DUE

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Mi sveglio che è da poco passata l'alba, ma rimango accoccolata nel sacco a pelo finché mia madre non bussa alla porta.

«È il gran giorno, tesoro!» esclama, con la solita vitalità degli ultimi giorni.

"Il pessimo giorno!" penso io.

Mi tiro su lentamente, aspettando che mi passi il mal di schiena. Sollevo la tapparella e vengo avvolta dalla luce del mattino. Il Colorado è bellissimo quando è bel tempo, ma ora vorrei che venisse un acquazzone, o una nevicata improvvisa. Almeno renderebbe l'ambiente più deprimente, e la mia partenza meno malinconica di conseguenza. Invece, stamattina il sole si riflette tra le foglie brunite dell'autunno. Una vista bellissima, che tra poche ore non rivedrò più.

Mi vesto e infilo le ultime cose nello zainetto. Prima di scendere di sotto, lancio un ultimo sguardo alla mia camera, ormai completamente spoglia e silenziosa. Mi mancheranno da morire queste quattro mura, che mi hanno abbracciata ogni notte per più di sedici anni. Passo una mano sullo stipite come ultimo gesto di saluto e mi richiudo la porta alle spalle.

Scendo al piano di sotto e appoggio lo zaino dietro la porta di casa, in mezzo alle altre tre valigie. Mamma mi saluta con un bacio sulla guancia; poi arriva anche Dan, che ha appena chiuso una telefonata.

Alle undici e quattordici esatte, il campanello della porta suona. Il nostro taxi è arrivato. Il tassista ci aiuta a caricare le valigie, e in cinque minuti siamo già pronti a partire. Un minuto dopo, una seconda macchina parcheggia dietro il taxi e ne scendono i signori Smith, i nuovi proprietari della casa. Mamma, in modo volutamente eclatante, consegna alla signora Smith le chiavi di casa, e stringiamo loro la mano. Io lo faccio giusto per educazione, ma in realtà vorrei staccargliele quelle mani, che modificheranno la mia casa da cima a fondo e trasformeranno sicuramente la mia stanza in una cameretta per marmocchi urlanti o, nella migliore delle ipotesi, in uno studio puzzolente di tempere e acquerelli (la signora Smith dipinge, orribilmente).

So bene che non è solo colpa degli Smith se ci stiamo trasferendo, ma sono stati loro a comprarci la casa quindi, in parte, lo è di sicuro. E perciò rientrano tra gli obiettivi della mia furia.

«All'aeroporto, grazie» dice Dan al tassista.

«Sì, signore» risponde lui, ingranando la marcia.

Mentre il veicolo si infila in strada, io mi volto, inginocchiandomi sul divanetto posteriore. Gli Smith si stanno abbracciando.

«Hetty, siediti composta» mi rimprovera gentilmente la mamma, accanto a me.

«Sì, solo un attimo» ribatto.

Arriva il camion dei traslochi. La signora Smith saltella eccitata. Mamma mi darebbe un ceffone, se sentisse quello che sto pensando di loro in questo momento. Quelli sono come due cuculi: hanno deposto un uovo nel nostro nido, e ci hanno anche sbattuti fuori! Quasi mi pento di non aver lasciato loro un segno della mia presenza (scrivere "HETTY È STATA QUI" sul muro di camera mia con la bomboletta spray sarebbe stata la ciliegina sulla torta).

Alla fine mi siedo composta e mi allaccio la cintura. Mentre i miei chiacchierano col tassista che, a quanto pare, non è capace di farsi gli affari suoi, io mi appoggio al finestrino e guardo la mia città scorrermi accanto. Gli alberi bruni, le case di mattoni con i vialetti d'accesso, i piccoli negozi, le bandiere a stelle e strisce che sventolano fiere sui tetti. Odio dover salutare tutto questo...

La fermata successiva è il parcheggio dell'Aeroporto Municipale di Colorado Springs, dieci chilometri a sud-est della città. Le ultime case sono scomparse dalla mia vista.

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