SETTE

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Per un attimo il mondo sembra farsi inverosimilmente silenzioso, mentre registro ciò che mi ha detto.
"Fibrosi cistica... Fibrosi cistica..."
Poi ci arrivo. Fibrosi cistica! Il video di I Lived. Le informazioni che ho cercato in proposito su Internet. Immagini che mi hanno tenuta sveglia la notte.
È come se mi crollasse addosso un palazzo.
"No. No! NO!" Mi copro la bocca, inorridita. "No, Dom!"
Lo guardo infilarsi l'inalatore facendo passare l'elastico dietro la testa. Si sistema la mascherina sul viso e preme un pulsante. Sul display della macchinetta si accende un conto alla rovescia di sette minuti. Si sente un lieve rumore di bomboletta spray, mentre la polvere antibiotica passa dalla fialetta al suo apparato respiratorio.
«Ecco, molto semplice» mi dice, la voce deformata dalla mascherina. «Tra sette minuti ho fatto. Puoi accendere la tivù, se vuoi. Il telecomando è sulla scrivania.»
Ma non lo faccio. Per i minuti successivi non gli stacco gli occhi di dosso. Lo guardo inspirare ed espirare a un ritmo regolare, ma meno profondo di quello di un ragazzo perfettamente sano, e interrotto da qualche colpo di tosse.
Quando mancano poco meno di due minuti, si gira verso di me.
«Posso chiederti un favore, Hetty?»
«Certo» mormoro. «Dimmi.»
Da un colpo di tosse. «Mi dai qualche colpetto qui dietro, per favore?» Si appoggia il dorso della mano dietro la schiena all'altezza dei polmoni. «Piano, eh!»
«Okay.» La voce quasi non mi esce dalle labbra. Per poco non scoppio a piangere.
Solo adesso mi rendo conto di che idiota sono stata. L'ho respinto, l'ho tenuto a distanza per tutti questi giorni e, nonostante tutto, lui ha continuato a voler stabilire un legame con me, quando sarebbe stato suo diritto mandarmi al diavolo in partenza.
"Oh, Dom, scusami."
Ma forse questo segnerà una svolta: da oggi le cose tra noi due cambieranno, in meglio.
Il conto alla rovescia si spegne con un paio di bip. Dom svita la fiala buttandola nel cestino, poi si toglie la mascherina e appoggia l'inalatore sopra la macchinetta, presumibilmente per ricaricare la batteria.
«Torno subito.»
Esce dalla camera ed entra in bagno chiudendosi la porta alle spalle. Mi vergogno un po' a origliare, ma lo stesso tendo l'orecchio.
Vorrei non averlo fatto.
Lo sento tossire forte, quasi come se stesse vomitando. Da qualche colpo deciso, sputa, e poi ricomincia. Alla terza volta non ce la faccio più e mi tappo le orecchie.
"Perché, Dom?" piagnucolo tra di me. "Perché è successo a te?"
Sento la porta del bagno aprirsi con il rumore dello scarico del lavandino.
«Bene, il difficile lo abbiamo fatto» dice.
Apre di nuovo il cassetto e prende diverse pastiglie.
«Ora qualche medicina giornaliera, e abbiamo fatto.» Si infila in bocca le pastiglie e le manda giù con un bicchier d'acqua
«Ecco fatto, finito. Tutto qui.» Prende il telecomando e accende la televisione. «E ora, Netflix! Che ci guardiamo? O preferisci la Playstation?» Indica la console sotto il televisore.
«Va bene Netflix» dico con un filo di voce. «Decidi tu.»
Si mette a fare zapping in giro a caso.
Ma come fa? Come può reagire come se niente fosse a una cosa così grave come la sua malattia?
Gli tolgo il telecomando di mano e lo appoggio sul letto. Lui mi guarda.
«Dom, perché non mi hai mai detto che hai la fibrosi cistica?» Quasi non riconosco il tono della mia voce.
Sorride. «Be', non è esattamente la prima cosa che dico, quando mi presento a qualcuno. In genere comincio con il nome; poi l'età, la città, gli interessi personali...»
«Non sono in vena di ridere!» lo interrompo.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«Il tuo atteggiamento è sbagliato!» esclamo, sperando che mi aiuti a trattenere le lacrime che mi pungono gli occhi. «Come puoi startene lì a ridacchiare come se niente fosse, quando in realtà hai...» Le parole mi muoiono in bocca. Non riesco più a controllarmi... E la diga cede di botto. Lo stringo a me in un abbraccio.
«Ehi...» sussurra.
Lo stringo più forte, appoggiandogli la fronte sulla spalla. Cerco di non piangere, ma non è così semplice.
Lui mi abbraccia stretta e mi accarezza la schiena. Un brivido inebriante mi percorre tutto il corpo, placando lievemente la mia paura.
«Credevo che avremmo passato una serata divertente...» fa, senza lasciarmi andare.
«Dom, mi dispiace» sussurro.
«Per cosa?»
«Per tutto questo.» "E per come ti ho trattato."
«Non capisco...»
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto...»
Le poche cose che ricordo sulla fibrosi cistica mi fanno quasi impazzire. So solo che è una malattia genetica che colpisce diversi organi interni; comunque i polmoni, nei quali si accumula un eccesso di muco, che rischia di infettarsi e/o provocare insufficienza respiratoria. In genere, chi ne è affetto vive mediamente non più di quarant'anni. Ma la metà non è tanto fortunata.
"Oddio, Dom..."
«Stai calma, Hetty» dice. «Va tutto bene; sto bene, non preoccuparti per me.»
«No, non stai bene» ribatto triste, probabilmente non le parole più adatte in una situazione del genere.
«E invece sì.» Si tira indietro, guardandomi radioso. È davvero carino.
«E come fai a dirlo?» mormoro.
Prende il telecomando sul letto. «Ora metto qualcosa su Netflix e ne riparliamo.»

Facciamo zapping per diversi minuti, poi decidiamo per un vecchio episodio di Big Mouth. Imbarazzante, ma almeno sdrammatizzerà la situazione.
Mi siedo sul letto e Dom sulla sedia girevole della scrivania, ma si sposta fino a starmi praticamente attaccato.
Verso metà episodio, lui intuisce la mia impazienza riguardo la sua malattia, così abbassa il volume.
Per un po' parliamo della sua malattia in generale. A lui l'hanno diagnostica che era ancora neonato, quindi sono più di sedici anni che ci convive. E pensare che io non sopporto che un raffreddore mi duri più di una settimana...
«Come hanno fatto a diagnosticartela?»
«Hanno cominciato con il prelievo del sangue, quello che fanno a tutti i neonati. Esaminando il mio, era palese che qualcosa non andasse: avevo livelli troppo alti di cloro. Così sono passati al test del sudore, e hanno visto che anche quello era pieno di cloro. A quel punto sono arrivati al test genetico, e hanno scoperto che i miei erano portatori sani del gene, e che io ero affetto dalla malattia.»
«Quindi dipende dai genitori?» chiedo.
«Se i due genitori sono entrambi portatori del gene, nel venticinque percento dei casi il figlio nasce con la fibrosi cistica.»
«Sì, ma questa è sfiga...»
«Non posso fargliene una colpa» risponde. «Semplicemente si sono conosciuti e innamorati. Il caso ha solo voluto che nascessero entrambi portatori del gene. Prima della mia diagnosi, non sapevano nemmeno di esserlo.»
«E dici che, se lo avessero saputo in anticipo, avrebbero rischiato lo stesso di fare un figlio?»
"Merda... questa potevo proprio risparmiarmela!"
Lui sembra pensarci su. «Non lo so, sai? Credo di non averglielo mai chiesto.»
«Scusami, non volevo...»
«Figurati, stiamo solo facendo una conversazione amichevole.»
«Va bene, ma scusa lo stesso. Quali sarebbero i sintomi?»
«In genere sono comuni a tutti, però dipende anche da soggetto a soggetto. Per quel che mi riguarda, sembra sempre di respirare con una maschera antigas in faccia. E se provo a farlo troppo profondamente, fa male.»
Stringo i denti.
«Poi, cos'altro...» prosegue. «Tossisco spesso, come hai notato; e a volte può capitare che mi venga un attacco. Inoltre, cresco meno rispetto agli altri ragazzi, e metto su peso con molta difficoltà.»
«E come fai a stare in piedi?»
«Dieta ipercalorica, unita a una gran fame.»
«Accidenti... È difficile?»
«Non così tanto: un paio di spuntini giornalieri extra, e un po' più di cibo nel piatto. Poi prendo una medicina apposita. Sono fiero di dirti che, dall'inizio di quest'anno, ho già messo su ben tre chili!»
A essere sincera, penso che debba essere uno sballo poter mangiare tutto quello che si vuole senza ingrassare, ma non glielo dico. Sono certa che lui farebbe volentieri a cambio con la possibilità di non avere problemi di salute.
«E ogni quanto devi fare questa cura?»
«Due volte al giorno. La mattina prima di andare a scuola e la sera dopo cena; o quando torno a casa, se esco.»
Appoggio la testa sulla sua spalla. «Non hai idea di quanto mi faccia male sentirti dire tutto questo» dico con un filo di voce.
«E a me dispiace che faccia stare male più te che me» risponde.
«Perché dici così?»
«Perché io mi sento fortunato» sorride. «La mia è una forma poco grave di fibrosi cistica: ho avuto solo due collassi in sedici anni, e nemmeno serissimi. Non ho mai avuto insufficienze respiratorie; non ho problemi intestinali, o al pancreas, e non sono nemmeno diabetico. Il mio medico dice che, per le mie condizioni, ho una delle aspettative di vita più alte al mondo. E sto bene.» La sua espressione è radiosa. «E anche se non fosse così, anche se dovessi passare diversi periodi in ospedale, e avere seri problemi di salute; non potrei comunque fare a meno di sentirmi fortunato, perché la mia vita è meravigliosa, così com'è.»
Gli sorrido triste, ma abbasso lo sguardo.
«Non la pensiamo allo stesso modo» mormoro.
«Non è una bella vita?» mi chiede, come se fosse palese una risposta positiva.
«Non la mia.»
Ecco fatto. Finalmente l'ho detto! È come se mi fossi tolta un macigno dal petto.
Il sorriso di Dom sparisce di colpo. Si sposta dalla sedia al letto.
«Perché dici una cosa del genere?»
«Non c'è molto da dire. Sai... ho sempre avuto brutte esperienze. A scuola ero quella timida e introversa che non parlava mai con nessuno, e per questo, penso, mi hanno sempre bullizzata, e non ho mai avuto amici. Poi i miei hanno divorziato, come già sai. E... direi che più o meno è tutto.»
Scelgo di non dirgli di aver sofferto anche di anoressia, per un breve periodo. È una fase della mia vita di cui non voglio neanche avere il ricordo. E poi, per Dom sarebbe il colmo.
Mi avvolge un braccio sulle spalle. «So come ci si sente, Hetty» dice.
Lo guardo, e lui guarda me. «Sai, prima di venire in questa scuola, io non avevo mai avuto amici. Quando ero piccolo, le altre madri tenevano i loro bambini lontani da me, perché temevano che potessi essere infetto. Ma il peggio è arrivato quando ho iniziato ad andare a scuola. Hai presente quando gli adulti dicono che i ragazzini sono angioletti innocenti? Stronzate! A volte sanno essere davvero diabolici. Ero il più basso della classe, e mi prendevano in giro; ero il più magro, e mi prendevano ancora più in giro. E merda, quanti scherzi che ho dovuto subire!»
«E poi?»
«Alla fine ho cambiato scuola. E finalmente sono riuscito a trovare delle brave persone. Basil ed Earl sono stati i primi, poi tutti gli altri. E quando ho acquisito più sicurezza, ho avuto la folle idea di iscrivermi al provino per la squadra di rugby della scuola. Modestia a parte, l'ho superato contro ogni aspettativa.»
Mi fisso le dita intrecciate.
«E poi dici di essere contento della tua vita?» commento. «Al tuo posto, io avrei perso ogni speranza. Come fai a essere sempre così positivo?»
Risponde dopo diversi secondi: «Sinceramente, Hetty, se tu mi chiedi come faccio, allora non so risponderti. Ma se tu mi chiedi cosa ne penso, allora eccoti la risposta.» Mi guarda. «Io sono felice di vivere questa vita. Sono contento di svegliarmi ogni mattina, sapendo di avere davanti un nuovo giorno. E non mi importano le difficoltà che dovrò affrontare; non è arrivato e non arriverà mai il giorno in cui non sarò grato ai miei genitori per aver scelto di fare un figlio. Sì, forse è vero che ho una malattia genetica, ma non sono nemmeno capace di disprezzarla perché, nel bene e nel male, anch'essa è parte di me, ed è anche grazie a essa se oggi riesco a vivere la mia vita e ad amarla in ogni momento, oltre ad apprezzare quello che sono come persona. E non ci può essere niente di più bello.»
«E non hai paura di morire?»
«Paura? Mmm...» Guarda fuori dalla finestra. Ormai si è fatto quasi buio.
«La prima volta che ho sentito parlare di fibrosi cistica, ammetto di essermi spaventato a morte. Ma ora è semplicemente una cosa con cui convivo tranquillamente; e adesso voglio vivere ogni giorno al massimo e divertirmi il più possibile, e la mia più grande paura è solo quella di non poterlo fare.»
Sollevo le sopracciglia. «Sembrano le parole di I Lived.»
«Te ne sei accorta, vero?» sorride. «È stata una delle mie più grandi ispirazioni.»
«Oh!»
«Non importa quando il mio momento arriverà, Hetty, se domani o fra cent'anni. Io sarò comunque felice, perché potrò dire, davvero, di aver vissuto.»
Mi sento mancare il fiato. Nessuno avrebbe potuto applicare l'insegnamento di I Lived meglio di lui.
«Sennò, diciamocelo chiaramente» aggiunge. «Non avrebbe nemmeno senso vivere.»
Sollevo le spalle. «Forse vivere non ha senso» dico. «Forse noi umani non siamo altro che ammassi molecolari del cosmo che per puro caso hanno sviluppato una forma e un'intelligenza, e che stanno vivendo in questo momento della storia universale. Eravamo, siamo e torneremo nient'altro che atomi. E quando poi, un giorno, ci estingueremo tutti, l'universo non se ne accorgerà minimamente. Anzi, credo proprio che si farà anche una bella risata.»
Ora mi aspetto che Dom mi guardi contrito, ma invece ridacchia, incredulo.
«Mi spieghi come hai fatto a non aver mai avuto amici?»
«Ah-ha, spiritoso!» borbotto.
«Sto dicendo sul serio, Hetty. Sono bei discorsi, i tuoi. Sì... un po' oscuri, demotivanti, demoralizzanti, e al limite del depressivo... ma belli; davvero belli.»
Gli sorrido.
«Ma se anche fosse così» continua. «Non pensi che sarebbe bello rendere comunque meraviglioso quel nostro minuscolo frammento di storia universale chiamato vita?»
«E a che scopo?»
«Così. Per divertimento. Per avere un istante di luce, in un'eternità di buio.»
«La fai facile» dico. «Sai, tu hai un po' più persone su cui contare, rispetto a me. Come potrei rendere felice la mia vita?»
«Tu baseresti la tua felicità su ciò che possono pensare gli altri? L'esperienza mi insegna che la felicità personale non deve dipendere da altre persone. Va solo condivisa con esse.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Che avere amici e persone fidate deve essere un piacere, non un obbligo. Quando andavo ancora alla mia vecchia scuola, ad esempio, ero molto più felice da solo che con i miei coetanei. Di conseguenza, ho imparato che non è obbligatorio avere sempre qualcuno al proprio fianco, per essere felici. La felicità si trova, e la si può trovare dovunque si voglia. Come lo puoi scoprire solo da te...»
"Interessante..." penso.
«Ma, nel frattempo, lo vorresti avere qualcuno al tuo fianco con cui condividerla?» mi chiede. «Tipo... io?»
Lo guardo sorpresa.
«Io non ho cambiato idea, Hetty» dice. «Mi piacerebbe davvero essere tuo amico... se per te è reciproco...»
Lo abbraccio stretto, ridendo debolmente per la felicità.
«Ne deduco che questo sia un sì» fa.
Gli annuisco sulla spalla.
«Visto, Hetty? Ora sto condividendo la mia felicità con qualcuno.»
"Anch'io, Dom" penso. "Anch'io."

L'episodio finisce poco dopo, senza che siamo riusciti a vederne oltre i primi minuti. Mettiamo su l'episodio successivo, e finalmente riesco a guardare la tivù più rilassata, accanto a Dom... al mio amico Dom. Oh, sono così contenta di poterlo pensare!
Il mio telefono suona, e sul display leggo: Mamma. Effettivamente il sole è tramontato da un pezzo.
«Pronto, mamma?»
«Ehi, cara!» mi saluta. «Come sta andando dal tuo, ehm... compagno di classe?»
«A meraviglia! Poi vi racconto.»
«D'accordo. Che fate di bello?»
«Guardiamo la tivù.»
«Okay. Tra quando veniamo a prenderti?»
«Ehm...» Guardo l'orologio. Porca miseria, sono le nove di sera passate!
«Dom, a che ora andate a letto voi durante la settimana?»
«Dieci e mezza, undici...»
Cerco di fare un calcolo di quanto impiegherebbero in macchina da casa nostra, ma alla fine sparo: «Tra dieci minuti partite. Vi invio l'indirizzo.»
«Va bene. Ehi... mi ha fatto molto piacere questa tua prima conoscenza australiana.»
Scuoto la testa, ma concordo con lei.
«Anche a me» sorrido. «Ci vediamo dopo, allora.»
«Okay, cara. A dopo!»
Chiudo la conversazione e le invio l'indirizzo. Poi metto in standby e mi giro verso Dom.
«Partono tra dieci minuti» mi anticipa sul tempo.
Torniamo a guardare la tivù. Per certi versi, trovo Big Mouth una serie un po' macabra e pessimistica, anziché divertente. Praticamente rispecchia quella che sono io: un'adolescente disadattata, che non riesce a trovare il proprio posto nel mondo.
«Sai, non ti nascondo che a volte ci ho pensato anch'io» gli dico a fine episodio.
«Cosa? Chiacchierare con il tuo mostro degli ormoni?» ridacchia.
Sollevo le spalle. «Lasciar perdere. Vivere per inerzia e lasciare che le cose mi piovano addosso.»
"Non che adesso sia tanto diverso..." mi ricorda il mio subconscio.
Lo guardo. «Dici che è un pensiero un po' folle?»
«No» risponde. «È un pensiero alla Hetty: oscuro e demoralizzante... ma davvero bello.»
«E anche vero.»
«Hetty, non tutte le cose entrano nella nostra vita per farci del male.»
«La maggior parte sì, però.»
«E allora spetta a noi non lasciare che ci feriscano» risponde. «Basta tenersi alla larga da chi e da cosa ci voglia male, e concedersi solo a chi e cosa ci voglia bene.»
Abbasso lo sguardo. Sul parquet chiaro noto una macchietta scura. Sembra polvere, solo che si muove in modo strano... Oddio!
Non è polvere... è un ragno!
Strillo come una matta tirando su i piedi sul letto.
«Che è successo?» Dom si guarda attorno.
Gli indico terrorizzata il mostriciattolo schifoso a terra.
«E quello da dove caspita è entrato?»
«Mandalo via, per favore!» esclamo. «Anzi, schiaccialo, già che ci sei!»
Lui scoppia a ridere. «Ma dai, Hetty, hai paura di un ragno?»
La bestiaccia si muove di alcuni passi. Mi ritraggo strillando.
Dom si alza e prende un fazzoletto, senza smettere di ridere. Lo usa per raccogliere il ragno ed esce dalla porta. Sento il rumore dello scarico del gabinetto e tiro un sospiro di sollievo.
«Quante storie, per un ragnetto» commenta tornando in camera.
«Smettila, io i ragni li odio!» Rabbrividisco.
«Sì, ma se ti spaventi così per uno scricciolo del genere, non oso immaginare se ti trovassi davanti un atrax robustus!»
«Un che?»
«Un ragno dei cunicoli. È una bestia grossa così.» Unisce il pollice e l'indice in un cerchio di forse cinque centimetri. Il pensiero basta a farmi venire i sudori freddi.
«Merda!» balbetto.
Ridacchia. «Comunque tranquilla, non entrano negli appartamenti.»
«E da te?» Sto già iniziando a scrutarmi attorno, pronta ad arrampicarmi da qualche parte.
«Doppiamente tranquilla. Facciamo fare regolarmente la disinfestazione.»
«Meno male!» sospiro.
«Quindi sei aracnofoba?»
«Non è tanto paura, è schifo! I ragni sono disgustosi. Con quelle zanne orribili, quegli occhiacci lucidi, e poi tutte quelle zampette pelose... BLEAH! SCHIFO! BLEAH!»
Dom scoppia a ridere e tossicchia un paio di volte.
«Tutto bene?» gli chiedo, improvvisamente seria.
«Se continui a farmi ridere così tanto, non lo so!» fa.
"Ti prego non dirlo..."
«Ehi, sto scherzando» si affretta a dire. «Per favore, non diventarmi apprensiva pure tu! Ne ho già abbastanza a scuola!»
«No, tranquillo.»
«Bene. Allora, parlavamo di ragni. Quindi non è paura, semplicemente ti fanno schifo.»
«Esatto.»
«Be', non posso darti torto. Ma se ci pensi è un po' triste: la loro spaventosa bruttezza li rende una sorta di emarginati del regno animale. E, chi può dirlo, forse vorrebbero solo qualche amichetto in più, invece di beccarsi solo le suole delle scarpe in testa! E tutto per il semplice fatto che sono disgustosi...»
"Oh..." Probabilmente voleva fare uno dei suoi soliti discorsi ironici, ma invece le sue parole mi fanno riflettere. Essere emarginati per un giudizio superficiale... praticamente la storia della mia vita.
«Se la metti così, allora posso dirti che li capisco» mormoro.
«Che cosa vuoi dire?»
«Avere paura del giudizio superficiale degli altri, non sentirsi a proprio agio con sé stessi... io ci sono abituata.»
«Non ti vedi carina?»
Stringo le labbra. «Tu sì?»
Scrolla le spalle. «Io mi piaccio così.»
"Non posso biasimarti." «Io no.»
Mi guarda perplesso. «Non vorrei sembrarti invadente, Hetty; ma di preciso, cos'è che avresti di brutto?»
La sua suona come domanda retorica, ma per me non lo è. Praticamente non c'è niente che mi piaccia di come sono fatta: la forma del mio viso, i miei occhi glaciali; e poi più in basso, verso le parti più nascoste e intime. Niente che mi soddisfi quando ne guardo il riflesso allo specchio. Per non parlare poi del mio carattere di merda.
La lista è praticamente infinita, quindi tiro fuori la prima cosa che mi viene in mente.
«Gli occhi» dico.
Dom si acciglia. «Cos'hanno i tuoi occhi?»
Li fisso nei suoi, grigio in azzurro, e me li indico. «Guardali bene.»
Lo fa, ma dopo pochi secondi trattiene a stento una risata. «Hetty, te lo giuro: non hai niente dentro agli occhi.»
«Li hai fissati bene?»
«Più di così...»
«Ora, sii sincero: sembra o no che stia cercando il modo migliore per farti fuori?»
«No.»
Sollevo le sopracciglia. Perfino mia mamma direbbe il contrario...
«Non c'è niente che non vada in te, Hetty» dice. «Sei fantastica, così come sei. E, lasciatelo dire, i tuoi occhi sono belli.»
"Oh, Dom..."

Pochi minuti dopo, il campanello della porta suona. Per qualche strana ragione, mi chiedo come reagiranno mamma e Dan a tutto questo.
«Vieni a conoscere i miei?»
«Con immenso piacere.»
Scendiamo al piano di sotto proprio mentre Geoff e Beth aprono la porta.
Dan si blocca sulla soglia.
«Geoff?» fa.
«Eh, sì, Dan» risponde lui. «Ho reagito così anch'io, appena l'ho saputo.»
«Non ci credo!» Gli stringe la mano. «Dominic e Heather si sono già conosciuti?»
«Sembra proprio di sì!»
Segue un breve scambio di presentazioni e strette di mano, prima che noi torniamo l'argomento principale.
«Ah, ecco i ragazzi.» Lo sguardo di mia mamma si illumina.
Dom fa un passo in avanti. «Buonasera, signori» dice tendendo la mano. «Dominic.»
Dan gliela stringe e lo squadra dalla testa ai piedi. «Sì, è proprio tuo figlio» commenta con Geoff.
«Anche Heather con voi.»
Mia madre rimane a bocca aperta, una cosa che sospetto, quindi, di aver ereditato da lei.
«Che bel ragazzo!» commenta.
Dom sorride. «Grazie, signora.»
«Sue» lo corregge.
«Sue.»
«Possiamo offrirvi un caffè, Sue? O preferite un tè?»
«Se non disturbiamo, un caffè lo accettiamo volentieri.»
Lasciamo gli adulti per conto loro, e rimaniamo di nuovo da soli.
«Be', direi che abbiamo ancora un po' di tempo» commenta lui.
«Già» dico io. «Che vogliamo fare?»
«Io un'idea ce l'avrei.»
«Spara.»
Va alla vetrata e apre la finestra scorrevole che dà sulla veranda e il giardino.
«Di notte la vista è spettacolare» dice.
Usciamo all'aria aperta notturna e sgattaioliamo sul retro della casa. Dom ha ragione: la vista è qualcosa di mozzafiato. I grattacieli si innalzano illuminati verso il cielo stellato e si riflettono nel mare calmo e scuro, tagliato dal sottile sentiero argenteo della luna. Le stelle qui sembrano diverse da quelle che si vedono in America, ma finora ho guardato il cielo così poche volte che non saprei dirlo con certezza.
Ci appoggiamo al parapetto con il mormorio della piscina e del vento nelle palme attorno a noi.
Finalmente posso dire di stare bene. Per la prima volta da quando siamo qui in Australia, mi sento... spensierata; tranquilla. Ed è una sensazione meravigliosa.
Mamma viene a chiamarmi qualche minuto dopo.
«Andiamo a casa, tesoro?»
«Sì, mamma, arrivo.»
Mentre torniamo dentro, controllo l'ora. Le dieci passate!
"Porca miseria!" La cosa che mi sorprende, però, è che non sto avvertendo la stanchezza che mi sarei aspettata. Mi sembra di aver appena finito di cenare, o una roba del genere. È assurdo!
Geoff e Beth ci salutano sulla porta di casa. Mi sembra di sentirli accordarsi coi miei per vedersi di nuovo. A quanto pare hanno già legato. Come io e Dom, del resto
Lui mi porta in disparte e mi abbraccia. «È stata una bellissima serata, sai?» mi sorride.
«Sì, anche per me» rispondo.
«Potremmo rifarlo.»
«Con piacere!» sorrido. «Magari vieni tu da me.»
«Molto volentieri!»
«Hetty, andiamo?» mi chiama mamma.
«Arrivo. Allora ci vediamo domani, Dom.»
«Certo. Posso invitarti fuori durante l'intervallo?»
«Volentieri, verrò con piacere.»
Ci abbracciamo di nuovo ed esco dalla porta.
In macchina racconto in linea generale la serata ai miei. Tralascio i dettagli più importanti e intimi, perché quelli voglio tenerli solo per me.
«Dan, lo sapevi che Dom ha...» mormoro.
«Sì, i suoi ce ne hanno parlato prima» risponde. «Povero ragazzo.»
«Vedi, Hetty?» fa mamma. «È per questo che dobbiamo essere grati anche solo per il fatto di essere qui, sani e in salute.»
Poi lei e Dan danno il via a una discussione sulla fibrosi cistica, quindi smetto di ascoltare. Piuttosto guardo fuori dal finestrino posteriore e mi faccio un'idea del percorso che divide casa mia da quella di Dom.
Arriviamo nella strada del nostro palazzo una ventina di minuti dopo aver lasciato casa sua. Basandomi sul traffico in strada, la velocità e le soste ai semafori, e facendo due conti approssimativi, direi che dovrebbe essere circa un'ora a piedi. Perfetto. E non vedo l'ora di spenderla di nuovo per passare un'altra serata così fantastica assieme a lui.
Assieme al mio primo, vero amico.

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