlavano più di mille parole.
Quella sera, se pur Victoria non scambiò mezza parola con i miei genitori, vidi comunque che qualcosa era cambiato, non lo percepii solo io, anche loro lo avevano intuito.
"Noaaaaaaaah" Emily mi corse incontro, saltandomi in braccio.
"Hey, mostriciattolo" la salutai, pizzicandole una guancia.
"Non sono un mostriciattolo" mise il broncio.
Risi di gusto alla sua espressione, rimettendola per terra.
"Victoria, vuoi vedere i disegni che ho fatto all'asilo?"
"Certo, piccola"
Emily, dopo uno strillo di contentezza, prese Victoria per mano, ed insieme si allontanarono al piano superiore.
Da oggi in poi le cose sarebbero andate meglio, ne ero certo.

Correzione di @eri_b0oks (profilo IG).

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