VENTISEI

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L'aereo atterra lungo la minuscola pista del minuscolo aeroporto dell'isola. Non è un vero e proprio aeroporto, quanto una breve lingua di cemento, con un ranch laterale a gestire il tutto.

Dopo aver recuperato i bagagli, raggiungiamo il parcheggio in fila a due a due, dove un pullman poco più grande di uno scuolabus e il suo conducente altrettanto grosso ci stanno aspettando. Altri venti minuti di strada e finalmente arriviamo al nostro hotel, alle sei di sera.

Veniamo accolti alla reception da addetti cordiali e disponibili. I professori concludono le varie pratiche e formalità economiche; poi, con un elenco in mano, ci chiamano in cerchio.

«Ragazzi, ascoltate» dice Mr. Clapp. «C'è stato un piccolo problema. Si sono accorti troppo tardi di avere solo due camere da tre. Sei di voi dovranno dividersi in una da quattro e in una da due. Chi di voi si offre?»

Gli altri sbuffano. Un intero pomeriggio di organizzazione saltato per aria.

"E ti lamenti?!" mi rimprovero.

Sollevo subito la mano. «Io posso anche andare in quella da due» faccio.

«Hetty...» inizia a protestare Amy, ma si zittisce a una mia occhiata d'intesa.

«Molto bene. Chi va con lei?» chiede il prof.

Come mi aspettavo (e speravo), Dom alza la mano. I nostri compagni ci guardano sbalorditi.

«Bene, Warnecke.» Il professore fa un sorrisetto impercettibile. «Ora, chi per quella da quattro?»

Decise le nuove formazioni, i professori ci consegnano le chiavi.

«Checkpoint qui fra un'ora, puntuali» decreta Mr. Clapp. «Ah, prima che mi dimentichi: fuori dagli hotel non c'è né campo né Wi-Fi, quindi potete anche lasciare in camera i cellulari.»

Le nostre camere sono parecchio distanti le une dalle altre, ma tutte allo stesso piano.

«Fate i bravi, stasera!» I ragazzi ci stuzzicano maliziosamente, mentre apro la porta della nostra camera.

Io li fulmino con lo sguardo, e Dom fa una pernacchia scherzosa.

La nostra camera è meravigliosa. Un ambiente arioso e luminoso, con un letto matrimoniale posto di fronte a una grande vetrata con balcone privato. Si riesce a vedere il mare.

Sospiro soddisfatta. «Eccoci qua. Camera nostra.»

«Ben detto.»

Lascio andare il trolley e lo abbraccio, baciandolo forte. Le sue labbra mi sono mancate, dopo appena un giorno. Mentre ci stiamo ancora sbaciucchiando, lui mi tossisce in bocca.

«Scusami» dice, dando altri due colpi

«Tranquillo. Amo i tuoi polmoni.» Gli accarezzo il petto.

«E loro amano te.» sorride.

«Potremmo inaugurare questo letto...» propongo timidamente.

«Non sarebbe una cattiva idea...» mormora pensoso. «Facciamo così: prima il dovere. Disfiamo le valigie, chiamiamo a casa e faccio l'aerosol. Dopodiché...»

«Dici che abbiamo tempo?»

«Come dico sempre: se una cosa la vuoi fare davvero, il tempo lo trovi senza problemi!» Mi bacia sul naso, e ci mettiamo subito al lavoro.

Disfiamo le valigie alla velocità della luce e chiamiamo i nostri genitori a Sydney.

«È bello lì, tesoro?» mi chiede la mamma.

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