𝙲𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚂𝚒𝚡𝚝𝚎𝚎𝚗

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Cara Victoria Miller, è con grande dispiacere che noi, dell'istituto 'Maria Maddalena' le comunichiamo che i fondi dedicati alla sua terapia, per motivi privati, sono stati tagliati.
Ci rincresce darle questa spiacevole notizia.

Questo era ciò che riportava la lettera consegnata da Margaret.

L'avevo letta e riletta finendo per sgualcire la pagina.

La lettera proveniva da Ney York, dalla casa famiglia in cui avevo vissuto per mesi.

Nella lettera mi avevano comunicato che non si sarebbero più occupati dell'acquisto dei miei farmaci.

Fino ad ora i farmaci che assumevo per ansia, attacchi di panico ed altri motivi, mi venivano spediti da loro.

Da adesso, se avessi voluto continuare a prenderli me li sarei dovuta comprare.

La mia terapia costava veramente tanto, ed io non avevo tutti quei soldi per poter sostenere una spesa così alta.

Ero anche troppo orgogliosa per chiedere aiuto a Peter.

La campanella di fine lezione suonò.

Avevo passato tutta l'ora in banco con Noah, lo avevo aiutato nel prendere appunti.

Voltai lo sguardo fuori dalla finestra.

Tirava un forte vento, tante foglie colorate svolazzavano di qua e di là.

"Victoria, ci sei?".

Noah mi sventolò una mano davanti agli occhi.

"Si, cosa stavi dicendo?" farfugliai.

"Oggi sei davvero distratta" ridacchiò.

"Già" sospirai, poggiando il mento sulla mano.

Non riuscivo a smettere di pensare alla lettera.

"Più tardi torni con me?" mi chiese poi.

"Mh.. no, ho delle commissioni da sbrigare".

Tornare a New York, ecco cosa avevo di tanto importante da fare.

La professoressa entrò in classe, iniziando a fare l'appello.

Il resto della mattinata volò.

Forse ero talmente in ansia che mi sembrò che il tempo scorresse molto più velocemente.

Al suono dell'ultima campanella, riempii frettolosamente lo zaino, chiusi la giacca e, senza aspettare Noah, che mi chiamava da lontano, scappai da scuola.

Presi l'autobus che conduceva a New York, e nel tragitto ne approfittai per schiacciare un pisolino.

L'autobus si fermò dopo quasi un’ora, a qualche isolato di distanza dall'istituto.

Mi strinsi forte nel cappotto.

Il freddo gelido mi faceva battere i denti.

Iniziai a camminare per i marciapiedi affollati della grande mela.

Nonostante tutto era sempre un piacere tornare nella mia città, dove ero nata e cresciuta.

Raggiunto l'istituto, spinsi il grande cancello, lo varcai, superai il cortile, sempre ben curato, e suonai alla porta d'ingresso.

Inizialmente, nessuno rispose, dovetti attendere qualche minuto.

Una donna bassa, un po' robusta, carnagione olivastra e lunghi capelli neri, legati in una perfetta coda alta, venne ad aprirmi, sorridendo.

"Buongiorno, come posso aiutarla?" mi accolse con una frase imparata a memoria, chissà quante volte la ripeteva in una giornata.

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