𝚃𝚠𝚎𝚗𝚝𝚢-𝚜𝚎𝚟𝚎𝚗

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Cosa intendeva Abel ritendendomi 'la sua rovina'?, io proprio non lo riuscivo a capire.

Ogni volta che pensavo alla nostra vicinanza, a quel tocco leggero sulle mie labbra, alla sua rauca voce e a quelle frasi, un brivido scorreva lungo tutta la mia schiena.

Ero confusa...

Avrei voluto tanto trovare il coraggio di andare da lui e costringerlo a dirmi una volta per tutte come stavano realmente le cose e soprattutto cosa cercasse da me ma solo al pensiero mi tremavano le gambe.

Dopo che mi aveva riportato a casa l'altra sera era sparito, non si era neanche più rivisto a giocare alla play con Noah, evaporato proprio.

Solo stamattina lo avevo incontrato per caso in corridoio, insieme ad un gruppo di altri studenti, avevo così provato ad accennargli un flebile sorriso in segno di saluto.

Pessima idea.

Non mi aveva calcolata, anzi, mi era sembrato che mi avesse persino lanciato uno sguardo arrabbiato.

Io questo ragazzo proprio non riuscivo a capirlo, mi faceva uscire pazza con i suoi molteplici sbalzi d'umore.

A Olivia non avevo raccontato niente del giro in auto con Abel, non avrebbe sicuramente approvato e mi avrebbe riempito la testa con mille paranoie.

Ero stata zitta anche con Noah, ero sicura che se lo avesse saputo avrebbe decapitato l'amico, a lui avevo inventato che ero uscita senza avvisarlo per correre a casa di Olivia in preda ad una crisi isterica.

Sembrava essersela bevuta, non aveva fatto ulteriori domande, melio così.

Proprio Noah, il ragazzo dai capelli castano, con sguardo disinvolto, senza bussare alla porta della mia stanza, dopo che per un miliardo di volte gli avevo ripetuto che doveva farlo, era entrato nella mia andando a sedersi sulla sedia con le rotelle della scrivania.

Eravamo rientrati circa un ora fa da scuola.

Lui, come quasi ogni pomeriggio, era corso sul retro per fare qualche tiro a canestro.

Era ancora tutto quanto e mezzo di sudore, vestito ancora con gli abiti con i quali si era allenato.

Aveva tutti quanti i capelli arruffati e il petto gli si muoveva molto velocemente su e giù.

Anche in queste condizioni restava un bellissimo ragazzo.

Io avevo optato invece per una doccia calda e avevo indossato una comoda tuta prima di buttarmi sul letto per ripassare biologia, l'indomani avrei avuto un interrogazione.

Chiusi il libro mettendolo da parte poi guardai Noah con finta aria schifata, giusto per farlo arrabbiare un pochino.

"Puoi uscire?, puzzi da morire", lo brontolai tappandomi il naso.

Come risposta ottenni un dito medio.

"Su dimmi, cosa c'è?", lo incitai a parlare, avevo capito dal suo strano comportamento che era qui per dirmi qualcosa, ma ancora non aveva osato aprir bocca.

"Volevo terminare il discorso dell' altra sera, io non voglio che tu pensi male di me...", iniziò a parlare con sguardo puntato verso l sue scarpe.

"Ok, dimmi tutto", drizzai gli orecchi sull' attenti assumendo una posizione composta sul letto.

Noah prese tempo.

"Noah...", lo incitai.

Sbuffò buttando gli occhi al cielo, fuori dalla finestra, alle sue spalle, i primi lampioni della serata si accesero illuminando la buia strada.

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